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Gli USA ci affondano!

di F. D'Attanasio - 14/03/2008

 

Marcello De Cecco su Affari & Finanza di Repubblica di Lunedì 10 Marzo compie una disamina dell’attuale situazione finanziaria internazionale cercando di spiegare le ragioni della crisi che sta attanagliando la maggior parte dei paesi industrializzati. Secondo l’economista i mercati delle materie prime e delle valute sono ormai dominati dalla speculazione, le migliaia di hedge fund ed anche di normali fondi di investimento che esistono e devono offrire risultati positivi ai loro investitori, dopo aver subito batoste anche pesanti dai mercati immobiliari e da quelli dei derivati finanziari e assicurativi, si sono decisamente e massicciamente spostati sulle merci e sulle valute, i cui mercati dunque si trovano ora ad essere letteralmente inondati da ingenti risorse finanziarie; questa quindi sarebbe la causa principale dell’aumento spropositato dei relativi prezzi. I fondi pensione ad esempio, dovendo far fronte a necessità sempre crescenti di uscite finanziarie, per l’invecchiamento dei propri aderenti, sono costretti a cercare incrementi di valore veloci e corposi, senza badare troppo al rischio che gli investimenti possono presentare. De Cecco ci dà uno spunto per mettere in risalto il vero obbiettivo che il mondo economico, finanziario, nonché sindacale (confederale) e politico hanno perseguito e continuano a perseguire nel convincere i lavoratori dipendenti ad aderire ai fondi pensione. Ora per (loro) fortuna  una percentuale comunque significativa di questi sembra non abbia, allo stato attuale delle cose, ancora abboccato alle fandonie propagandate da moti loschi “figuri” sempre pronti a parlare della necessaria modernizzazione che bisogna perseguire ad ogni costo, pena il sicuro peggioramento delle condizioni generali di vita. Ma ciò che più irrita è fuor di dubbio l’atteggiamento del sindacato, soprattutto confederale, che si è letteralmente speso al fine della miglior riuscita del suddetto tranello; ma siccome l’inconsistenza ed incapacità dei suoi dirigenti è cosa da far letteralmente rabbrividire, mi sovviene il dubbio che effettivamente questi non sono, per la maggior parte, ancora coscienti della reale portata della questione ed in qualche maniera c’è ancora in loro una percentuale di buona fede non proprio trascurabile. Il leit motiv della propaganda è che aderendo ai fondi pensione si liberano risorse di cui le imprese possono usufruire comunque al fine di potenziare il proprio livello competitivo generale con conseguenti ricadute positive sull’intera società, ciò però senza considerare minimamente gli attuali assetti di potere sia nazionali che internazionali e di come quindi i rapporti inter-capitalistici si vanno riconfigurando. Perché è proprio qui il nocciolo della questione, non esiste il libero mercato con le sue sicure facoltà positive ma esistono gruppi sociali che interagiscono (confliggendo) fra di loro all’interno della formazione sociale particolare, la quale a sua volta si trova “immersa” nella formazione sociale mondiale (potremmo dire che la situazione socio-economica, cosicché come quella politica di una particolare “parte” o “porzione” sia surdeterminata da quella globale); siamo entrati in una fase fortemente dinamica (ciò anche in virtù di una caratteristica secondo me intrinseca dell’organizzazione sociale capitalistica che si estende non solo spazialmente e geograficamente, ma anche in profondità, innovando a velocità sempre più sostenuta le proprie risorse scientifiche, tecnologiche e sociali) la quale vede nuovi protagonisti (potenze) sul “palcoscenico” mondiale con il chiaro intento di superare la propria marginalità (venendosi così a delineare il cosiddetto policentrismo lagrassiano), ma tutto questo comporta chiaramente l’infittirsi e l’aumento del livello di complessità delle relazioni a qualsiasi livello, e non solo al livello mercantile che è quello che più facilmente si mostra alla nostra vista. Quindi la liberazione, con conseguente immissione nei mercati finanziari, di capitali che lo sviluppo dei fondi pensione comporta, nell’attuale fase, è molto più probabile che abbia come effetto preponderante il rafforzamento del potere e relativa influenza degli apparati finanziari, piuttosto che un’espansione della produzione e della produttività d’impresa; ciò è molto più vero in paesi come l’Italia, la cui classe politica dirigente non riesce e non vuole in termini decisionali, assumere un ruolo guida nella politica economica con la conseguenza che la “finanziarizzazione” del capitale comporta una divaricazione sempre crescente tra le esigenze più “sane” e specifiche delle attività produttive (quali appunto una continua crescita della produttività non basata esclusivamente sulla compressione dei salari e dei diritti e più in generale dei costi, ma su investimenti di lungo respiro finalizzati principalmente a costanti e progressivi innovazioni di processo e prodotto con conseguenti ricadute positive su sviluppo ed occupazione) e quelle più prettamente di carattere finanziario (essendo queste ultime improntate al raggiungimento di saggi di profitto elevati ed in un arco temporale piuttosto breve, intendendo con saggio di profitto la quantità di profitto in rapporto al capitale investito).

