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Per ritrovare il silenzio interiore l’esperienza del deserto nel mondo moderno

di Francesco Lamendola - 16/03/2008

Non sappiamo a quante persone, in Italia, dica qualcosa il nome di Catherine de Hueck Doherty, una mistica americana di origine russa che ha diffuso in Occidente la nozione e la pratica delle pustinia, ossia le comunità del «deserto» nel cuore delle società moderne: rumorose, caotiche, materialiste.

Il suo vero nome era Ekaterina Fiodorovna Kolshkine a Nizni Novgorod, in Russia, il 15 agosto (festa dell’Assunta) del 1896. I suoi genitori erano molto religiosi; il padre, poi, era per metà polacco, quindi, oltre alle dominanti suggestioni del cristianesimo ortodosso, la bambina ricevette anche quelle del cattolicesimo. Andata in sposa, a soli quindici anni, ad un parente, il barone Boris de Hueck, durante la prima guerra mondiale si arruolò come infermiera nella Croce Rossa, prodigandosi per i feriti e i malati. Poi, dopo lo scoppio delle rivoluzioni del 1917, prese - come tanti altri russi di estrazione sociale superiore -, la via dell’esilio, senza più un rublo in tasca. Approdata in Gran Bretagna, nel 1919, insieme al marito, Ekaterina si convertì al cattolicesimo; indi, nel 1920, i due sposi passarono in America, prima in Canada e poi, per un periodo, negli Stati Uniti, a New York, dove trovarono entrambi un lavoro: lui come architetto, lei come domestica e cameriera di ristorante (i cui clienti la conoscevano come «la baronessa»).

Durante il soggiorno fra Stati Uniti e Canada andò sempre più delineandosi la vocazione della giovane donna verso una spiritualità fatta di preghiera e di servizio ai poveri; mentre, sul piano della vita privata, naufragava il suo matrimonio, a causa delle numerose infedeltà e del vizio del bere di suo marito. Ekaterina, intanto - divenuta Catherine - aveva scoperto di possedere il dono della parola eloquente, ed era stata assunta da un organismo di conferenze. Il suo tenore di vita era bruscamente mutato: adesso guadagnava bene e aveva una bella casa; tuttavia non era felice, perché sentiva il contrasto tra la sua vita agiata e la vocazione al servizio di devozione divino. Nel 1930 l'arcivescovo di Toronto, Neil McNeil, vinse i suoi dubbi e la rassicurò sulla autenticità della sua vocazione; ed ella ruppe gli indugi: vendette tutti i suoi beni, ne distribuì il ricavato ai poveri, diede disposizioni per l'educazione dell'unico figlio e andò a vivere in mezzo ai poveri, in una Toronto stravolta dagli effetti della grande crisi del 1929.

Poiché alcuni uomini e donne  erano rimasti fortemente colpiti dalla sua scelta evangelica radicale e le avevano chiesto di essere loro guida spirituale, Catherine finì per ascoltarli e per dar vita all'esperienza della Casa dell'Amicizia, luogo di spiritualità, di preghiera, di aiuto reciproco; che però, a casa di incomprensioni, dopo qualche anno dovette essere chiusa. Lottatrice nata, ella non si perse d'animo e, trasferitasi a New York, volle ripetere l'esperienza nel quartiere povero di Harlem, afflitto anche da gravi tensioni razziali. Anche lì fondò una Casa dell'Amicizia e, insieme all'amica Dorothy Day, si sforzò di tradurre in pratica la dottrina sociale della Chiesa cattolica, aprendo la porta ed il cuore alle esigenze delle persone più umili ed emarginate. Delle strutture analoghe sorsero in altre città, tra le quali Washington e Chicago, ad opera di cristiani contagiati dall'esempio travolgente di quella donna, che il giovane Thomas Merton riconobbe subito come ispirata dallo Spirito santo.

Di nuovo, difficoltà e diffidenze posero fine all'esperienza di New York. Catherine, frattanto, rimasta vedova da tempo, nel 1943 si era risposata con il giornalista Eddie Doherty, il quale l'aveva avvicinata per motivi professionali ed era rimasto lui pure trascinato dalla forza della sua fede religiosa. Nel 1947 la coppia si trasferì a Combermere, un villaggio a nord-est di Toronto, dove il vescovo di Pembroke l'aveva invitata a riprendere una esperienza religiosa. Fu così che nacque Madonna House, la casa della Madonna, una comunità che sarebbe notevolmente crescita nel corso degli anni, aprendo anche una dozzina di missioni.

