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La burocrazia celeste che plasmò la storia

di Alessandra Lavagnino - 11/03/2008

Prendendo spunto dalla mostra Cina: alla corte degli Imperatori, che si aprirà il 7 marzo a Firenze, Alessandra Lavagnino traccia un profilo politico, istituzionale e culturale della Cina durante il primo millennio dopo Cristo.
Dopo il tracollo dell’impero Han intorno al 220 d.C. si aprì il cosiddetto “Medioevo” cinese, durato tre secoli e caratterizzato dalla frammentazione politica, da cui però non uscì intaccata l’idea di un’impero universale che unisse l’intera Cina. Con la breve dinastia Sui e poi con la più longeva dinastia Tang (secoli VII-X) si assiste alla restaurazione dell’istituzione imperiale, che grazie al collante della burocrazia confuciana riesce ad amalgamare le istanze regionali centrifughe con le nuove religioni (buddismo, cristianesimo nestoriano, islam).


Quale storia racconta la mostra Cina: alla corte degli Imperatori? La storia di un grande Paese che costruisce la propria, solida, identità culturale attraverso una quantità straordinaria di sfaccettature. Il filo conduttore degli oggetti esposti non è solo la loro fattura, che definire «squisita» appare a dire poco riduttivo, ma soprattutto il possesso per ognuno di essi di una qualità peculiare, un tratto geniale che deriva da una gestualità del tutto imprevista o dalla torsione in un corpo inaspettata e vitale, dall’inaspettato panneggio danzante in una tunica o da un azzardato accostamento di colore, improbabile e forse orribile se raccontato ma straordinariamente toccante una volta visto: indescrivibile ad esempio è il lucore delle invetriature sulle statuine funerarie, oggetti che accompagnavano nella tomba un onorabile defunto e costituivano il suo doppio nel regno degli inferi: ecco i sontuosi cortei, con carrozze e cavalli, ecco le sinuose musicanti e danzatrici che ne dovevano allietare il soggiorno nell’aldilà, la profusione di case e granai, cortili e piccole pagode che costruiscono un villaggio dell’oltretomba nel quale l’altra vita del defunto sarà gioiosa e serena. Un’abitudine, questa dei cortei funebri in bronzo e poi in terracotta, che attraversa costante tutta la storia culturale cinese, e costituisce non soltanto una preziosa testimonianza della vita quotidiana nella Cina imperiale, impeccabile supporto scenografico che racconta l’ordine e il decoro della vita sociale, ma soprattutto dà prova della continuità culturale di tradizioni, abitudini, costumi e credenze.
Si inizia con la seconda dinastia Han, quegli Han Orientali che raccolgono e mantengono alto il nome della Dinastia imperiale degli Han per quasi tre secoli [...], e il cui impero centralizzato si sgretola sotto i colpi delle contese interne e le pressioni delle genti barbariche del nord ovest (220 d.C). Ma nei successivi tre secoli di divisione del Paese, di frammentazione in mille piccole dinastie, in quello che la storiografia occidentale ha definito con una interessante analogia il Medioevo cinese, non si costruisce, come in occidente, un qualche sistema che si propone come coerente alternativa a quello imperiale, legittimato da millenni attraverso il «mandato del Cielo» al governo per il Sovrano, che di quel Cielo è il Figlio (Tianzi); al contrario, il tempo che trascorre dall’inizio del III sec. d.C. fino alla fine del VI sec. costituisce il periodo nel quale si vanno gradualmente ricostituendo le condizioni che porteranno alla formazione di strutture sociali ed economiche peculiari del sistema imperiale. È l’epoca feconda in cui nello sterminato territorio che chiamiamo Cina — pur spezzettato in regni e dinastie barbariche al nord e in mille famiglie in discordia al sud — arriva dall’India, attraverso la Via della Seta, il Buddismo. Contemporaneamente, nei circoli degli Eruditi si discute dell’importanza della scrittura (wen) come fondamentale elemento di civiltà, dell’essenza stessa della letteratura, si teorizzano i canoni della pittura, si parla del «vuoto e del pieno», si dipingono ritratti e si affrescano prodigiosi santuari rupestri. [...]
Ed è proprio nella ritrovata unità dell’impero, realizzata dall’effimera quanto interessante dinastia Sui — artefice, tra l’altro, del prodigioso Canale imperiale (605 d. C.), un’immensa rete di vie navigabili, collegamento materiale e unione simbolica tra il Sud e il Nord del Paese — che troveranno certezza e solidità, rassicurazione e coesione le mille istanze di uno straordinario mosaico di cultura. Il governo viene esercitato mediante il predominio delle virtù «civili» (wen, «segno scritto/ cultura/civiltà») che vincono su quelle «militari» (wu «arma/guerra»), e il costante riconoscimento, di chiara derivazione confuciana, verso il sistema imperiale viene garantito dal solido perpetuarsi della «burocrazia celeste », fedele garante della continuità istituzionale, accuratamente selezionata in base al sistema degli esami imperiali, colonna portante della stabilità del sistema.
Lo splendore della dinastia Tang, che risalta, unico, nei pezzi qui in mostra, nasce da tutto questo: la solidità di un sistema, quello imperiale, che conta su di un meccanismo perfetto, nel quale ciascun ingranaggio fornisce il proprio ordinato contributo: si tratta sempre di un incastro sociale che deve essere costantemente riverificato, ma nel quale possono agevolmente entrare — purché attentamente vagliati in base al criterio principe dell’efficacia — nuovi elementi, costituiti vuoi dalle componenti religiose, il Buddismo venuto dall’India come il Cristianesimo nestoriano o l’Islam, che si mescolano con il Taoismo e i culti locali, ma sono prodigiosamente tenuti insieme dal collante sociale costituito dalla burocrazia confuciana. Una burocrazia che, ricordiamolo, basa il proprio potere sulla conoscenza, sul sapere, sulle «virtù civili».

La mostra Cina: alla corte degli Imperatori. Capolavori mai visti dalla tradizione Han all’eleganza Tang si svolge a Palazzo Strozzi, Firenze, dal 7 marzo all’8 giugno.