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Questione palestinese: guerra delle percezioni

di Sergio Romano - 15/03/2008

Sul quotidiano Al Hayat Al Jadida, organo ufficiale dell'Autorità palestinese di Abu Mazen, viene fatto un elogio del ragazzo che ha ucciso gli otto studenti della scuola rabbinica di Gerusalemme.
Ovviamente non molti leggono il giornale palestinese, pertanto la maggioranza si limita a prendere per buona la condanna fatta dallo stesso Abu Mazen. Che cosa pensa lei del doppio linguaggio che ricalca quello tenuto da Arafat?


Ester Picciotto


Cara signora, La contraddizione da lei segnalata ne ricorda un'altra, meno vistosa, ma altrettanto recente. L'Egitto è un amico degli Stati Unit i, riceve ogni anno da Washington aiuti per un miliardo di dollari e si esprime generalmente, sulla questione palestinese, in termini molto più soffici di quelli usati dai gruppi militanti del mondo arabo-musulmano. Ma questo non ha impedito che in uno degli ultimi numeri dell'edizione settimanale di
Al Ahram in lingua francese e inglese appaia una lungo articolo sulle disastrose condizioni di vita della Striscia di Gaza in cui la responsabilità della catastrofe umanitaria viene attribuita a Israele. Il regime egiziano del generale Mubarak è una democrazia autoritaria e Al Ahram (uno dei migliori quotidiani del mondo arabo) appartiene al governo. Ma esprime giudizi alquanto diversi da quelli del suo editore e padrone. Molti penseranno che questa è semplicemente doppiezza e che il governo del Cairo soddisfa in questo modo un più largo numero di interlocutori: il governo di Washington con la sua linea ufficiale, le masse arabe con gli articoli del suo migliore giornale. Ma la spiegazione, a mio avviso, sta più semplicemente nel fatto che i governi arabi, soprattutto in questo momento, non possono permettersi di contraddire i sentimenti prevalenti dei loro cittadini. Esiste nel mondo arabo-musulmano un sentimento d'indignazione che nessun regime, nemmeno il più autoritario, può ignorare o sottovalutare.
Non riusciamo a rendercene conto perché i due mondi (il nostro e quello arabo-musulmano) ricevono dalla zona del conflitto notizie e percezioni completamente diverse. Noi vediamo i missili che cadono ogni giorno sulle città israeliane, leggiamo le rodomontesche dichiarazioni di Ahmadinejad, vediamo le atroci immagini dell'attentato di Gerusalemme. Ma gli arabi e più generalmente i musulmani assistono a uno spettacolo alquanto diverso. Sanno che a Gaza vive una popolazione assediata, affamata, ridotta a vivere di elemosine, tenuta in vita da aiuti alimentari che garantiscono soltanto il 60% delle calorie necessarie alla sopravvivenza. Noi leggiamo distrattamente che il governo Olmert ha permesso la costruzione di altre 750 abitazioni a Gerusalemme Est e pensiamo che Israele, dopo tutto, abbia diritto alla sua terra. Gli arabi leggono la stessa notizia e constatano che il governo israeliano, nonostante i molti impegni assunti negli scorsi anni, non ha mai rinunciato a estendere la rete dei suoi insediamenti nei territori palestinesi. Noi prestiamo poca attenzione alla notizia pubblicata da Vanity Fair secondo cui il governo degli Stati Uniti, dopo le elezioni palestinesi del 2006, progettò la fornitura di armi e denaro alle unità militari di Al Fatah affinché avessero i mezzi per neutralizzare le formazioni di Hamas ( Corriere del 5 marzo). Gli arabi leggono la stessa notizia e ne deducono che gli americani parlano di democrazia, ma non hanno alcuna intenzione di rispettare la volontà popolare. E infine noi apprendiamo che le ultime incursioni israeliane a Gaza hanno provocato un centinaio di morti, fra cui molti civili, e pensiamo, senza dirlo ad alta voce, che, in fondo, è colpa loro. Gli arabi leggono la stessa notizia e ne deducono che 20 israeliani, per l'Occidente, contano più di 100 palestinesi.