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Una pagina al giorno: il cuore inaridito di Carlo Cassola

di Francesco Lamendola - 17/03/2008

 

 

 

"Caro Mario, non hai idea quanto piacere mi ha fatto avere notizie tue  e sapere che ancora ti ricordi di me e mi pensi sempre; e che addirittura mi vorresti sposare…

"È vero, io sono sempre libera,, la signora Zaira però non ti ha detto tutta la verità. Vedi Mario tu mi dicesti una volta che io ero una ragazza onesta e che se in un domani avessi conosciuto un giovanotto non avrei potuto nascondergli il mio passato: come invece fanno tante. E per questo non volevi che divenissi tua, perché avevi timore di compromettere una mia possibile sistemazione  avvenire.

"Così voglio essere onesta anche con te e non nasconderti nulla. So di darti un dispiacere perché forse avrai creduto che io ti ero rimasta fedele. Non è stato così, Mario, e me ne rincresce. Io ho avuto una relazione, che è durata tre mesi. Non ci sono state conseguenze, ma tutti l'hanno saputo, e anche Zaira lo sa, ma si vede che non te l'ha voluto scrivere per non darti un dispiacere. Io però devo dartelo questo dispiacere, non sarei sincera se non te lo dicessi, e anche se tu mi disprezzerai dopo aver letto queste mie parole, pazienza, me lo sono meritato.

"Però devo anche dirti che se ti sono stata infedele non ho mai cessato di amarti. Tu mi dirai: come è possibile? È possibile ,invece, perché io quell'uomo non l'amavo, io nella mia vita ho amato te solo e continuo ad amarti…

"Oh, Mario, perché amandoci ci facciamo del male? Io, me ne accorgo, ti ho fatto del male, perché  se tu non avessi il pensiero di me, soffriresti meno per la lontananza…Ma anche tu mi hai fatto del male, perché se non ti avessi conosciuto non sarei caduta. Io ero disperata, non potevo più adattarmi alla vita di prima, è per questo che sono caduta. Capisci, Mario? Non mi importava più nulla della vita, mi pareva che non avesse più nessun valore… E allora, perché avrei dovuto aver cura della mia reputazione? Credimi, non è stato per amore che mi sono data a quell'uomo. Non so cosa mi è successo, forse volevo cancellare il ricordo di te, che non mi lasciava più vivere…

"Ora so che non mi scriverai più, perché so che ti ho deluso e tu penserai di esserti ingannato sul mio conto. Ma non m'importa, mi hai fatto tanto felice lo stesso scrivendomi. E così termino la mia lettera dicendoti che ricambio i tuoi sentimenti e che nel profondo del cuore sarò sempre la tua

                                                                                                                                                Anna

 

"La mattina Anna rimase un po' a letto, ripensando agli avvenimenti del giorno prima. Era stata tutto il pomeriggio in casa ad aspettare la sorella. Bice e Enrico erano arrivati la sera tardi; e s'erano spaventati quando avevano saputo della zia. Lei li aveva rassicurati dicendo che ormai era fuori pericolo. Avevano stabilito di andarla a trovare tutti insieme: sarebbero partiti col treno delle undici.

"Perciò, non c'era tempo da perdere, perché aveva da fare una quantità di cose. Anna si affrettò ad alzarsi. Ma poi indugiò alla finestra a godere lo spettacolo del sole che s'era appena levato. I suoi occhi si posarono su ogni particolare, sull'abitato di Marina, sui gruppi di case più avanti nella campagna, sulla sagoma massiccia dello zuccherificio, sui tetti di Cecina emergenti al di là della ferrovia, sulla strada nuova, che aveva aperto un varco nei campi e avanzava diritta e presto  sarebbe stata terminata. Avrebbe dovuto odiarli quei luoghi, che erano pieni di tanti tristi ricordi. Invece li amava; li amava, e non avrebbe mai potuto abbandonarli.

