Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Sfiorando il mistero dell'Essere nel possente respiro notturno della pioggia

Sfiorando il mistero dell'Essere nel possente respiro notturno della pioggia

di Francesco Lamendola - 12/03/2008

 

 

 

È notte fonda, ormai.

Anzi, è già mattino: sono le prime ore del giorno, nelle quali - come dice il taoismo - la Terra respira e l'aria è pervase da energie positive, benefiche per l'organismo dei viventi.

Tutto tace, tutto è silenzio. Non un passante, non un'automobile, non un rumore, all'infuori di quello della pioggia.

Anzi, anche la pioggia è quasi cessata: e tuttavia continua, sotto forma cento e cento rivoli che scorrono incessanti, monotoni eppure bellissimi, da infinite grondaie, e si perdono poi giù, nel buio della notte.

Ce n'è uno, in particolare, che sovrasta tutti gli altri: ha un suono strano, intermittente, molto forte: l'acqua scorre attraverso quella grondaia con la forza di un ruscello di montagna, con il vigore giovanile di una fonte alpestre, che scaturisce dalla roccia e si apre la via, scavalcando massi e pietre e tagliando con baldanza gioiosa attraverso i prati d'alta quota.

Tutta quest'acqua che ruscella giù da innumerevoli grondaie, come dai doccioni di una immensa cattedrale gotica, riempiendo il silenzio della notte, crea un effetto strano: come una seconda pioggia che cade di rimando, quando già la prima si attenua e cessa; come un'immagine riflessa, e capovolta, nell'acqua: l'immagine di una pioggia che cade al contrario, che cade dal basso verso l'alto, surreale, fantastica.

La notte profonda non sa che farsene della nostra mente razionale, della nostra legge di gravità; la notte è fatta per sognare, per stupirsi, per socchiudere portali sull'altra dimensione.

È quell'ora strana, indefinibile, che non appartiene più alla notte ma non è ancora del giorno: una terra di nessuno, terra di scorribande, di incursori, di vagabondi delle stelle; terra dove tutto può accadere.

È quell'ora che evoca il mistero, talvolta con un brivido di paura: le streghe del Brocken; la notte di Valpurga; la sconsacrata chiesa di Blokula, in Svezia, ritrovo delle creature delle tenebre, di convitanti striscianti e svolazzanti nell'oscurità.

E tuttavia, un mistero che può anche essere stupore, incanto, favola: come la notte di San Giovanni del folklore romeno, o come la notte di mezza estate del folklore celtico. Notte di sogni, di incanti, di apparizioni: shakesperiana midsummer night, popolata di sogni trepidanti, di elfi e di fate leggiadre.

Ma qui, nessun elfo e nessuna fata appaiono; né alcun diavolo o strega o negromante. Nessun pipistrello, nessun gatto dall'andare furtivo e inquietante. Solo la pioggia regna padrona incontrastata: una pioggia incessante, sempre uguale; ma una pioggia strana: una pioggia ch'è già finita, e che prosegue attraverso cento e cento grondaie, giù dai tetti splendenti di bagnato, con le tegole fatte lucide quanto uno specchio.

È come essere nel fitto del bosco di faggi e d'abeti; dove la pioggia cade per ore e ore, sotto le chiome degli alberi, inzuppando il sottobosco cosparso di felci e di aghi rossastri, dopo che la pioggia è finita e le nuvole in cielo si sono squarciate sotto la lama di un raggio di sole che penetra obliquamente, vittorioso.

Ma qui non ci sono faggi, né abeti; solo case dai tetti splendenti come specchi, orti e  giardini circondati da siepi che si aprono al respiro benefico della notte e della pioggia; che aprono le gemme sui rami degli alberi da frutta, come anime assetate nella notte.

È un momento solenne.

I fanali della strada si sono spenti, ovunque è oscurità: ma non ostile, anzi, profondamente amica. Una oscurità che vuol parlare, che vuol dire alcune cose. Che vuol essere ascoltata, incondizionatamente; che chiede solo silenzio e raccoglimento.