Era - ed è - un luogo di amicizia, di preghiera e di condivisione, dove laici e sacerdoti vivono una fede semplice, aprendo la porta a chiunque si presenti a bussare, per qualunque motivo. Una delle caratteristiche più originali di Madonna House è la pratica della pustinia, ossia del raccoglimento e del silenzio in un luogo apposito, che può essere anche una semplice cameretta con una sedia, un tavolo, un giaciglio, una Bibbia, un po' di pane e acqua. Il credente che voglia staccarsi temporaneamente dal mondo per digiunare, pregare e meditare, ha bisogno di un luogo che simboleggi l'esperienza del deserto, dove, abbandonando completamente il falso ego e affrontando le tentazioni del diavolo, possa realizzare l'incontro con il Cristo e fare la viva esperienza della fusione con lui.

Si tratta di una pratica di origine russa dove, un tempo, la figura del pustinik era ben nota e relativamente frequente. Un giorno un uomo, o una donna, magari sposati e con figli, decidono di abbandonare ogni cosa e di partire, recando cibo per un solo giorno e niente denaro: lo hanno distribuito ai poveri, prima di mettersi in viaggio. Quello che cercano è la solitudine, il silenzio, per poter ascoltare meglio la voce di Dio e per dedicarsi interamente alla devozione di lui. Si stabiliscono in una capanna, in un eremo, in un qualsiasi luogo un po' solitario; vivono ritirati, schivi, in preghiera e digiuno: ma tengono la porta sempre aperta ai visitatori. Chiunque può bussare alla loro soglia, chiunque può chiedere un consiglio, una preghiera, un atto di solidarietà. Il pustinik spezzerà col visitatore il suo ultimo pezzo di pane e avrà sempre una parola di conforto per tutti.

Una cosa importante da chiarire è che il pustinik non cerca la solitudine per separarsi dal mondo, ma per ritrovare il mondo. Egli si isola per portare con sé, sulle proprie spalle, i peccati e i dolori di tutti i suoi simili; nelle sue preghiere, egli prega per l'umanità intera; in ogni essere umano vede il Cristo che bussa alla porta: perché, come Cristo si è fatto uomo fra gli uomini, così il pustinik annulla se stesso per ritrovare, attraverso l'identificazione con tutti gli esseri umani e specialmente con i più bisognosi, la presenza del Cristo. Pertanto il pustinik non è un personaggio malinconico e incline alla depressione, bensì un credente pieno di gioia e di amore, che rafforza la propria fede attraverso la prova del deserto, ossia della solitudine radicale e del distacco dal mondo.

 

Ecco come Catherine de Hueck Doherty descrive tale pratica nel suo bellissimo libro Pustinia: le comunità del deserto oggi (titolo originale: Pustinia. Christian Spirituality of the East for Western Man, Ave Maria Press, Notre Dame, Indiana, 1975; traduzione italiana di Mimmi Cassola, Milano, Editoriale Jaca Book, 1978, 1981, pp. 126-139).

 

“Il deserto, quale è compreso nella spiritualità orientale, è anche la dimora di Satana. Sappiamo dai Vangeli che vi abita e che lì ha tentato il Signore stesso. Le tre grandi tentazioni del Cristo hanno avuto il deserto come ambiente. Così il deserto, nella spiritualità cristiana, ha un profondo significato. Gli ebrei furono guidati nel deserto per quarant’anni. Abramo era stato chiamato a fare nel deserto un pellegrinaggio di fede. Non ho bisogno di elencare di nuovo tutti i casi in cui si parla del deserto nel Nuovo Testamento.