«Io sono come i gatti, - penso alla fine; - mi affeziono più ai luoghi che alle persone». Perché se una persona amata la lasciava, lei ne soffriva, certo, ma poi la ferita si rimarginava; mentre se l'avessero strappata di lì, dai luoghi che amava, allora sarebbe morta di dolore.

"Ma dunque, nemmeno Mario aveva contato nulla nella sua vita? Certo, lo aveva amato, aveva gioito e sofferto per causa sua; ma i luoghi, alla fine, avevano avuto la meglio, assorbendo il ricordo di Mario come già tutti gli altri, fin dai tempi remoti della sua infanzia.

"Anna continuava a star lì, appoggiata al davanzale, con l'aria fresca del mattino che entrava per la finestra spalancata, e il sole che la scaldava e la intorpidiva. Che importava se l'avvenire non le prometteva nulla? Il passato, contava di più. E poi, nessuna vita era povera: nemmeno quella di Ada. Il sole! Il sole! Si levava ogni mattina, ogni mattina riscaldava le anime, col suo calore, con la sua luce. Ogni mattina tornava a svelare la infinita bellezza del mondo, quella bellezza che l'anima può contenere, ma che la vita quotidiana non può accogliere. La vita quotidiana si componeva di tante cose, piccole e grandi, rifare i letti e mangiare, fidanzarsi e sposare; ma la vita vera era come la luce e il calore del sole, qualcosa di segreto e di inafferrabile.

"Sbadigliando e stirandosi, Anna andò in cucina.. Mentre aspettava che il late bollisse, scostò la tendina e guardò fuori. Il mare era scolorito, salvo la striscia turchina dell'orizzonte. La baracca aveva le imposte sprangate. Enrico e Bice dovevano essere ancora a letto. Forse erano svegli, e si godevano l'intimità coniugale. Anna non provava invidia. Era ormai una donna soddisfatta, quieta e saggia; non aveva desideri né rimpianti, e non temeva la solitudine."

 

In questa pagina, che conclude il miglior romanzo di Carlo Cassola, Un cuore arido (del 1961), troviamo riunite molte caratteristiche dello stile e dei temi caratteristici dello scrittore: pulizia e limpidezza formali, semplicità sintattica, minimalismo contenutistico, equazione fra saggezza e rassegnazione, scandaglio acuto e partecipe della psicologia femminile.

I personaggi femminili che più attraggono Cassola sono quelli di giovani donne di estrazione popolare, da Fausto e Anna, del 1952, a La ragazza di Bube, del 1960. Anche la protagonista di Un cuore arido si chiama Anna, come quella del primo romanzo: appunto per non confonderla con lei, lo scrittore ha scelto un titolo  in cui non compare il suo nome. Quanto al fatto di aver derogato da una precisa regola che si era imposta, quella di non esprimere giudizi di valore nei titoli dei suoi romanzi, ciò si spiega con l'adozione del punto di vista "esterno" alla protagonista: è un suo innamorato respinto che, a un certo punto, dice ad Anna: «Tu non hai cuore!». Ma è proprio vero che il cuore di Anna è arido, o inaridito?

In effetti, il critico Alberto Asor Rosa ha distinto efficacemente, nella vicenda di questa ragazza semplice di paese, tre fasi o momenti salienti, che contribuiscono a fare di lei il personaggio serenamente rassegnato, che abbiamo visto nell'ultima pagina del romanzo (su Mondo Nuovo del 19 novembre 1961).

 

"La storia di Anna Cavorzio (…) si sviluppa attraverso tre momenti, perfettamente calibrati nell'economia generale del libro. Potremmo definirli fasi di uno sviluppo obbligato verso una conclusione resa necessaria dalla natura stessa del carattere (o, vorremmo dire meglio, del destino) di Anna: il momento dell'attesa o della vita sperata, quello del disinganno o della vita vissuta, quello del recupero sentimentale o della vita contemplativa. Nel primo momento, Anna aspetta di vivere, e lo fa con tutta l'intensità di cui è capace il suo carattere introverso e caparbio; nel secondo, ella vive le sue esperienze amorose, ricavandone solo o cocenti dolori o profonde umiliazioni; nel terzo, si sottrae finalmente alla mischia dolorosa o meschina o avvilente, che è il corso quotidiano degli eventi,  e si pone al di sopra di essa, libera nel momento stesso in cui ha rinunciato a tutto. Abbiamo parlato di obbligatorietà, di necessità di questa vicenda, la quale infatti non è tanto un processo quanto, a rigor di termini, una esemplare dimostrazione."