Ma tornando a De Cecco, egli prosegue scrivendo che per le merci prevale nettamente la speculazione al rialzo in quanto ancora forti sono le aspettative di crescita dei paesi emergenti, soprattutto la Cina, alimentando  la convinzione che tali paesi potranno così continuare ad aumentare i propri consumi di beni primari per svariati anni ancora; la stessa Cina d’altro canto, esercita oramai un influsso notevole su una gran quantità di prodotti manufatti dei quali è diventata il primo produttore mondiale. Per quanto riguarda le valute invece, i relativi mercati sono dominati dalle quotazioni di quelle principali, in particolare da quello che accade al Dollaro ed all’Euro, e subito dopo da come si comportano lo Yuan cinese e lo Yen giapponese. Ma poiché il Dollaro fluttua liberamente sui mercati, il comportamento fortemente espansivo della Fed si ripercuote immediatamente sul cambio dell’Euro, altra unica importante valuta a fluttuare liberamente. «La banca centrale europea, − prosegue De Cecco − non si sa quanto saggiamente, ritiene che il sistema finanziario europeo non sia talmente fragile da richiedere la stessa cura che la Fed sta impartendo a quello americano, a base di continui e corposi ribassi dei tassi di interesse.» Essa è preoccupata principalmente di contenere l’inflazione, ma questo comporta il continuo aumento del cambio Euro/Dollaro e la prevedibilità di tale tendenza induce l’ulteriore rivalutazione dell’Euro, invitando la speculazione al rialzo, che pensa di non avere nulla da temere per i prossimi mesi. Le autorità cinesi e giapponesi invece sono fortemente decise ad intervenire per evitare che le loro valute si apprezzino eccessivamente, dato che puntano principalmente a rafforzare le esportazioni più che ad espandere i consumi interni. D’altro canto l’impennata del prezzo del petrolio ha messo a disposizione dei paesi produttori una massa tale di dollari che il loro impiego fornirà altra “benzina” alla speculazione, e provocherà nuovi acquisti di azioni di banche ed attività industriali e commerciali da parte dei fondi sovrani di tali paesi (in realtà qui l’autore non cita i fondi sovrani cinesi, anch’essi protagonisti in questi ultimi tempi di diverse acquisizioni negli USA; la Cina sembra essere attualmente il paese al mondo con le più alte riserve di dollari grazie al continuo aumento dell’esportazione dei propri prodotti verso i mercati statunitensi). «A partire dalla fine del sistema dei cambi fissi − continua ancora il nostro autore − nel 1971, il cambio del dollaro è passato attraverso cinque fasi, di durata ed intensità piuttosto varia. I ribassi si sono alternati ai rialzi, ma finora ciascun massimo e ciascun minimo è stato inferiore a quello precedente. Nel 2002 il dollaro, ad esempio, era tornato al livello di prima della fine del sistema di Bretton Woods. Poi però è iniziato il nuovo declino, che dura tuttora, e che ha finora raggiunto il ribasso massimo proprio in questi giorni.» Qui è bene sottolineare come le politiche monetarie perseguite dalle autorità americane in totale accordo con le più potenti istituzioni finanziarie di quel paese, hanno avuto in ogni caso pesantissime ripercussioni a livello mondiale. Ad esempio il predecessore di Greenspan, Volcker, il quale rimase in carica dal 1979 al 1986 perseguì una politica di altissimi tassi di interesse con lo scopo principale di salvare il dollaro dalla caduta libera che minacciava il suo ruolo come moneta di riserva globale; ciò, in conseguenza della forte rivalutazione della valuta americana rispetto alle altre principali valute, provocò non solo la caduta delle esportazioni con conseguente crisi industriale interna, ma anche lo strangolamento, a causa degli alti tassi d’interessi, delle economie di molti paesi più arretrati che si erano nel frattempo indebitati con la speranza di avviare il proprio sviluppo; questa fase terminò con la grandiosa crisi del 1987, che ripeto, ebbe ripercussioni pesanti anche negli stessi Stati Uniti in termini soprattutto di deindustrializzazione di importanti, fino ad allora, settori produttivi. Con l’avvento di Greenspan a capo della Fed, si assistette ad un cambio di paradigma con una politica monetaria generalmente espansiva, tranne una breve parentesi che anche questa volta portò ad una grave crisi simile a quella del 1987, precisamente nel 1997-98 coinvolgendo pesantemente la Russia ed altri paesi asiatici. Ma ciò che, a mio avviso, ha contraddistinto l’era Greenspan (si fa per dire, poiché la linea strategica viene definita di comune accordo da tutto l’establishment) sono state le riforme attuate in ambito finanziario con il preciso scopo di permettere alle istituzioni finanziarie americane di potersi dotare di tutti gli strumenti ritenuti necessari atti a  liberare tutto il proprio potenziale “bellico”, al fine di reperire le risorse necessarie a fronteggiare l’avanzare dei paesi in via di sviluppo. Tali riforme, culminate con l’abolizione del Glass Steagall Act nel 1999 (questa legge fu approvata nel 1933 come risposta alle cause della crisi del ’29, essa fissava norme per controllare le speculazioni bancarie, prevedendo fra le altre cose, l’impossibilità di controllare e/o detenere società d’intermediazione finanziaria da parte delle banche di investimento), hanno permesso alle grandi banche di finanziare gli speculatori, impacchettare e cartolarizzare crediti; in particolare con le cartolarizzazioni i prestiti che le banche concedono, molte volte con tanta facilità senza preoccuparsi delle reali garanzie di solvibilità che i contraenti possono offrire, vengono spezzettati e trasformati in titoli, al fine di poterli rivendere sui mercati di tutto il mondo, scaricando così completamente i rischi soprattutto sui piccoli risparmiatori.