“Quando parlo del deserto a proposito del pustinik, non parlo del deserto in senso letterale, fatto di sabbia e di calore. Parlo di uno – il pustinik – che si reca in un luogo nascosto per essere solo col grande silenzio di Dio, per imparare a conoscere Dio come Dio stesso si rivela. Dio rivela se steso al pustinik in risposta al suo amore. Il pustinik attende, nella povertà, l’abbandono, e sapendo di essere un anawim, un vero povero nello spirito delle beatitudini. Questo abitante del deserto sa di trovarvisi non solo per e steso, ma per il resto dell’umanità. Capisce che deve prendere l’umanità con sé nelle sue preghiere e lacrime e che nella sua capanna abita anche l’umanità. Comprende la sua vocazione di profeta: se ascolta, è solo per trasmettere quanto gli viene dato. Comprende che la sua porta no ha serrature: solo un paletto contro il vento, ma in nessun caso contro un essere umano. Comprende che deve condividere con gli altri quello che gli è dato dal Cristo. Tutto questo  chiaro per lui.

“Il pustinik prevede anche che dovrà incontrare Satana. All’inizio, non sa quale sarà la frequenza di questi incontri. Questo gli è nascosto. Ma sa che inevitabilmente, prima o poi, il Maligno verrà a tentarlo.

“Nella tradizione orientale le tentazioni sono trampolini. Pare ridicolo paragonarle alle diverse ‘classi’ di una scuola, ma Dio permette che gli uomini siano tentati perché possano crescere nella fede, nell’amore e nella speranza. È come se Dio ci facesse passare da una scuola d’amore. Il nostro passaggio da una classe all’altra è la nostra reazione alla tentazione che egli permette al diavolo di esercitare su di noi, la nostra vittoria su queste tentazioni. Il Signore vuole che cresciamo nella fede e nell’amore di lui appoggiandoci su lui solo. Vuole che tutto il nostro essere si compenetri nelle sue parole: «Non temete nulla – io ho vinto il mondo», «Il Principe di questo mondo non ha parte in me», e «Non temete, piccolo gregge, io sarò con voi fino alla fine dei tempi». Egli vuole che con san Paolo facciamo l’esperienza del fatto che «Ti basta la mia grazia». Egli vuole insegnarci tutto questo, e per questo permette a Satana , che vaga nel suo deserto tenebroso e senz’acqua, di uscirne per penetrare nel deserto del pustinik.

“Quelli che vanno nel deserto per u tempo abbastanza lungo, o che hanno la vocazione di restarvi per ani, saranno visitati dalle tentazioni.  Queste possono essere sottili come il mormorio delle foglie sugli alberi, come il fruscio che fa la sabbia spostandosi sulle dune, come il brusio tutto fremiti di una foresta. Possono venire con delle grida come l’abbaiare del coyote in lontananza. Possono venire senza rumore: ma verranno. E d colpo la pustinia diverrà spaventosa. Sarà come se la casa crollasse sul pustinik. Del tutto all’improvviso, il Libro Santo non sarà più che un guazzabuglio di lettere, solo parole e frasi che nessuna preghiera sarà in grado di collegare a qualcosa nello spirito e nel cuore di chi abita nel deserto.

“Di notte, la paura verrà ad abitare con chi abita nella pustinia. Nei giorni più caldi, il luogo diventerà freddo. Nascerà un desiderio di fuggire dalla pustinia, di ritrovarsi in mezzo alla gente, di sfuggire a quella solitudine che s’impadronirà di colpo del cuore,  che, un attimo primo, pareva unito a Dio. All’improvviso, è come se Dio non fosse mai stato lì. Non c’è  più  che un capanno, una capanna di tronchi. La povertà sembra più spiacevole e più sinistra che mai.

“Le notti saranno appena sopportabili. La preghiera diverrà impossibile. Il sonno è fuggito, e si direbbe che non debba tornare mai più. Una paura quasi fisica, palpabile, sale come la febbre e s’impadronisce di voi. L’inutilità di una simile vita appare di colpo perfettamente evidente, e uno comincia a chiedersi perché mai si trovi in quel luogo deserto. «Perché Dio ci ha condotti in questo luogo deserto?» (Es., 16, 3). Quale follia ci ha portati qui? Lo spirito è continuamente riportato all’idea di fuggire, di sfuggire a tutto quello che adesso appare come totalmente privo di senso.