 

In effetti, alla conclusione del romanzo, facendo un bilancio non della propria vita, ma delle proprie vicende sentimentali, Anna giunge alla conclusione che, per lei, il passato è più importante del presente: è una persona che sa vivere di ricordi, senza immalinconirsi. Non solo: ella si accorge di aver superato la prova più dura: di aver vinto la paura di restare sola (particolarmente forte in una ragazza, in quell'ambiente sociale e in quegli anni); di non temere più la solitudine. Anna, quindi, è forte: ha la forza di chi non vive più nell'attesa di qualcuno o qualcosa che vengano, dall'esterno, a dare un senso alla propria vita.

Non è, si badi, la triste e scoraggiata "saggezza" di Zeno Cosini, e men che meno di Emilio Brentani, nei due romanzi di Svevo La coscienza di Zeno e Senilità; perché Anna non è interiormente invecchiata e ingrigita; al contrario, continua ad amare la vita: ma senza farsi più illusioni.

Nel film Appuntamento con una ragazza che si sente sola, del 1971, firmato dal regista Peter Hyams, un giovanotto (James Caan) dice, a un certo punto, alla protagonista, T. R. Baskin (una splendida Candice Bergen) una frase assai significativa: «Nella vita, tutto dipende da quanto si rimane delusi».

Ebbene, Anna Cavorzio è rimasta gravemente delusa; i suoi sogni di felicità sono andati in pezzi; eppure non si abbatte e non si immalinconisce. Le resta la capacità di godere del passato, rivivendolo e, forse, trasformandolo attraverso il prisma della memoria; e, più ancora, quella di affrontare con spirito costruttivo il presente e l'avvenire. Le resta, in particolare, l'amore per le cose, per il paesaggio, per il suo paese natio, per il mare, per i campi: come i gatti, ella si affeziona più alla casa, che alle persone. E, come i gatti, possiede una vitalità ammirevole: nessuna delusone riesce a piegarla del tutto.

Proprio questo aspetto del carattere di Anna, la forza interiore unita ad una forte dose di disillusione e di "realismo", che la avvicina a molte altre figure femminili della narrativa di Carlo Cassola, ha fatto pensare a Franco Fortini - forse un po' esagerando, ma nemmeno poi tanto -, che in lei vi siano degli aspetti di femminilità scontrosa ed acerba, non interamente risolta e, al limite, una componente di inconscia omosessualità.

Scriveva Fortini in Comunità  del novembre 1961 (riportato nella Nota introduttiva a Carlo Cassola, Un cuore arido, Torino, Einaudi, 1978, pp. X-XI):

 

"Nei brevi capitoli si ripetono le entrare e le uscite dalla casa, gli incontri per via o sulla spiaggia, le gite a Cecina o a Livorno (…); gli eventi si duplicano (due volte Anna porta via ad un'altra il fidanzato, due volte si fidanza Bice, due volte Anna incontra Marcello al ballo, due volte sulla spiaggia, così via. (…) Per questo le sequenze sono pressoché isocrone, non esistono più le lunghe o più ampie scene di altri libri ma solo ininterrotte ondulazioni tonali. (…) Cassola ha ripreso la sua accanita fatica di riduttore. (…) ma si ha l'impressione che Anna abbia in sé una complessità e anche una ambiguità irriducibile alla sua 'concezione del mondo'. (…) Che dire del suo collerico moralismo, della sua ripugnanza per l'eros altrui alternata con la tendenza a spiarlo e  controllarlo, del fastidio e turbamento della nudità altrui e propria, del suo virilismo e sadismo, insomma della componente forse omosessuale trasparente in questa come in altre eroine di Cassola che, avuto il maschio, lo espellono? È come se la verità di Anna esorbitasse dalla riduzione compiuta dal suo autore. (…) sembra quasi che Cassola abbia trovato un personaggio che gli dà scacco e di fronte al quale il più forte non è lui; e questa era invero una delle riuscite che gli si augurava."

