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Grandi opere, piccoli cervelli

di Mario Tozzi - 15/03/2008

Come se non bastasse il tormento per l’ennesima tornata elettorale anticipata, ci tocca constatare come, anche stavolta, l’ambiente sia il vero assente dai dibattiti e dai programmi dei partiti italiani. Mentre i democratici statunitensi mettono la mitigazione del cambiamento climatico ai primi posti della loro agenda, qui da noi nessuno spiega cosa si dovrebbe fare per evitare di arrostire e finire desertificati. Invece da noi si ripropone il faraonico progetto del Ponte sullo stretto di Messina, la cui inutilità come infrastruttura è stata ampiamente dimostrata (vale solo come monumento, di cui nessuno sente un’impellente necessità), ma anche il Partito Democratico ci fa sapere che bisogna costruire nuove case popolari (!). In un Paese in cui le grandi opere utili non sono mai state realizzate e in cui ci sono almeno 20 milioni di vani sfitti, lascia di sasso constatare che nessuno si sente sfiorato dall’imbarazzo a proporre nuove costruzioni. E poi rigassificatori come se piovesse, quando forse l’Italia avrebbe bisogno solo di due o tre impianti di questo tipo, constatata l’impossibilità, per ora, di prendere la via delle energie rinnovabili. E nuovi inceneritori, come se il problema dei rifuti fosse quello di bruciarli e non quello di recuperarli.

Ma veniamo alle grandi opere. Sono anni che sostengo coerentemente la mia contrarietà al ponte e non ho ancora trovato qualcuno che porti una ragione degna di questo nome a favore. Due sono gli argomenti portanti del mio ragionamento ed entrambi sostengono che il ponte sullo stretto, in ultima analisi, non serve: primo, perché il rapporto costi-benefici è largamente sfavorevole e, secondo, perché lo stornamento di fondi utili altrove diventerebbe grave colpa in caso di catastrofi naturali. A questi due punti fondamentali non ho ancora riscontrato alcuna obiezione di merito

Se per caso volete recarvi in automobile da Maastricht a Mazara del Vallo - su tutta la lunghezza d’Europa - troverete mancanti solo 50 km, quelli fra Messina e Palermo, ammesso che si voglia chiamare autostrada il tratto siciliano restante e che si voglia considerare decente la Salerno - Reggio Calabria, priva di terza corsia, perennemente interrotta per lavori e priva di corsia d’emergenza. Un ponte supermoderno che unisca queste due mulattiere non sembra proprio l’ideale per muoversi in sicurezza e per utilizzare al meglio il denaro, specie in un Paese in cui ci sono già decine di opere incompiute rimaste a metà.

Come geologo, di dubbi sul costruendo ponte sullo stretto di Messina ne coltivo più di uno: dallo stato di dissesto idrogeologico in cui verseranno le aree che dovrebbero fare da spalla al ponte ai problemi di natura sismica. Se poi non avete mai saputo raffigurarvi un impatto ambientale e paesaggistico negativo, immaginate un ponte lungo tre chilometri e mezzo e largo circa 70 metri lanciato sopra uno dei mari più belli del mondo e immaginate che per sostenerlo occorrono 166.000 tonnellate di acciaio arrangiato in cavi di un metro e venti centimetri di diametro. Immaginate poi due torri enormi, alte fino a sfiorare i 400 metri (più della Tour Eiffel o dell’Empire State Building), infisse fino a decine di metri di profondità nel terreno, e che svettano rispetto alle più basse colline circostanti. E poi i blocchi di ancoraggio, immensi bastioni di cemento conficcati a 40 metri di profondità.

Immaginate ancora le 100.000 tonnellate del ponte sospese a circa 65 metri di quota, ma non immaginatele immobili: il ponte infatti oscilla, liberamente, di circa 10 metri in orizzontale e 7 in verticale (nel settore centrale) per resistere ai venti che, nello stretto, possono superare i 200 km/h. L’unica cosa che potrebbe evitarvi di sentirsi in un flipper nella parte della pallina è che qualcuno chiuda il ponte al traffico tutte le volte che c’è vento troppo forte: cioè la struttura può resistere, in teoria, a raffiche fino a 270 km/h, ma in quei casi deve essere interdetta. Non è un fatto raro, lo stesso, modernissimo, Millennium Bridge, a Londra, è stato chiuso per il vento. Si stima che situazioni del genere possono portare (come qualche volta accade anche sui viadotti delle autostrade per i mezzi telonati) all’interruzione del traffico per un periodo che andrebbe quantificato ora e non dopo averlo costruito.

E’ ormai ora di tracciare un limite netto al diritto dell’uomo di imporre modifiche definitive all’ambiente che lo circonda, specie se queste hanno un impatto elevato e, in ultima analisi, danneggiano anche la razza umana. In altre parole chi si prende la responsabilità di unire qualcosa che la storia naturale ci presenta divisa ? Chi decide che i nostri figli e nipoti dovranno accettare un’opera come quella ? Quale giustizia intergenerazionale ci manderebbe assolti dall’aver modificato per sempre uno spazio naturale, storico e mitologico che poteva essere goduto anche dai nostri discendenti così come era pervenuto a noi ? Non siamo più al tempo dei Romani, che un ponte comunque lo gettavano sempre (pontefice era chi lo costruiva e lo difendeva), sono passati i tempi in cui le grandi opere erano dettate da bisogni reali e gli uomini erano ancora in pochi a vivere in ecosistemi sostanzialmente sani ed equilibrati. E non è neppure un problema tecnologico: se lo fosse fra qualche decennio potremo sperare di unire Olbia a Civitavecchia, o -perché no- Genova a Tunisi, restaurando quei ponti continentali che secondo i geologi del secolo scorso spiegavano le grandi migrazioni di animali, prima che si scoprisse che erano i continenti a essere andati alla deriva. Il problema è: serve un’opera come questa, oggi, in Italia?