“Sì, Satana può venire sotto questo aspetto. Oppure può insinuarsi nell’intelletto provare al pustinik con una logica chiara e irrefutabile che sta sprecando l sua vita, che potrebbe fare molto bene in mezzo ai suoi simili, e che bisogna abbandonare quella vocazione assolutamente stupida. Talvolta Satana riceve il potere di tentare di convincere il pustinik che egli non ha affatto la vocazione, che tutto ciò è un’illusione. Quest’agonia dello spirito è ancor peggiore del terrore e del panico.  È come se l’edificio stesse crollando, come se stesse crollando la persona stessa. Sì, Satana può venire anche in questo modo.

“O ancora, egli può venire sotto l’apparenza dell’orgoglio.  Il pustinik può veramente pendersi per un saggio un saggio e la sua propria saggezza, e stimare che per lui è venuto l tempo di andare a predicare agli altri – ora che è «pronto». (…)

“In questa conoscenza – che senza Dio non posiamo far nulla – noi arriviamo a un alto grado d’intelligenza. Si giunge al momento del vero credere, quando si fa l’esperienza, nell’oscurità, nella paura, nel terrore, nel panico, che la grazia ci basta realmente. Arriviamo a percepire che, se Dio ha permesso al tentatore di avvicinarsi a noi, Dio ci darà allora la grazia di resistergli.

 

“Sì, questo sono i grandi momenti della crescita nella fede, nella speranza e nella carità, che Dio manda al pustinik. Sono anche i momenti in cui il pustinik si batte realmente per il mondo, perché viene attaccato per così dire i nome dell’umanità. Di modo che in quei momenti egli sa di essere estremamente umano lui sesso, e intanto, nello stesso tempo, sa che Dio gli dà delle grazie speciali per combattere quelle tentazioni, non solo per se stesso ma per tutta l’umanità. Il pustinik sa sempre di essere nella pustinia per gli altri, e che le sue preghiere, le sue mortificazioni, le tentazioni alle quali è esposto, i suoi incontri con Satana – tutto questo lo prova in quanto rappresentante dell’umanità. Perché il pustinik vive nel Cristo, e il Cristo ha preso l’umanità su di sé. E anche lui, il pustinik, mediante la grazia di Dio, pende su di sé tutta l’umanità , e con l'aiuto di Dio diviene un olocausto per tutti gli uomini. (…)

“La pustinia è per Dio una scuola permanente d’amore. Quando sarete passati per questa scuola, delle esplosioni come quella della bomba atomica saranno per voi come giochi di bambini. Probabilmente non vi renderete conto esattamente di ciò che siete e di quello che vi è caduto. Ma la gente verrà a voi. Uscirete per portare il vostro contributo, perché ormai sapete che no siete voi ad agire, ma lui.

“È possibile che, in avvenire, vengano a Madonna House delle persone cattive, realmente cattive. Dio vi farà sapere che sono cattive. Non avrete paura perché in un certo modo vedrete il Cristo anche in loro. Può anche accadere che vi uccidano, chissà. In questo caso, dovete dire con l’ultimo respiro: «Signore mio e Dio mio, alleluia!». Charles de Foucauld aveva capito questa specie di martirio privo di senso. Fu ucciso inutilmente nel Sahara da un gruppo di Tuareg ai quali non aveva fatto nulla.  Egli fu veramente un pustinik dalla porta sempre aperta; accettò questo martirio e non fuggì. Non cercò neanche di difendersi.  Esprimeva nella sua vita il suo martirio interiore.

“C’è un’altra specie di martirio. La maggior parte di noi on conoscerà il martirio come Charles de Foucauld. Ma un pustinik sarà martire in un altro modo, e deve prepararvisi.  Si ratta del martirio che consiste nell’affrontare se stessi, nel far fronte al proprio io emozionale.  Nessuno vuol riconoscere che gli capita di comportarsi come se avesse dieci anni, di passare per mille umori mutevoli, di aver paura delle cose più ridicole. Non ci piade affrontare questi fatti.  È questo l’inizio del nostro martirio.

“Allora entra il Cristo. Ricordatevi che la porta della pustinia non si chiude a chiave. Questo vuol dire che anche il Cristo può entrarvi! (…)

“Il martirio continua. Cominciamo a sapere chi siamo. Cominciamo a sentirci di casa con le nostre difficoltà, con i nostri peccati, a vedere più chiaramente cosa essi siano. Si produce una strana chiarezza, una chiarezza dell’anima. Immagino che ci vorrà un bel po’ di tempo a degli occidentali per arrivare a questa chiarezza dell’anima.

