Stefano Zamagni è ordinario di economia politica all’Università di Bologna e analista di lungo corso dei problemi della mondializzazione. Tremonti critica non tanto la costituzione del Wto, quanto la rapidità con cui è stato ratificato. È d’accordo? «Una premessa. Tremonti traccia una distinzione tra liberalismo e mercatismo, distinzione che in un contesto più ampio passa tra economia di mercato e società di mercato. Tremonti dice sì all’economia di mercato, no a una società di mercato, dove le regole sono fissate solo in funzione del mercato. E su questo sono con lui. La seconda premessa è quella che riguarda la governance del processo di globalizzazione. Mi piace ricordare che il primo a sollevare questo problema non è stato un economista, ma è stato un Papa, Paolo VI, nella Populorum progressio. Solo che allora, siamo nel 1967, la globalizzazione non era ancora cominciata, bisognerà aspettare almeno dieci anni, e quindi non solo non venne ascoltato, ma venne anche deriso, basta andare a rileggere i giornali dell’epoca. Per quanto riguarda il Wto? «Il punto è che la globalizzazione deve essere guidata da regole che non possono essere gli stessi attori di mercato a darsi, ma devono essere attori che o sono riferiti al settore pubblico-statale o, come dico io, alla società civile organizzata: Ong, movimenti, tutte le chiese, il terzo settore, ecc. Questo è un punto di differenza tra me e Tremonti, perché lui identifica il settore pubblico con lo Stato, per me il settore pubblico è formato sì dallo Stato, ma anche dalla società civile organizzata, che sui fron- ti della globalizzazione è spesso più efficace che non i singoli Stati». Da questo cosa consegue? «Che la globalizzazione, come dicevo, va diretta. Non bisogna solo guardare ai guadagni del mercato, i gains from trade, ma anche ai danni, i pains from trade. Cosa che per tutta una serie di ubriacature, negli ultimi 10 e 15 anni molti economisti e politici non hanno fatto. Il Wto è stato pensato esclusivamente per la libera circolazione delle merci. Si doveva fare, per esempio, anche un Wto per pensare al problema degli spostamenti forzati delle persone, al fenomeno epocale delle migrazioni». Si dice che una marea che sale solleva tutte le barche, in riferimento ai benefici del liberismo e della globalizzazione. «Non è vero niente. Una marea che sale non fa altro che affogare coloro i quali sono rimasti impigliati nel fango. Quando la marea è bassa anche loro riescono a respirare, poi la marea sale e li sommerge. La soluzione non è quella di proteggerci o di chiuderci all’esterno, magari con dei semplici dazi, ma è di prestare attenzione alle pene di chi viene sommerso, con misure adeguate che servano a compensare colori i quali dall’apertura degli scambi, vedi Cina, ci rimettono. E, bisogna sottolineare, non per colpa loro». Cosa ne pensa della proposta di Tremonti per una nuova Bretton Woods? «D’accordissimo. Se lei prende un mio saggio pubblicato nel 2000 su Il Mulino, 'Della globalizzazione. Un’analisi multidisciplinare', vedrà che avanzavo la stessa proposta: dobbiamo andare a una nuova Bretton Woods. Anche nei miei programmi di insegnamento ho inserito una sezione intitolata 'Verso una nuova Bretton Woods'. La proposta non mi può che trovare favorevole. Tremonti in questo ha ragione, come, più in generale, nel cercare una 'umanizzazione' dell’economia. Bisogna diffidare piuttosto da certi 'tecnici' che sono stati gli alfieri di processi economici rivelatisi spietati».
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