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La setta dei Thugs e l’ultima crociata

di Federico Rampini - 20/03/2008

Federico Rampini ripercorre la vicenda storica dei Thugs, gruppi di banditi vissuti nell’India del XVIII-XIX secolo, e la costruzione del mito che li ha resi protagonisti della letteratura d’avventura occidentale, in particolare delle opere di Emilio Salgari.
Il mito dei Thugs come setta di strangolatori fanatici dediti al culto della dea Kalì si affermò in seguito all’azione di polizia di William Henry Sleeman, che nel decennio successivo al 1816 perseguì con metodi violenti e inquisitoriali centinaia di indiani con l’accusa di essere seguaci della setta dei Thugs. Nonostante un ufficiale inglese, G.T. Lushington, denunciò all’epoca i metodi di Sleeman, quest’ultimo divenne un eroe nazionale. La sua azione concideva infatti con la visione dell’India come terra esotica, selvaggia e violenta propugnanata dagli ambienti evangelici inglesi, che volevano trasformare l’amministrazione dell’India in una crociata dell’uomo bianco nei confronti di una civiltà inferiore.


Per molti italiani il loro nome evoca ricordi di letture d’infanzia: I misteri della jungla nera, I pirati della Malesia di Emilio Salgari. È grazie alle avventure di Sandokan che cent’anni fa i Thugs entrano anche nel nostro Paese nel lessico familiare, come terroristi ante litteram. Nella fervida narrativa di Salgari, il bengalese Tremalnaik (lui stesso un ex-Thug) deve liberare la bella inglese Ada Corisbant prigioniera della feroce setta di strangolatori che adorano la dea Kali. [...]
L’autore Salgari nella vita reale non si è spinto molto oltre l’entroterra padano: unica eccezione in tutta la sua biografia, una breve gita sull’Adriatico. La vena esotica della sua produzione è il frutto di sterminate letture sui viaggi degli altri. I suoi orizzonti lontani si nutrono delle descrizioni di Robert Louis Stevenson, Jack London, Joseph Conrad e Jules Verne. Ma l’origine della sua attrazione per i Thugs va ricercata in altre fonti, nell’insaziabile curiosità che spinge Salgari a divorare giornali, diari di viaggio, resoconti di esploratori e missionari. Quando lui scrive il ciclo di Sandokan, già da mezzo secolo gli strangolatori sacri dell’induismo occupano un posto ingombrante, scabroso e truculento, nell’immaginazione occidentale. Li ha imposti per la prima volta un romanzo inglese di grande successo, Confessions of a Thug, scritto nel 1839 da Philip Meadows Taylor, un ex ufficiale dell’esercito coloniale britannico di stanza a Hyderabad nell’India meridionale. Meadows si ispira a una storia vera. È l’epopea di un suo collega d’armi, William Henry Sleeman, che alla testa di una task force militare ha dato la caccia per un decennio alla terribile setta degli assassini. Grazie alle gesta eroiche dell’ufficiale Sleeman - narrano le cronache dell’epoca - tremila Thugs sono stati catturati, 466 sono finiti sul patibolo, gli altri nel carcere a vita o deportati per i lavori forzati nelle isole Andamane.
L’impressione suscitata dal romanzo-realtà di Taylor è enorme: la regina Vittoria ne vuole leggere le bozze in anteprima, il duca di Wellington invita l’autore a casa sua. L’efferatezza degli strangolatori rituali rafforza tra gli inglesi il mito di un’India esotica e morbosa, selvaggia e feroce. [...] La letteratura di tutto il mondo s’impadronisce di questo mito. Un Thug fa la sua apparizione nel romanzo L’ebreo errante del francese Eugène Sue. Mark Twain ricorda di averne sentito parlare nel suo diario di viaggio a Benares. E la serie continua fino ai nostri giorni. In Inghilterra il cinema rende omaggio al trionfatore della setta con il film The Deceivers del 1988 in cui l’attore Pierce Brosnan impersona un sosia di Sleeman.
La tremenda impronta storica lasciata dai Thugs sembra essersi infiltrata perfino nell’India moderna, contagiando la letteratura noir e il cinema di Bollywood. [...]
