Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Richard Sorge. La più grande “spia” del XX secolo

Richard Sorge. La più grande “spia” del XX secolo

di Stenio Solinas - 20/03/2008

È un peccato che, a quarant’anni
dalla sua uscita,
nessun editore abbia pensato
di ristampare il saggio
che F. W. Deakin e G.
R. Storry scrissero sulla
vicenda intellettuale e
politica di Richard Sorge, The Case of
Richard Sorge, appunto (in Italia allora lo
tradusse Einaudi). È un peccato perché la
storia di quella che fu definita “la più grande
spia del XX secolo” si presta oggi come non
mai a considerazioni che hanno a che fare
con la geopolitica e i rispettivi interessi
nazionali delle grandi e medie potenze, nonché
sul giusto peso che i sistemi politici debbono
dare alle alleanze strategiche su scacchieri
internazionali. Né va sottaciuto o
dimenticato il “fattore umano”, che nel caso
di Sorge raggiunse vette inconsuete: tedesco
da parte di padre, russo e nato a Baku da parte
di madre, volontario nelle file della Werhmacht
nella Prima guerra mondiale, più volte
ferito e decorato al valor militare, agitatore
comunista negli anni Venti e membro del
Comintern sovietico, agente doppiogiochista
in Cina e in Giappone negli anni Trenta.
“La più grande spia del XX secolo” abbiamo
appena scritto, ma Sorge stesso non sarebbe
stato d’accordo con questa definizione e vale
la pena di capirne il perché: “Lo spionaggio
normale cerca i punti deboli nelle strutture
di una nazione. Il mio scopo era, invece, di
mantenere la pace fra il Giappone e l’Unione
Sovietica. Perciò, io non ritengo che le
mie attività fossero contrarie agli interessi
nazionali del Giappone”. Politicamente parlando,
Sorge si era attribuito una missione
più complessa che si può così sintetizzare:
influire, attraverso l’ambasciata tedesca di
Tokio, sulla politica di Berlino, indirizzandola
in modo utile all’Unione Sovietica. In
modo utile non voleva però dire nocivo per
Berlino: Sorge era fra quelli che ritenevano
giusta una politica di non aggressione fra i
due Stati e che vedeva nello scenario dell’Estremo
Oriente più logica un’espansione
giapponese verso il Pacifico, ovvero contro
gli Stati Uniti, che verso gli Urali, ovvero
Mosca. Conosceva la geografia e sapeva farla
interagire con la storia...
Il termine “spia”, si sa, ha in sé qualcosa di
ambiguo se non di sporco, e non sorprende
che Sorge lo rifiutasse. Ma prima di addentrarci
un po’ di più sulla reale consistenza di
quel rifiuto, va comunque detto che il comparativo
qualificativo che l’accompagna è
giustificato. Sorge, tanto per intenderci, fu
colui che trasmise a Stalin la data dell’attacco
di Hitler all’Urss e del Giappone agli Stati
Uniti, fu l’uomo che non scassinava casseforti
perché i documenti gli venivano
mostrati dai loro proprietari, e non sparava
per penetrare là dove gli interessava, perché
le porte gli venivano aperte dai custodi del
segreto...
Gli eccezionali risultati da lui raggiunti si
spiegano con il combinato disposto di una
ricca rete di informatori, certo, ma anche con
la capacità di analisi e di studio delle situazioni,
con un approfondimento accurato relativo
alla storia dei Paesi in cui si trovò ad
operare. Il giorno in cui lo arrestarono, i
poliziotti giapponesi misero i sigilli a una
casa che conteneva più di mille libri sul Sol
Levante, usi, tradizioni e costumi, economia
e politica, pensiero militare...
Sorge arrivò in Giappone nel settembre del
1933. Precedentemente era stato in Cina,
dove essenzialmente aveva svolto il compito
di un esperto osservatore politico ed economico,
quale egli era. Aveva quindi indagato
sulla struttura del governo di Chiang Kaishek
sul ruolo delle potenze occidentali in
loco, sull’agricoltura e l’industria cinesi. Tutto
ciò perché le autorità sovietiche potessero
giudicare con cognizione di causa, dopo i
disastrosi episodi insurrezionali di Canton e
di Shangai del 1927, i rapporti di forze esistenti
in quel Paese fra i nazionalisti del
Generalissimo, le varie bande locali dei
“signori della guerra” e i comunisti. C’era
rimasto tre anni, facendo base a Shangai e
districandosi in quello che per le contemporanee
presenze delle legazioni europee, di
quella americana - ciascuna di esse dotata di
propri organi di polizia e di autogoverno -
del potere nazionalista e della volontà cospiratoria
comunista era un vero e proprio infernale
labirinto di doppi e tripi giochi politici,
di malavita organizzata e di violenza quotidiana...
L’esserne uscito vivo, l’aver svolto
con intelligenza il suo compito di osservatore,
di analista e di informatore testimonia
della sua intelligenza e della sua personalità.
Già, perché oltre al Sorge professionista dell’informazione,
c’era anche un tipo umano al
di fuori del comune. Nato nel 1895, Richard
era allora un maturo trentenne alto e robusto,
claudicante per le ferite di guerra, forte bevitore,
poliglotta e polemista, a suo agio in
ogni classe sociale. Il fronte gli aveva dato
quella noncuranza nei confronti del rischio
che unita a una buona educazione altoborghese
e a un’abitudine ormai decennale al