Oltre a quelli appena citati, un argomento cruciale che impedisce oggettivamente di essere a favore della costruzione del ponte sullo stretto di Messina è, insieme a quello geologico, quello economico-finanziario, cioè il rapporto fra costi e benefici assolutamente non conveniente.

Gli studi più recenti di questo tipo riguardano i trasporti passeggeri, ma basta farsi due conti per vedere quanto tempo effettivamente si guadagnerebbe nell’attraversamento aereo dello stretto rispetto a quello marino. L’ipotetico viaggiatore che da Palermo volesse raggiungere in treno Roma (attualmente 13 ore) o Milano (18 ore) risparmierebbe, se tutto va bene, circa 1 (una) ora, un lasso di tempo sicuramente prezioso, ma nulla al confronto di quello che ci si guadagnerebbe a rifare prima la rete ferroviaria siciliana, che viaggia spesso a un solo binario, e che permette al collegamento Ragusa - Messina la straordinaria media di 40 km/h (circa 5 ore per coprire i 200 km di distanza): raddoppiando la tratta e dimezzando i tempi ci sarebbe un guadagno - quello sì vero - di oltre 2 ore e mezza. Da Palermo a Messina il raddoppio della strada ferrata porterebbe un risparmio di circa 1 ora e mezza: meglio questo in poco tempo o l’ipotetica ora in 15 anni, se va bene?

E in automobile? Se non ci sono date particolari, week-end e italiche ferie -attualmente- ci vogliono 25 minuti per attraversare materialmente lo stretto di Messina in traghetto, poi bisogna considerare le attese per il biglietto e per la coincidenza, in tutto circa 35’-40’. L’attraversamento aereo via ponte ridurrebbe i tempi da 25’ a circa 5’ (se non vogliamo correre), ma non ci sarebbe comunque verso di eliminare code e file -nei giorni clou- perché il pedaggio da qualche parte lo si dovrebbe pagare e in fila ci si dovrebbe mettere lo stesso, esattamente per gli stessi tempi.

Ma poi c’è il pedaggio, questione che nessuno riesce a chiarire. Quello che è sicuro è che, oggi, per passare da Reggio a Messina (e ritorno) si pagano circa 15 euro per veicolo, a prescindere dal numero dei passeggeri, e che, in treno, non si paga alcun supplemento rispetto al biglietto. Quanto ci costerà domani passare attraverso il ponte? Tutto dipende dai tempi di concessione ai privati che lo stato dovrebbe fare dell’opera: su 100 anni per esempio si potrebbero tenere i prezzi bassi quasi come quelli di oggi, ma le stime serie vengono fatte su 30 anni o meno, perché nessun privato può aspettare tempi così lunghi per ammortizzare le spese.

A ciò va aggiunto che molti passeggeri non saranno sicuramente presenti all’appello, anzi, mancheranno proprio i paseggeri più regolari, quelli a cui il ponte avrebbe dovuto fare un gran favore, cioè gli abitanti di Reggio Calabria, Villa San Giovanni e Messina che avrebbero gli accessi alle rampe del ponte talmente lontani dai rispettivi centri abitati da dover preferire comunque e sempre i traghetti o gli aliscafi. Il ponte non è sicuramente un’alternativa valida per il traffico locale.

Infine, possiamo discutere che il ponte sia pericoloso, ma siamo certi che -in caso di sisma- sarebbe quantomeno inutile. Cade quest’anno il centesimo anniversario del più forte terremoto mai subìto, a memoria d’uomo, dall’intero bacino del Mediterraneo. Reggio Calabria e Messina furono rase al suolo da un sisma (XI-XII grado della scala Mercalli) che fece oltre 80.000 morti e successivamente invase da onde di marea alte come palazzi. Siamo sicuri che il rischio di costruire una struttura del genere nella zona a più elevata sismicità del Mediterraneo sia sufficientemente basso ? Reggerà un ponte che è stato commisurato a magnitudo 7,1 Richter, tenendo presente quel terremoto del 1908, visto che -non essendoci al tempo rilevamenti strumentali adatti- si tratta di una stima indiretta e che, quindi, la scossa prossima ventura potrebbe essere 7,2 o 7,5 ? Il terremoto umbro-marchigiano del 1997 ci dice che forse non conosciamo abbastanza di sismi: e se non siamo stati in grado di prevedere una “coppia sismica” dove prima non c´era mai stata, che ne sappiamo che il prossimo terremoto tra Reggio e Messina sarà 7,1 e non più dannoso ?

E, infine, che ce ne facciamo di un ponte che rimane in piedi se il terremoto è veramente “solo” 7,1 Richter? Invece di unire due future aree cimiteriali - quello che diventerebbero Reggio e Messina - non sarebbe meglio spendere prima quelli e altri denari (pubblici e privati, occupazione e profitti, di questo si tratta, sarebbero comparabili) nella ristrutturazione di città che hanno solo il 25% antisismico ? Quali sono le priorità dettate dal buonsenso?

C’è forse ancora un piccolo margine di riflessione per chi non si rassegna a quella che sembra sempre di più un’inutile e male indirizzata opera dimostrativa, sotto qualsiasi latitudine politica la si osservi. Se i dubbi di natura tecnica e scientifica sono così tanti, se il buon senso è venuto drammaticamente a mancare e tutti sono solo abbagliati dal miraggio di un’opera meramente dimostrativa, e, soprattutto, se non ci sono evidenti benefici di tempo e vantaggi di traffico e, anzi, si stornano risorse utili altrove, ma allora a cosa e a chi serve il ponte sullo stretto di Messina?