Negli annali del Raj, l’amministrazione britannica dell’India, la prima apparizione della terribile setta risale al 28 aprile 1810. Reca quella data un rapporto firmato dal maggiore-generale St Leger, capo del quartier generale di Cawnpore: «Diversi sepoys (soldati indiani arruolati nell’esercito coloniale, ndr) di ritorno presso le loro famiglie nei giorni di permesso, sono stati rapinati e uccisi da personaggi denominati Thugs. Questi assassini si avvicinano con fare amichevole ai viandanti; offrono sostanze allucinogene o tossiche mescolate a tabacco, hookah, cibo e tè. Quando il veleno fa il suo effetto inducendo estasi o torpore, essi strangolano le vittime». Ben presto si aggiungono altre descrizioni di agguati, in cui compare sempre la stessa tecnica: dopo averne conquistato la fiducia il Thug si avvicina alla sua vittima subdolamente, da dietro; stringe come un cappio il suo fazzoletto di seta, con oggetti metallici annodati alle due estremità per rafforzare la presa alla gola. La morte è immediata per la violenza del soffocamento. Un medico militare, Richard Sherwood di stanza a Madras, in un saggio scientifico suggerisce per primo l’ipotesi che sia un’ispirazione religiosa a muovere gli assassini: un sacrificio umano in omaggio rituale alla dea Kali. Si sparge la voce che nei cimiteri segreti dei Thugs siano sepolti due milioni di scheletri, le vittime accumulate in questa antica e atroce carneficina.
È nel 1816 che l’ufficiale Sleeman s’immerge nella lettura del libro di Sherwood. Arrivato da poco in India, non ancora trentenne, Sleeman è un personaggio atipico tra i suoi compatrioti che vivono in Oriente. È un uomo colto, le sue letture erudite includono i testi di economia di David Ricardo. È poliglotta, padroneggia lo hindi e l’arabo. Assegnato al dodicesimo battaglione di fanteria, non familiarizza con gli altri ufficiali che amano l’alcol, il gioco d’azzardo, e le donne locali. Sleeman rappresenta l’avanguardia di una nuova classe dirigente coloniale, protagonista di un avvicendamento denso di conseguenze. Nei primi due secoli di penetrazione nel subcontinente asiatico, gli uomini della East India Company sono stati degli affaristi senza scrupoli ma non dei fanatici: hanno assorbito molte usanze locali, dal cibo all’abbigliamento, si sono sposati con donne indiane, talvolta arrivando a convertirsi all’induismo o all’islam. Con Sleeman si affaccia invece il precursore di una figura nuova: integerrimo e razzista, efficiente e autoritario, determinato a non lasciarsi contaminare da una civiltà che considera inferiore, decadente e peccaminosa.
Scoprendosi una vocazione da Sherlock Holmes il giovane ufficiale intraprende una sua inchiesta personale sui Thugs. Ben presto, alla testa di reparti specializzati di polizia militare, mette a segno retate importanti. A poco a poco le lingue si sciolgono, alcuni prigionieri confessano. Le loro testimonianze compongono un mosaico impressionante e diabolico. La capillare organizzazione segreta dei Thugs viene ricostruita nei minimi dettagli: capi insospettabili cadono nelle mani degli inquirenti, la crudeltà degli strangolamenti viene documentata, un mondo mafioso crolla sotto i colpi dell’inflessibile ufficiale britannico. Nel romanzo che lo rende celebre, Confessions of a Thug, la vittoria finale di Sleeman viene attribuita a una tattica temeraria: l’inglese riesce a penetrare personalmente nell’organizzazione criminale, trasformandosi in una talpa. Nei rapporti ufficiali non vi è traccia di un simile stratagemma. Ma anche negli annali più sobri dell’esercito la vicenda è ricostruita con toni trionfali. La brillante operazione di polizia condotta con professionalità da un manipolo di inglesi è riuscita a sradicare la setta criminale che insanguinava l’India da secoli. Il lieto fine conforta la certezza che l’impero britannico ha una missione civilizzatrice da svolgere in quella parte del mondo: «Il fardello dell’uomo bianco», secondo la formula coniata da Rudyard Kipling.
