Dopo anni di resistenza di poveri e donne le corporation si arrendono: niente azione legale per i «mancati profitti» Perde la lobby delle multinazionali
L'avevamo scritto dopo la catastrofe di Hong Kong: alla fine, più dei dictat del Wto, quello che conta è la resistenza popolare. E avevamo ricordato la vittoria di Cochabamba: un'affermazione parziale, ma comunque importante, con una potente multinazionale in ritirata, anche se decisa a prendersi la rivincita. Da ieri, la vittoria può dirsi completa visto che tutte le corporation coinvolte nell'affare si sono ritirate dalla vergognosa azione legale istituita per ottenere la bellezza di 25 milioni di dollari dalla piccola Bolivia, come indennizzo per i «mancati profitti». Un vero trionfo che si deve in parte all'elezione di Evo Morales e in parte alla mobilitazione internazionale che ha denunciato il comportamento della multinazionale che guida la cordata - la Bechtel - e ha svelato i nomi degli altri membri della combriccola.
La storia risale all'aprile del 2000 quando, nella cittadina boliviana di Cochabamba, era scoppiata la cosiddetta "guerra dell'acqua". La miccia era stata innescata dalla decisione del governo di privatizzare l'acquedotto come richiesto dagli organismi internazionali - e dagli ultimi dictat del Wto - e di cedere le risorse idriche a un consorzio, la Aguas del Tunari, che immediatamente aveva deciso di aumentare a dismisura le tariffe. A una popolazione sull'orlo della sussistenza da un giorno all'altro venne chiesto di destinare all'approvvigionamento idrico metà delle proprie magre entrate. Non c'erano alternative, bisognava resistere. I comitati di quartiere, quasi tutti a forte presenza femminile - la vicenda di Cochabamba è infatti considerata una vittoria delle donne dal movimento internazionale - organizzarono blocchi stradali e allacci clandestini e quando la rivolta si estese dai singoli quartieri a tutta la città, il governo di Hugo Banzer prima tentò la carta della repressione poi, dopo ben cinque morti, si vide costretto a rescindere il contratto. Quell'anno Cochabamba assistette al debutto degli indigeni nel ruolo di leader dell'alleanza fra contadini, lavoratori informali, piccoli commercianti, insegnanti e trasportatori, la stessa alleanza che, pochi giorni fa, ha eletto il primo presidente indio del paese, Evo Morales.
La vittoria di Cochabamba tuttavia era solo parziale visto che sulla piccola Bolivia continuava a pendere l'iniziativa legale lanciata dalla Bechtel. Ed è proprio su quest'ultima compagnia che si è concentrato l'interesse degli attivisti. Dopo la vicenda boliviana i cani da guardia statunitensi non hanno tolto gli occhi di dosso alla multinazionale soprattutto quando la Bechtel Corporation si accreditò il contratto più sostanzioso per la ricostruzione dell'Iraq, 680 milioni di dollari per i primi 18 mesi, che gli venne assegnato dalla Us Agency for International Development (Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale) mentre ancora cadevano le bombe su Baghdad. Per la Bechtel si trattava, in realtà, di una vera e propria rentré. Venti anni fa l'inviato di pace in Medio Oriente, Donald Rumsfeld, venne spedito a Baghdad da George Shultz, allora segretario di Stato del presidente Reagan, per chiedere a Saddam di appoggiare la costruzione di un oleodotto dall'Iraq al porto giordano di Aqaba. Indovinate quale era la compagnia interessata all'appalto.
Anche oggi gli interessi della Bechtel coincidono in pieno con quelli dell'attuale amministrazione americana. Il vice presidente anziano della compagnia, Jack Sheenhan, è membro del Defence Policy Board, il gruppo di think tank conservatori che ha fornito consulenze al Pentagono durante la guerra. Gli uomini della Bechtel fanno anche da consiglieri sia delle agenzie pubbliche che gestiscono i sussidi alle compagnie americane che lavorano all'estero, sia delle potentissime Us Import Export Bank e Overseas Private Investment Corporation. Lo stesso Andrew Natsios, amministratore dell'Us Agency for International Development che ha deciso l'assegnazione dei contratti per la ricostruzione, era fino a pochi anni prima un uomo della Bechtel. Una lunga lista di scheletri che sarebbero tranquillamente rimasti nell'armadio della storia se la compagnia non fosse inciampata nelle donne di Cochabamba.
Ma non c'era solo la Bechtel, a lucrare sull'acqua boliviana. In Italia le campagne promosse dall'associazione A Sud, dal Contratto mondiale per l'acqua e dal Cevi, hanno fatto luce sull'architettura finanziaria della Aguas del Tunari, che aveva messo le mani sulla municipalizzata. E' venuto fuori che il consorzio è controllato per il 55 per cento dall'International Water Limited, per il 25 per cento dalla spagnola Abengoa e per il 20 per cento da privati. A sua volta l'International Water Limited appartiene per metà alla statunitense Bechtel e per l'altra metà all'italiana Edison. Quest'ultima, nell'ottobre scorso, è stata a sua volta acquisita da una società (la Tde) al 50 per cento di proprietà della francese Wgrm e, per il restante 50 per cento, dell'italiana Aem, che sta per "azienda energetica di Milano" nella quale, malgrado sia stata privatizzata, il Comune detiene ancora il 43,26 per cento.
Barcamenarsi fra le percentuali e ricostruire la filiera delle scatole cinesi è stato fondamentale per orchestrare mobilitazioni e campagne in America Latina, in Spagna e in Italia. Messe sotto i riflettori, Bechtel, Edison-Aem e Abengoa si sono arrese, e hanno deciso di ritirare la domanda di indennizzo di 25 milioni di dollari e di vendere al governo boliviano le proprie azioni per la modica cifra di due pesos boliviani l'una (circa 30 centesimi di euro). Una proposta partita direttamente dalle multinazionali che, dopo aver fatto per anni la faccia feroce, hanno capito che è più conveniente trovare una "soluzione amichevole" all'intera vicenda, almeno finché il mondo non si decide a guardare di nuovo dall'altra parte.
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