Del resto, la notte non è poi così buia come poteva sembrare sul momento.

Il cielo non è nero, ma, benché coperto da nuvole invisibili, è di un colore lattiginoso, indefinibile, come se ricevesse una pallida luce lunare. Ma non c'è luna, nessuna stella brilla attraverso la coltre di nuvole basse, che si può solamente immaginare.

In questa specie di chiarore diffuso, smorzato, come il cielo delle latitudini polari quando il sole non scende interamente sotto l'orizzonte, si può perfino intravedere la linea delle colline, scura contro lo sfondo scuro della notte; e, stranamente, il buio appare più denso verso il basso, ai piedi delle montagne, e non in alto, dove pare sciogliersi in una nebbia opalescente.

 

Anche il muro della casa biancheggia nella notte piovosa, carica di effluvi e di umori già ormai quasi primaverili - benché le montagne, ora invisibili, siano ancora coperte da un bianco mantello di neve.

E, su quel muro bianco che si staglia nella notte come un faro, nel contrasto dell'ombra proiettata su di esso dalle chiome degli alberi vicini, ecco che arrivano.

Arrivano così, una dopo l'altra, come uccelli che  planano ad ali tese, dolci presenze dal disio chiamate.

Eccoli, sono qui: con la forza e la freschezza di un tempo. Non sono i ricordi: i ricordi sono creature della mente, creature del passato. Queste, invece, sono creature vive: volti, suoni, parole, luci, luoghi, situazioni, odori.

Odori, soprattutto: intensi, evocativi: come quello della vernice fresca; come quello del mughetto; come quello del forno del nonno Odori dell'infanzia che sono di nuovo qui, che sono sempre qui, che sono sempre stati qui; e, con essi, i volti, le cose, le parole, i sorrisi, lo stormir delle foglie, lo scintillio del cielo notturno nelle notti d'estate, il profilo severo delle montagne, l'orizzonte sconfinato dei campi di granturco.

Tutte queste cose non se ne sono mai andate; tutte queste presenze non ci hanno mai voltato le spalle: tutto è rimasto qui, vivo e splendente, come allora: tutto, tutto, tutto. Presenze mai fuggite, mai smarrite, mai disperse: presenze, semplicemente.

Così, in questa notte carica di pioggia, di silenzio e di stupore, esse ritornano: non perché fossero realmente scivolate nel ricordo, ma perché noi lo avevamo creduto e, credendolo, le avevamo lasciate irrigidirsi, defilarsi dietro un'invisibile muraglia.

Non si tratta di ricordi, ma di presenze.

Il ricordo è altrove; ma esse sono qui, sono adesso, sono noi.

Dove siamo noi, adesso? Dov'è la nostra mente, ora? No, non stiamo affatto contemplando il passato: siamo esattamente lì, dove eravamo allora; respiriamo lo stesso, meraviglioso profumo di terra bagnata; proviamo lo stesso stupore incantato; questo muro bianco, è lo stesso di allora; queste montagne, sono proprio le stesse di allora; siamo immersi nello stesso presente.

Non c'è più passato, non c'è più futuro.

Il balcone è lo sesso, affacciato sul mistero odoroso della notte bagnata di pioggia. E quella zona d'ombra, lì nell'angolo, dove gli alberi sfiorano il muro bianco, è la stessa di allora. Chi lo dice che non c'è nessun albero, che non è lo stesso muro, che forse nemmeno quel muro esiste più, abbattuto da un terremoto più di trenta anni fa?

No: sono proprio gli stessi: e noi siamo in loro; e noi siamo loro. Tutto è qui, tutto è ora: solo il presente esiste, per sempre; solo il qui esiste: l'altrove è solo un "qui" che non abbiamo ancora riconosciuto.

Come dite: che è illusione?