Devono passare quasi due secoli dalle gesta di Sleeman prima che un ricercatore inglese, Kevin Rushby, ritorni sui luoghi dei delitti dei Thugs per riportare alla luce alcune scoperte imbarazzanti. A cominciare da un contro-rapporto a firma di un certo G.T. Lushington, ufficiale di collegamento tra il governo britannico e il Rajah di Bharatpur. Lushington condanna senza esitazione i metodi usati dal suo collega giustiziere. «Chi cade nelle sue mani è costretto a confessare qualsiasi cosa nella speranza di salvarsi dall’impiccagione. Il prigioniero ha interesse ad accusare i suoi complici di ogni delitto: è la sua parola contro la loro. Alla fine, quando si disseppelliscono i cadaveri delle vittime, si scopre che il numero degli uccisi è molto inferiore a quello degli omicidi confessati». Sleeman ha introdotto un suo approccio al pentitismo. Le indagini non si basano quasi mai su prove documentate ma soprattutto su testimonianze a carico. Il presunto Thug che viene catturato vivo ha interesse a diventare un informatore di primissima importanza per scambiare la propria vita con quella di altri. [...]
Ma la denuncia di Lushington viene censurata dai suoi superiori. Sleeman ormai è un eroe dell’Impero e guai a chi lo tocca. La sua vittoria sui Thugs è l’origine di un “teorema” a cui danno sostegno gli scienziati. Nel 1916 l’etnologo Robert Russell include la setta assassina nel suo dettagliato elenco delle caste induiste, spesso basate su antichi mestieri. Viene ignorato il fatto che nella lingua hindi del Settecento il termine Thug significa semplicemente truffatore, è un epiteto generico che Sleeman scambia per il nome di una setta. A smentire il fatto che si tratti di una casta antica, tra le prede di Sleeman figurano indiani di ogni categoria sociale, dai bramini ai paria, dai soldati ai contadini, e di ogni credo religioso, indù o musulmani. [...] Molti sono delinquenti comuni, banditi di strada, rapinatori che versano una percentuale del bottino al maharajah o al latifondista locale, un po’ come i corsari inglesi al servizio di Sua Maestà nelle scorribande contro i galeoni dell’oro di Spagna.
E tra le cause del dilagare del banditismo indiano nell’Ottocento ce n’è una che risale proprio agli inglesi: il business dell’oppio. A quell’epoca Londra soffre di un deficit strutturale nel suo commercio con la Cina, per la moda del tè che provoca un boom di consumi del prodotto importato dall’Impero Celeste. Alla ricerca di una merce di scambio con cui bilanciare i rapporti con la Cina, gli inglesi si buttano sul commercio dell’oppio. Intere regioni dell’India vengono convertite alla coltivazione dei papaveri per esportare gli oppiacei nel porto franco di Canton. Nella sola contea di Malwa, che è sotto la giurisdizione di Sleeman, si censiscono diecimila coltivazioni dedite all’oppio. Un effetto collaterale è l’impoverimento dell’agricoltura indiana, il moltiplicarsi delle carestie, e il reclutamento di bande di ladroni fra i contadini affamati. Gli stessi mercanti d’oppio prendono l’abitudine di versare un “pizzo” ai banditi di strada per assicurarsi la loro protezione durante il transito dei preziosi convogli di droga. A riprova che questi delinquenti non sono animati da un invincibile fervore religioso, il pentitismo dilaga anche perché molti di loro crollano durante gli interrogatori non appena Sleeman minaccia ritorsioni contro mogli e figli, genitori e fratelli.
Ma una realtà così banale non avrebbe eccitato gli inglesi. Che invece erano sedotti dal mito millenario della dea Kali: il suo duello con un demonio che divorava gli esseri umani; il prezioso aiuto che la divinità indù ricevette da due delle sue creature che riuscirono a strangolare il mostro; la ricompensa eterna concessa ai cultori di Kali, cioè il diritto-dovere di uccidere per strangolamento rituale tutti coloro che non adorano la dea. Stewart Gordon, docente alla University of Michigan, ha indicato la vera chiave del successo di Sleeman: «Le sue indagini coincidevano con il nuovo orientamento degli evangelici cristiani a Londra, che a partire dal 1830 vollero trasformare l’amministrazione imperiale dell’India in una crociata. I Thugs catturati e scoperti da Sleeman erano gruppetti di criminali organizzati su scala locale. Il fenomeno venne ingigantito, fu descritto come una malvagia e gigantesca cospirazione religiosa, come un tratto distintivo dell’India e del carattere dei suoi abitanti». L’ufficiale erudito dalla disciplina di ferro e con la passione del detective fu l’uomo giusto al momento giusto. I suoi Thugs divennero la personificazione del Male. La presunta setta dei fanatici omicidi era il volto emerso dell’India lasciva, peccaminosa e immorale, il «nemico dentro» che andava schiacciato per affermare la funzione salvifica dell’Impero.