Ma è interessante come conclude l’articolo De Cecco, egli sottolinea che alcuni osservatori ritengono necessario che la globalizzazione debba svilupparsi su basi nuove, «perché le sue fondamenta attuali hanno permesso allo stesso tempo che prevalgano liberismo sfrenato e mercantilismo a oltranza da parte dei paesi più forti. E di questo sono prova sia gli squilibri sui mercati dei cambi che le soluzioni come la creazione di onnipossenti fondi di investimento sovrani, controllati dai paesi creditori. L’agire di questi fondi, che è squisitamente politico [corsivo mio] anche se in apparenza resta entro i confini della massimizzazione dei rendimenti finanziari e delle convenienze economiche, contribuisce potentemente alla trasformazione della globalizzazione da un liberismo di facciata al mercantilismo aperto e generalizzato. Quest’ultimo è un regime che assai raramente ha coinciso a lungo con la pace mondiale» Qui con mercantilismo De Cecco con molta probabilità designa quel tipo di politica economica che vede la classe politica dirigente decisamente al timone nelle più importanti scelte strategiche e che privilegia soprattutto la conquista dei mercati esteri, in altre parole una sorta di simbiosi tra politica ed economia con il chiaro e specifico intento del rafforzamento della potenza dello Stato. Tesi questa molto interessante che ritengo debba discendere da una visione che in qualche modo si avvicina a quella da noi condivisa, la quale vede l’attuale fase come caratterizzata fondamentalmente dalla sviluppo di nuove potenze in grado di interagire in maniera conflittuale e significativa con la potenza che ancora oggi può essere definita principale, cioè gli USA.    
In definitiva, concludo dicendo che De Cecco mi sembra un economista ben più illuminato di tanti altri che si limitano a porsi ad un livello di analisi piuttosto superficiale facendo derivare il tutto da una insufficiente regolamentazione dei mercati finanziari; detto in altre parole i vari organi preposti al controllo e alla vigilanza sarebbero stati, fino a questo momento, incapaci di trovare i mezzi all’altezza della situazione necessari per fronteggiare la nuova fase caratterizzata dall’immissione sui mercati di strumenti nuovi e comunque di complessità vieppiù crescente, quindi ne discende che gli effetti della crisi che si fa sempre più incipiente, si potrebbero limitare tramite l’adozione di provvedimenti atti esclusivamente a rendere più chiari e trasparenti i mercati e le operazioni poste in essere dagli stessi attori finanziari. Non una parola quindi sulle cause strutturali della fase che stiamo attraversando, analisi queste dunque che ci lasciano sempre comunque un po’ “sospesi”, dato che esse vengono elaborate anche con lo scopo di far passare l’idea che i fatti posti sotto esame sono e devono essere appannaggio esclusivo degli istituti e organismi preposti, cioè una questione meramente tecnica da addetti ai lavori e non una questione primariamente socio-politica, afferente cioè alle varie strategie che le potenze del globo attuano per prevalere nella competizione mondiale.