No: la vostra è illusione; il vostro credere che le cose siano separate, che il presente ci separi dal passato; che le cose cambino, che scompaiano, che vadano perdute. Nulla cambia, nulla si trasforma, nulla va perduto.

Aveva ragione Parmenide, e torto Eraclito.

Non è vero che non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua: pensare ciò, significa scambiare le apparenze per la realtà.

La verità è che noi siamo sempre immersi nella stessa acqua: invecchiare è scordarsi questa semplice verità. La verità che noi siamo sempre giovani, siamo sempre bambini, siamo sempre incantati come lo eravamo allora; ma non lo sappiamo. Non lo sappiamo più, perché crediamo di avere imparato tante altre cose: e crediamo che ogni cosa, che ogni esperienza, che ogni istante siano legate a un filo, come tante perline di vetro: una prima e le altre dopo.

Ma non è vero.

Noi non siamo fatti di tante perline, la nostra vita non è fatta di tante goccioline d'acqua, tese sul filo in questa strana notte, carica di pioggia senza pioggia.

Basta lasciarsi andare, e le cose ritornano: emergono dal cono d'ombra in cui avevamo creduto che fossero scivolate, smarrendosi.

Tornano le parole delle fiabe, la paura che provavamo di notte, tirandoci la coperta fin quasi sulla testa, pensando alla strega cattiva che, forse, si muoveva sotto il nostro letto. Torna la voce dolce della mamma che cantava, lieta, riempiendo la casa dell'armonia della sua voce.

Non se n'erano mai andate, tutte queste cose. Noi lo avevamo creduto, avviluppati nell'illusione del tempo, come mosche impigliate nella tela di un ragno.

L'Essere non si distrae, non si disperde, non si modifica.

Noi siamo già nell'Essere: solo che non lo sappiamo. Non crediamo all'Essere, non lo degniamo di un pensiero; oppure, se lo pensiamo, ce lo immaginiamo come un altrove.

Niente affatto: l'Essere è l'eterno presente e l'eterno "qui".

L'Essere è la sola realtà: tutto il resto è illusione.

Noi siamo realtà, quando ci ricordiamo di far parte dell'Essere, di partecipare dell'Essere: di trovarci in esso come il pulviscolo che si muove vorticoso in un raggio di sole che attraversa, da una fessura, una stanza in penombra.

Quella danza, è la nostra danza: la nostra preghiera, la nostra chiamata, la nostra missione - se la sappiamo riconoscere.

Altrimenti, non è altro che lo sbandare incerto e penoso di un folle, o di un ubriaco. Il volteggiare di una falena intorno alla luce della fiamma, in cui finirà per bruciarsi

 

E non c'è altra realtà che questa.

Vivere consapevolmente, è aver coscienza noi siamo sempre qui e ora; che tutto è sempre qui e ora; che nulla c'è, al di fuori del qui e dell'ora; non perché il passato sia ormai consumato e il futuro sia  ancora lontano, ma perché passato e futuro sono solo miraggi, errori di prospettiva; illusioni di una mente ancora avvolta nella tela del ragno.

Il ragno dei nostri fantasmi.

Per liberarcene, non dobbiamo fare altro che rientrare in noi stessi, e guardare meglio. Allora vedremo e capiremo.

Ritroveremo tutto, rivedremo tutto, e saremo ancora noi.

Ogni cosa sarà in noi, e noi saremo in ogni cosa. A quel punto, nulla di male potrà mai più accaderci.

Non avremo più paura.

Saremo liberi, finalmente.

Le cose verranno a faci festa, per celebrare il nostro ritorno.

Monti e colline vi acclameranno, e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani.

E l'acqua, scorrendo lieta sotto i mille ponticelli della nostra vita, ci domanderà con voce argentina se l'avremo, infine, riconosciuta: se ci saremo resi conto che è ancora quella della nostra infanzia; che è sempre quella di allora.

E che noi pure siamo sempre quelli.

Perché non vi altra realtà che l'Essere, e l'Essere rimane sempre identico a se stesso.