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Leibniz

di Chiara Papa - 19/03/2008

 

 

 

 

 

 

In questo breve volume, Michael-Thomas Liske, professore alla Passau Universität, studioso di filosofia antica e medievale e già noto agli studiosi leibniziani per aver pubblicato Leibniz' Freiheitslehre: Die Logisch-Metaphysischen Voraussetzungen von Leibniz' Freiheitstheorie nel 1993, fornisce tutti gli strumenti necessari per una visione sintetica e tuttavia esauriente del pensiero del filosofo tedesco.

Tanta è la sua attenzione da un punto di vista storico, quanta la chiarezza nell’esposizione delle questioni teoretiche e degli obiettivi scientifici. Per questo motivo l’opera permette di essere consultata da chi voglia accostarsi per la prima volta allo studio di questo autore, da Liske definito «una delle figure più ricche nella storia intellettuale dell’Occidente, ma anche una delle più sfuggenti» (p. 11), come anche da coloro già esperti delle problematiche leibniziane. L’apparato bibliografico, sapientemente disposto per temi, risulta aggiornato sia rispetto alle ultime pubblicazioni scientifiche italiane, sia rispetto all’edizione tedesca, data alle stampe nel 2000 per i tipi della C.H. Beck.

Poiché Liske si concentra sulla problematica metafisica della sostanza individuale, sin dall’inizio del testo l’autore chiarisce che la sua attenzione si atterrà esclusivamente all’aspetto filosofico della riflessione leibniziana, non con l’intento di ridurre o semplificare, bensì nella convinzione che tale problematica faccia da trait d’union tra logica e metafisica permettendo allo studioso di abbracciare le molteplici teorie leibniziane occupandosi di un'unica tematica. Infatti «lo stesso Leibniz ha affrontato la fondamentale tematica della sostanza individuale adottando numerosi approcci e muovendo dalle discipline più diverse […] non solo svariate discipline filosofiche […] ma anche scienze come la fisica […] e la matematica […] serviranno a illustrare la nozione della sostanza singola» (p. 7). L’autore, quindi, è critico nei confronti di quei tentativi riduzionisti, tra i quali porta ad esempio il logicismo di Russell, il quale valorizzando, come è noto, la riflessione logica leibniziana trascura il fatto «che le strutture logiche e le strutture ontologiche si condizionano reciprocamente e sono costantemente traducibili l’una nell’altra» (p. 81).

Chiarificatrice a questo proposito è la distinzione di tre momenti paralleli che attraversano sviluppo e struttura del pensiero leibniziano. Questi tre momenti, sistematico, enciclopedico e dialogico, sono tutti fortemente intrecciati con la sua personalità. Tale disposizione, che pur rende conto dei complessi studi di Leibniz, potrebbe indurci a schematizzare troppo superficialmente queste tre linee guida facendoci credere che «l’aspirazione alla compattezza sistematica» scaturisse, imponendosi, dai contenuti della filosofia di Leibniz, e che «gli altri due momenti, invece, scaturissero soprattutto dalla sua personalità» (pp. 13-14). Il pericolo è quello di perdere di vista l’importanza dei princìpi comuni, fondamentali per non rendere le riflessioni di Leibniz prive di relazioni. Leibniz riconduce la nozione di verità a quella di coerenza in base alla quale «congruente sarà un fenomeno, quando consta di una pluralità di fenomeni dei quali si può dar ragione gli uni in base agli altri, o in base a un ipotesi comune abbastanza semplice; sarà poi congruente se mantiene le consuetudini di altri fenomeni […] quando dai precedenti si possa render ragione di quello presente, o quando siano tutti coerenti con una stessa ipotesi, come loro ragione comune» (Sul modo di distinguere i fenomeni reali da quelli immaginari, in G.W. Leibniz, Scritti filosofici, vol. 1, Utet, Torino 1967, p. 249). Tale concezione coerentista viene presa come esempio da Liske per far capire senza ambiguità come la sistematicità non si renda utile a Leibniz solamente per motivi espositivi, ma sia piuttosto un «aspetto […] radicato in profondità nella filosofia di Leibniz, […] un principio, […] un momento essenziale di quella stessa filosofia in virtù del quale essa si dimostra vera e degna di fede» (pp. 14-15). Allo stesso modo valutare il momento dialogico – Liske pone l’accento sull’attenzione che Leibniz dà «all’universo linguistico e concettuale dell’interlocutore» (p. 249) – permette non solo di concentrarsi su un aspetto della personalità del filosofo, ma ci può essere utile anche per dare senso alla mancanza di un’opera sistematica; problema, questo, che ci porta direttamente alla questione della ricezione. In mancanza di un corpus unitario, una prima vera comprensione è stata raggiunta solamente attraverso la mediazione di Christian Wolff e della sua scuola in un contesto culturale e politico profondamente diverso. È noto infatti che l’esigenza di sistematicità espressa nella filosofia wolffiana apparteneva a un’epoca successiva a quella leibniziana, intrisa, questa, di influenze e interessi che andavano al di là dei programmi culturali illuministi.

Liske asserisce che «alla forma sparsa in cui la filosofia di Leibniz si presentava, è corrisposta una sua ricezione diffusa da parte della posteriorità» (p. 250) e poi, nota che «ancor oggi si incontrano ovunque concetti leibniziani, nelle teorie filosofiche non meno che nelle teorie scientifiche» (ibidem). Secondo Liske molti autori «hanno ripreso soltanto singole idee leibniziane per collocarle in un contesto concettuale del tutto estraneo» (ibid.), ma hanno commesso un errore perché «proprio nel caso di un pensatore come Leibniz, però, non si dovrebbero avere parti isolate della totalità sistematica, dal momento che per lui un sistema filosofico dev’essere l’immagine strutturalmente identica di un universo in cui tutto è connesso con tutto» (ibid.)

Il problema della ricezione, parallelamente, mette di fronte alla mancanza di criteri precisi che possano orientare gli studiosi nel riconoscere, con la dovuta accuratezza, quali aspetti debbano essere considerati una ripresa ‘consapevole’ della filosofia leibniziana, piuttosto che un prestito occasionale. Quest’ultimo è il caso della filosofia analitica contemporanea, a proposito della quale, in riferimento a Leibniz, Liske tratta della logica modale di Saul Kripke – noto per essersi servito della nozione di mondi possibili per definire i concetti modali principali (possibilità e necessità) – e dell’ontologia di David Lewis, sostenitore della counterpart-theory, secondo la quale «il medesimo individuo non può mai appartenere a due diversi mondi possibili (qualora si definisca in modo rigoroso l’identità o ‘ipseità’): possiamo soltanto chiedere quale individuo di un altro mondo possibile debba, in base al numero e all’importanza delle somiglianze con un individuo dato, essere considerato come la sua controparte» (pp. 249-250).

Esigenza di sistematicità e disseminazione concettuale sono i due poli attraverso i quali si è esplicitato questo capitolo di storia delle idee; solo uno di essi è stato portato a effetto dalla tradizione filosofica tedesca, come dall’indagine storiografica. È per questa ragione che Liske conclude dicendo che «Leibniz è […] un autore enormemente fecondo, ma certo non per coloro che vogliano conservarne pietosamente l’edificio concettuale, bensì per coloro che, muniti di coraggio sufficiente ad abbattere quell’edificio, sapranno trovare tra le macerie un fondo pressoché inesauribile di sollecitazioni filosofiche» (p. 255).

 

Liske, Michael-Thomas, Leibniz, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 294, € 19