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Ecco come avveleniamo la natura

di Paolo Barsanti* - 20/03/2008

Fonte: vglobale

 



Tra il 1930 e il 2000 la produzione globale di sostanze chimiche è passata da 1 a 400 milioni di tonnellate l'anno, mentre il numero delle sostanze originate da processi industriali presenti nell'ambiente in quantità significative è ormai dell'ordine di grandezza delle decine di migliaia

Valutazione del rischio genotossico e affidabilità dei test di mutagenesi


Nell'ambiente sono sempre stati presenti composti chimici capaci di danneggiare irreversibilmente il Dna genomico degli organismi viventi (alcuni dei più potenti mutageni, come ad esempio le aflatossine prodotte da certi funghi, sono di origine naturale), ma il numero di agenti genotossici con cui la popolazione umana può venire in contatto è sicuramente aumentato in maniera esponenziale negli ultimi decenni: tra il 1930 e il 2000 la produzione globale di sostanze chimiche è passata da 1 a 400 milioni di tonnellate l'anno, mentre il numero delle sostanze originate da processi industriali presenti nell'ambiente in quantità significative è ormai dell'ordine di grandezza delle decine di migliaia.


Milioni di veleni

Molti di questi composti sono divenuti indispensabili per l'economia moderna e per il nostro benessere, ma alcuni di essi hanno un impatto negativo sull'ambiente e sulla salute umana, impatto che in molti casi è stato riconosciuto solo a danno avvenuto.
Nuovi composti vengono continuamente introdotti nell'ambiente senza che se ne conoscano bene gli effetti a lungo termine: molti sono scarsamente biodegradabili, si accumulano negli organismi viventi ed entrano nel ciclo alimentare umano, ma si calcola che informazioni accettabilmente complete siano al momento disponibili solo per il 14% delle sostanze chimiche usate in grandi quantità.
A conferma dell'esigenza di raccogliere e rendere accessibili le informazioni disponibili sulle sostanze immesse nell'ambiente, il Regolamento 1907/2006/CE (Reach, acronimo di Registration, Evaluation, and Authorization of Chemicals), entrato in vigore il 1° giugno 2007, stabilisce che tutte le sostanze importate da nazioni extra Ue o prodotte all'interno della Ue in quantità superiore ad 1 ton/anno dovranno essere registrate presso l'Agenzia europea di Helsinki utilizzando una specifica modulistica integrata da informazioni sui possibili rischi, compreso l'eventuale rischio genotossico, associati al loro utilizzo.

Tra le sostanze con effetto sicuramente nocivo presenti nell'ambiente in concentrazioni significative si possono citare benzene, idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) e loro derivati, idrocarburi idrogenati (aria); metalli pesanti, pesticidi organoclorurati, idrossifuranoni, trialometani, Ipa e loro derivati (acqua e sedimenti); diossine, furani, metalli pesanti e pesticidi (suolo), aflatossine, amine aromatiche, idrocarburi policiclici aromatici (cibo).
L'esposizione agli agenti genotossici può provocare mutazioni trasmissibili alla progenie (malattie genetiche, anomalie cromosomiche) e mutazioni somatiche, che interessano cellule di tessuti diversi dalla linea germinale ed hanno un ruolo fondamentale nella trasformazione neoplastica (si dice comunemente che il cancro è una malattia «genetica», anche se è generalmente accettato che sono necessarie numerose mutazioni in geni differenti perché si sviluppi il tumore maligno).
Per quanto in molti casi (come ad esempio per l'aumento del rischio di tumori polmonari causato dal fumo e per i mesoteliomi della pleura provocati dall'amianto) la correlazione tra fattore ambientale e insorgenza del tumore sia ormai sicura, Valutazione del rischio genotossico e affidabilità dei test di mutagenesi

è ancora in discussione l'importanza di fattori ambientali ignoti o non ben definiti nella genesi delle forme più comuni di neoplasie.
Fino a qualche anno fa si tendeva a sottovalutare l'importanza di questi fattori rispetto a quella di fattori genetici o comportamentali (non solo il fumo, ma anche la sedentarietà e il tipo di dieta) ma oggi, nonostante alcuni studiosi neghino ancora all'inquinamento ambientale un ruolo rilevante nell'insorgere della malattia, l'opinione di gran lunga prevalente è che fattori genetici e fattori ambientali abbiano la stessa importanza nel processo di carcinogenesi, arrivando all'affermazione solo apparentemente paradossale che «il 100% dei tumori ha cause genetiche, ma il 100% dei tumori ha cause ambientali».


