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«Global»: da sogno a incubo

di Andrea Galli - 20/03/2008

 
Zamagni: «Contro i guasti una nuova Bretton Woods»


 S
tefano Zamagni è ordina­rio di economia politica all’Università di Bologna e analista di lungo corso dei problemi della mondializza­zione.
 Tremonti critica non tanto la costituzione del Wto, quanto la rapidità con cui è stato rati­ficato. È d’accordo?

 «Una premessa. Tremonti trac­cia una distinzione tra libera­lismo e mercatismo, distinzio­ne che in un contesto più am­pio passa tra economia di mer­cato e società di mercato. Tre­monti dice sì all’economia di mercato, no a una società di mercato, dove le regole sono fissate solo in funzione del mercato. E su questo sono con lui. La seconda premessa è quella che riguarda la
gover­nance
  del processo di globaliz­zazione. Mi piace ricordare che il primo a sollevare questo pro­blema non è stato un econo­mista, ma è stato un Papa, Pao­lo VI, nella
Populorum pro­gressio.
  Solo che allora, siamo nel 1967, la globalizzazione non era ancora cominciata, bi­sognerà aspettare almeno die­ci anni, e quindi non solo non venne ascoltato, ma venne an­che deriso, basta andare a ri­leggere i giornali dell’epoca.

 Per quanto riguarda il Wto?

 «Il punto è che la globalizza­zione deve essere guidata da regole che non possono essere gli stessi attori di mercato a darsi, ma devono essere attori che o sono riferiti al settore pubblico-statale o, come dico io, alla società civile organiz­zata: Ong, movimenti, tutte le chiese, il terzo settore, ecc. Questo è un punto di differen­za tra me e Tremonti, perché lui identifica il settore pubbli­co con lo Stato, per me il setto­re pubblico è formato sì dallo Stato, ma anche dalla società civile organizzata, che sui fron-
ti della globalizzazione è spes­so più efficace che non i singo­li Stati».
 Da questo cosa consegue?

 «Che la globalizzazione, come dicevo, va diretta. Non bisogna solo guardare ai guadagni del mercato, i
gains from trade, ma anche ai danni, i pains from trade. Cosa che per tutta una serie di ubriacature, negli ulti­mi 10 e 15 anni molti econo­misti e politici non hanno fat­to. Il Wto è stato pensato e­sclusivamente per la libera cir­colazione delle merci. Si dove­va fare, per esempio, anche un Wto per pensare al problema degli spostamenti forzati delle persone, al fenomeno epocale delle migrazioni».
 Si dice che una marea che sa­le solleva tutte le barche, in ri­ferimento ai benefici del libe­rismo e della globalizzazione.

 «Non è vero niente. Una marea che sale non fa altro che affo­gare coloro i quali sono rima­sti impigliati nel fango. Quan­do la marea è bassa anche lo­ro riescono a respirare, poi la marea sale e li sommerge. La soluzione non è quella di pro­teggerci o di chiuderci all’e­sterno, magari con dei sempli­ci dazi, ma è di prestare atten­zione alle pene di chi viene sommerso, con misure ade­guate che servano a compen­sare colori i quali dall’apertu­ra degli scambi, vedi Cina, ci rimettono. E, bisogna sottoli­neare, non per colpa loro».

 Cosa ne pensa della proposta di Tremonti per una nuova Bretton Woods?

 «D’accordissimo. Se lei prende un mio saggio pubblicato nel 2000 su
Il Mulino, 'Della glo­balizzazione. Un’analisi multi­disciplinare', vedrà che avan­zavo la stessa proposta: dob­biamo andare a una nuova Bretton Woods. Anche nei miei programmi di insegnamento ho inserito una sezione intito­lata 'Verso una nuova Bretton Woods'. La proposta non mi può che trovare favorevole. Tremonti in questo ha ragione, come, più in generale, nel cer­care una 'umanizzazione' del­l’economia. Bisogna diffidare piuttosto da certi 'tecnici' che sono stati gli alfieri di processi economici rivelatisi spietati».