travestimento, a doppi passaporti, all’entrare
e uscire dai confini degli Stati senza farsi
notare, aveva finito con il costruirgli una personalità
singolare, magnetica e insieme sfuggente.
Tutti lo conoscevano, o meglio, tutti si
illudevano di conoscerlo, ma in realtà nessuno
sapeva bene chi veramente fosse.
In questo era anche favorito dal vivere in una
colonia tedesca, quella di Tokio,
isolata all’altra estremità del mondo,
dove gli echi della madrepatria
arrivavano attenuati e dove il
manifestare, come egli faceva, il
radicalismo critico tipico di chi
si considerava fuori della
mischia, veniva più addebitato
al carattere di un ex combattente
della Grande guerra che
non a valutazioni ideologiche
anti-regime. Fra il bar dell’-
hôtel Imperiale, le birrerie
Rheingold e Fledermans,
gli alberghi sul lungomare
di Hommoku e di Yokoama,
Sorge veniva visto
come un tipico membro
di quello che gli europei
benpensanti di stanza in
Giappone avevano
soprannominato il
“Balkan club”: scapoli,
bevitori, frequentatori di locali notturni
e di prostitute. Al numero 30 di Nagasa kacho,
Sorge riceveva spesso la visita di Myake
Hanako, entraineuse del Rheingold, che
dopo un lungo corteggiamento aveva accettato
di divenire la sua concubina. Dai suoi
ricordi vien fuori l’immagine di un uomo
generoso e gentile, volitivo, ma controllato.
L’unica volta che perderà il controllo sarà il
giorno in cui seppe dell’attacco tedesco contro
l’Urss: quel giorno pianse come se gli si
spezzasse il cuore. “Sono solo” le confessò.
Sarà Hanako-san a recuperare i resti di Sorge
nel dopoguerra, seppelliti in forma anonima
nel cimitero Zoshigaya dalle autorità carcerarie
di Sugamo e a trasferirli in quello di
Tama, alle porte della città.
Per un occidentale, il Giappone di quegli
anni era un Paese paradossale, guidato in
teoria da un imperatore divino, che però non
poteva esercitare quasi nessuna autorità
diretta, governato da una burocrazia centralizzata
che nelle questioni importanti doveva
però seguire i dettami di una delle Forze
armate. Una nazione famosa per l’obbedienza,
la disciplina confuciana, l’abnegazione
della sua gente, e tuttavia ospitante demoni
ribelli, nel suo cuore più profondo la cui violenza
omicida esplodeva sempre in nome
dell’imperatore. Una sorta di libro chiuso per
uno straniero, insomma, e che però con intelligenza
e pazienza Sorge riuscì ad aprire e
imparò a leggerlo.
Si deva a lui l’invenzione della frase “Espansione
permanente”, per spiegare la politica
giapponese dopo la fallita insurrezione militare
del 1936. Suggerita dalla formula
della “rivoluzione
permanente”
di Trockij
stava a indicare
la scelta del
governo al bivio
fra introdurre
nuove riforme
sociali e nuova
disciplina all’interno
dell’esercito
da un lato, ovvero
scaricare all’esterno
le contraddizioni e
le tensioni nazionali.
Sorge capì che sarebbe
stata querst’ultima
l’opzione scelta, ma
capì anche che l’espansione
sarebbe stata
rivolta verso la Cina e
non verso l’Urss: “Avevo
in mente - scriverà -
una tradizione di espansione che risaliva ai
giorni dell’imperatrice Jingo”.
Sorge, dunque, non era una semplice “cassetta
delle lettere”, ovvero un postino che si
limitava a ricevere e/o smistare notizie
“segrete” e informazioni. “È sempre stato
mio desiderio e piacere personale imparare
qualcosa sui luoghi in cui mi sono trovato, e
questo specialmente nei riguardi del Giappone
e della Cina. Non ho mai considerato tale
studio soltanto un mezzo per raggiungere
uno scopo. Se avessi vissuto in condizioni
sociali pacifiche in un ambiente di pacifica
evoluzione politica, sarei forse stato uno studioso,
non certo un agente di spionaggio”.
È di Sorge la miglior analisi della “rivolta
dell’esercito del’36” e il fatto che essa fu
pubblicata sulla rivista di geopolitica di Karl
Haushofer, inserisce l’altro elemento di una
vita singolare, un comunista con credenziali
nazionalsocialiste...
Qui bisogna ritornare da dove siamo partiti,
ovvero dalla capacità di valutare le alleanze
politiche non in nome dell’ideologia, ma,
appunto, degli interessi nazionali e delle
zone di influenza. Sorge non avrebbe voluto
che Germania e Urss entrassero in rotta di
collisione: favoriva un asse Berlino-Mosca-
Tokio, memore che “l’esercito tedesco, prima
dell’avvento di Hitler, aveva ricavato
grandi vantaggi dalla collaborazione con l’Unione
sovietica; e che l’aeronautica e l’artiglieria
tedesche si potevano dire il prodotto
delle fabbriche sovietiche”... Diede comunque
al Cremlino le informazioni necessarie
per fronteggiare con successo l’invasione.
Solo la miope megalomania e paranoia di
Stalin rese sul momento vano il suo lavoro...
Sorge fu scoperto quasi per caso, per colpa di
una “Filiera” estranea alla sua organizzazione.
Fu arrestato che il Giappone, come da lui
indicato, era appena entrato in guerra contro
gli Stati Uniti, fra interrogatori e processo
restò in carcere tre anni, collaborò, ma non
rinnegò né tradì, fu impiccato il 7 novembre
1944. Il procuratore Yoshikawa, che istruì la
sua condanna disse: “In tutta la mia vita non
ho mai incontrato un uomo di tale levatura”.