I test di mutagenesi e la loro affidabilità

La gravità delle potenziali conseguenze delle mutazioni rende indispensabile identificare il maggior numero possibile di fattori di rischio mutageno presenti nell'ambiente, e a questo scopo sono state sviluppate nel corso degli anni una serie di procedure sperimentali, definite test di mutagenesi, che permettono valutare il potenziale genotossico di composti chimici od altri fattori ambientali.

Dati i molti possibili meccanismi di azione dei mutageni, non esiste un test in grado di identificarli contemporaneamente tutti, ma la maggior parte di essi può essere identificata da una batteria di due test in vitro. Uno di questi è generalmente un test a breve termine (risposte anche in sole 48 ore) e a costi contenuti eseguito su ceppi batterici; l'altro misura, per esempio mediante il conteggio delle aberrazioni cromosomiche in cellule di mammifero in coltura, gli effetti sulla divisione cellulare e la capacità di provocare rotture nella doppia elica del Dna.

Sono poi oggi disponibili, e vengono continuamente migliorati nei laboratori di ricerca, altri più sofisticati test di mutagenesi, che per quanto di applicazione più laboriosa e meno adatti per screening di routine permettono una valutazione più approfondita del potenziale genotossico di un composto, misurando ad esempio la frequenza di mutazioni indotte in singoli geni o direttamente il danno al Dna.
Naturalmente, per evidenti motivi etici (e nello stesso tempo anche pratici ed economici), i test in vivo su animali da esperimento tendono ad essere sostituiti per quanto possibile da test in vitro su linee cellulari stabilizzate in cultura, oppure (test ex vivo) su culture cellulari a breve termine ottenute, preferibilmente nel modo meno invasivo e traumatico possibile, da organismi (animali o piante) trattati con il sospetto composto genotossico, o anche da popolazioni umane a rischio.

L'utilità dei test di mutagenesi è sottolineata dal fatto che esiste, ad esempio, una correlazione superiore al 90% tra la positività di un composto nel test di Ames (il test di mutagenesi sui batteri più utilizzato per screening genotossicologici) e la sua capacità di indurre tumori in animali da esperimento (in genere, piccoli roditori). È quindi in linea di massima accettato che una dimostrata mutagenicità sia un buon indicatore anche del potenziale carcinogeno di una sostanza, per quanto esistano anche carcinogeni non genotossici.

Tuttavia, un aspetto del processi di valutazione e prevenzione del rischio genotossico per l'uomo che spesso sfugge ai non addetti ai lavori, e talvolta anche a coloro che hanno il compito di stabilire norme e regolamenti per minimizzare il rischio stesso, è che occorre molta cautela nell'applicare all'uomo le conclusioni derivanti anche dai più sofisticati ed affidabili test di mutagenesi oggi disponibili.
In primo luogo, le sostanze in esame vengono quasi sempre utilizzate nei vari tipi di test a concentrazioni molto superiori a quella che può essere la verosimile esposizione umana in condizioni reali, sia per poterne osservare gli effetti in tempo accettabilmente breve, sia perché le differenze rispetto al controllo siano sufficientemente grandi da poter essere misurate e utilizzabili per metodi di analisi statistica.

Inoltre, le popolazioni cellulari o di animali da esperimento sono generalmente omogenee dal punto di vista genetico, mentre è ben noto, nell'uomo, che polimorfismi dei geni che codificano enzimi coinvolti nel metabolismo degli xenobiotici possono influenzare significativamente la capacità metabolica e di conseguenza modificare in maniera imprevista gli effetti delle sostanze esogene (xenobiotici) introdotte nell'organismo (non solo composti potenzialmente genotossici, ma anche, ad esempio, farmaci). Infine, il tropismo di organo e i meccanismi di accumulo, detossificazione e smaltimento degli xenobiotici variano da animale ad animale e in molti casi sono dimostrabilmente diversi nell'uomo rispetto all'animale da esperimento.

Non bisogna però credere che, nonostante i loro limiti, i test di mutagenesi oggi disponibili non abbiano un ruolo insostituibile per la tutela della salute umana. Nel loro complesso, essi sono infatti il solo modo per ottenere le informazioni necessarie all'applicazione del principio base delle strategie volte alla prevenzione del rischio genotossico, cioè il principio di massima precauzione, il quale implica che per tutti gli agenti per i quali esistono evidenze sperimentali di genotossicità vengano stabilite misure atte a ottenere i livelli di esposizione più bassi ottenibili, anche in assenza di dimostrazioni sicure di nocività per l'uomo.


*(Professore associato di Genetica, Dipartimento di Genetica e Microbiologia dell'Università di Bari)