“La chiarezza dell’anima non è la stessa cosa della chiarezza ella mente. Io oso vedere chiaramente i miei peccati mentalmente. Per vincere i miei peccati, posso ricorrere ai metodi raccomandati dalla teologia ascetica (che è fondata sulla ragione). Ma la chiarezza dell’anima si acquista con il dono delle lacrime. La mia mente resta serena  ed intatta perché so che la grazia delle lacrime non viene dalla mia mente ma procede dal cuore di Dio. Essa mi tocca il cuore, e io piango. Adesso la mia mente è chiara, il mio cuore è chiaro – io sono chiara. Non dimenticate mai questo fatto (di cui la pustinia vi dà l’intelligenza): quando io piango, il Cristo piange, perché il Cristo è in me. Quando il mio pianto si unisce a quello del Cristo, è la sua santità che mi lava, e non la mia.

“Le lacrime so anche un altra via per la quale arriviamo ad apprezzare il grande dono di Dio: la nostra libertà. La nostra anima, lavata dalle lacrime, può vedere chiaramente che siamo veramente liberi, che possiamo dire di sì o di no a Dio. Nella pustinia, questa lotta tra il sì e il no, questa lotta con Dio, è portata al centuplo. A un certo momento, il vostro sì a Dio vi renderà non esistenti. Questo non dura che un secondo. Grazie a queste lacrime e a queste lotte, avverrà qualcosa nella vostra anima purificata. Sembrerete come morti. Ma questo non durerà a lungo. Ritornerete, e quel  giorno conoscerete un miracolo. Avrete scelto Dio. Vostra sarà la vera liberazione, che Dio riserva a coloro che l’amano.

“Il Signore vi ha conosciuto da sempre. Ha permesso che il suo fuoco scendesse su di voi come una purpurea colomba. Il suo fuoco è su di voi. Voi salite lentamente la sua montagna, la montagna del Signore. Per arrivarvi, dovete passare attraverso il cuore di Dio. Passando dal suo cuore, voi divenite un fuoco di gioia, e, insieme, un enorme fuoco di gioia. Divenite un fuoco di gioia sulla cima della montagna.  Molte persone lo vedono e vengono per vedere cosa sia. Anche loro dunque salgono sulla montagna: vengono alle vostre pustinia. Vedono che siete dei fuochi di gioia molto strani. Trasparenti. Voi siete un fuoco di gioia che loro possono attraversare. Dall’altra parte li attende il cuore di Cristo. Voi stessi siete stati raccolti alla mano di Dio, e con il vostro Sì gli avete dato il vostro accordo; adesso siete divenuti un fuoco di gioia trasparente che guida altri uomini a Cristo.”

 

Catherine de Hueck Doherty e il marito Eddie hanno preso i voti di povertà, castità e obbedienza nel 1954 e, nel 1960, hanno ottenuto un formale riconoscimento da parte del vescovo di Pembroke. Comunità strutturate sul modello di Madonna House sono state fondate in Nord e Sud America, Indie Occidentali, Africa, Russia, diffondendo ovunque, tra le altre cose, la pratica della pustinia: una pratica ancor più necessaria, nel rumore del mondo moderno, per la riscoperta dell'anima. Catherine, infatti, soleva ripetere che nell'esperienza del 'deserto' l'anima ha la rivelazione della propria essenza, il riconoscimento del proprio io emozionale: ed è una cosa difficile, capace di  mettere in crisi - almeno in un primo momento -, perché la società moderna sembra fare di tutto per renderci estranei alla nostra natura più autentica e profonda.

Catherine de Hueck Doherty è morta il 14 dicembre 1985, lasciando una forte impressione in tutti coloro che hanno avuto occasione di avvicinarla. Era una donna decisa, a volte quasi burbera, ma semplice, schietta, generosissima: una vera forza della fede. Certe sue intuizioni, ad esempio la valorizzazione del ruolo dei laici all'interno della Chiesa, hanno precorso significativi aspetti del Concilio Vaticano II.

Il papa Giovanni Paolo II ne ha avviato il processo di canonizzazione, promuovendola al rango di "serva del Signore".