 

Ma forse è molto più semplice di così.

Forse, per tutti i narratori che si pongono dal punto di vista non di se stessi, ma delle cose e persone  che vengono narrando - come Cechov o come il Joyce dei Dubliners -, arriva il momento in cui i propri personaggi cominciano a rivelarsi "più forti" del proprio autore (una tesi già cara a Pirandello) : e questo è un segno della loro vitalità, della loro piena riuscita artistica.

Forse, Anna è così forte perché si lascia vivere, perché si abbandona a precipizio nelle cose, rinunciando a vederle attraverso la lente deformante dei suoi sogni giovanili.

E, a quel punto, avendo abbandonato tutto, ella è pronta a ritrovare tutto. Forse anche Mario, che pure non s'illude che la verrà a cercare, dopo quella lettera di ammirevole e pur così dolorosa sincerità; o forse un altro. O forse nessuno: ma non importa. Anna ha capito la grande lezione della vita: accettarla, nel senso più profondo e leale della parola.

 

Carlo Cassola è morto a Montecarlo di Lucca nel 1987 (era nato a Roma, da genitori toscani, nel 1917). L'anno scorso, pertanto, ricorreva il ventennale della sua scomparsa: ma è passato pressoché inavvertito. Già al suo funerale, non c'era quasi nessuno dei suoi colleghi e neanche l'editore che, coi suoi libri, aveva fatto un bel po' di soldi.

E noi sappiamo il perché: quei signori che hanno fatto il bello e il cattivo tempo della critica letteraria, in base a un preciso paradigma estetico e politico, sono ancora lì, dov'erano trenta e quaranta e cinquanta anni fa; o, se non sono più gli stessi, vi hanno collocato i loro nipoti e i loro protetti, tutta la loro corte. E continuano a fare danni,  veicolando un'immagine distorta della produzione letteraria italiana dal 1945 ad oggi.

Quattro cose, in particolare, non hanno perdonato a Cassola, i suoi trinariciuti detrattori, di ieri e di oggi.

La prima, quella di aver fornito, con Fausto e Anna e con La ragazza di Bube, un'immagine non retorica e non convenzionale della Resistenza e del post-Resistenza.

La seconda, avere abbandonato, dopo le speranze accese con Il taglio del bosco, quello che per essi era il Vangelo neorealista.

La terza, aver indugiato nelle piccole cose antieroiche della vita di provincia e nelle pieghe di una dolente aspirazione alla felicità, attirandosi la taccia di "Liala", ossia di narratore "rosa" (e ciò, proprio da parte di Franco Fortini).

La quarta, essersi impegnato anima e corpo, negli ultimi ani di vita, in una battaglia pacifista ed ecologista che sapeva più di anarchismo che di marxismo. E quest'ultimo peccato, agli occhi di certi Soloni de L'Unità e dintorni, appariva come il più grave di tutti: il compendio di tutte le eresie di matrice piccolo-borghese.

 

Eppure, chi ha letto anche solo un libro di Carlo Cassola sa bene quanto sia stato naturale andarne a cercare un secondo, un terzo e un quarto.

Carlo Cassola, come tutti i grandi, scriveva in modo semplice, ma non banale, nella prospettiva della "poesia onesta" di Umberto Saba: perché la vita comune delle persone comuni, ma autentiche,  è, di norma, semplice, ma non certo banale.

E, come per tutti i classici, si può dire che i libri di Carlo Cassola non finiscono mai di dire quello che hanno da dire.