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Perchè Dio non se ne andrà. La scienza del cervello e la biologia della fede

di redazionale - 21/03/2008

Fonte: amoyoga



michiAttualmente, nell'epoca del massimo esercizio della razionalità, sebbene sconsiderato e spinto nella sfera dell'oscuro, il sentimento religioso è ancora presente. Cos'è che fa conservare agli uomini la propria fede? è forse possibile che alla fine la scienza elimini l'equazione di Dio? Ricerche relativamente recenti nel campo della neurologia offrono nuove prospettive per risolvere queste sconvolgenti domande, attraverso la scoperta di un fatto molto semplice e allo stesso tempo preciso dal punto di vista scientifico: l'impulso religioso è radicato nella biologia del cervello umano.

I ricercatori americani Andrei Newbeg, membro dell’equipe di medicina nucleare nell'ospedale dell'Università della Pennsylvania, Eugene D’Aquili e Vince Rause basano questa conclusione su uno studio prolungato sul funzionamento e il comportamento del cervello umano. Al centro della teoria scientifica dei tre autori, presentata nel libro “Why God won’t go away. Brain science & the biology of belief”, si trova un modello neurologico che offre un legame tra l'esperienza mistica e le funzioni osservabili del cervello. L'equipe di ricercatori ha realizzato un gran numero di esperimenti con l'aiuto di un tomografo SPECT (single photon emission computed tomography). I soggetti degli esperimenti erano monaci buddisti e monache francescane che praticavano rispettivamente la meditazione buddista e la preghiera cristiana contemplativa. Le ricerche si sono prolungate per molti anni ed hanno compreso anche un ampio studio della letteratura scientifica nel campo della neurologia e di quella religiosa. Così si è realizzata una meticolosa esplorazione filosofica, teoretica e pratica della relazione tra il cervello, le pratiche religiose e le esperienze spirituali.

Si è scoperto inoltre che le strutture primarie del sistema limbico, soprannominato "il cervello delle emozioni", hanno un ruolo importante nelle esperienze religiose e spirituali. Benché siano organi primitivi, l'ipotalamo, la ghiandola cerebrale e l'ippocampo hanno un'influenza considerevole sulla mente.

cervello_percezioneProponiamo di seguito una loro breve presentazione, necessaria alla comprensione del modo in cui intervengono nel generare i vissuti spirituali:
Ipotalamo: unisce le operazioni del sistema nervoso autonomo con la neocorteccia, essendo, analogicamente parlando, "il capo".
Amigdala cerebrale: parte centrale del lobo temporale è, analogicamente parlando, "il cane da guardia", che ha il compito di sorvegliare le funzioni cerebrali e monitorare gli stimoli sensoriali che rappresentano il bisogno di azione (ad esempio un segnale di pericolo). Essa non attiva direttamente il sistema autonomo bensì l'ipotalamo, che a sua volta attiva il sistema autonomo.
Ippocampo: per analogia, "il diplomatico", situato immediatamente dietro l’amigdala cerebrale, è fortemente influenzato dall'attività di quest'ultima in modo complementare: mentre l’amigdala ha il ruolo di allertare, l'ippocampo blocca gli stimoli in diverse aree neocorticali, influenzando così lo stato della mente. Esso non genera direttamente emozioni come le prime due strutture nervose.

Il cervello sembra essere dotato della capacità innata di trascendere la percezione dell'io individuale limitato. Questa capacità di auto-trascendere si trova alla radice dell'aspirazione spirituale, indifferentemente dalla tradizione spirituale alla quale appartiene l'essere.

I rituali

rituale fusioneTrascendere l'ego e fondersi con una realtà più vasta è lo scopo fondamentale del comportamento rituale. Alcuni rituali contemplativi praticati dai mistici cristiani ad esempio, mirano ad ottenere uno stato di Unio Mystica, misteriosa esperienza della fusione con l’essere stesso di Dio.

In tutte le culture, i rituali religiosi sono nati in una varietà quasi infinita di forme. Ma, in tutti i casi, guardando dal punto di vista dell'attività cerebrale, esiste un elemento comune: quando il rituale religioso è efficace, aiuta il cervello a modificare le proprie percezioni cognitive ed emozionali riferite all'io, in un modo che viene interpretato, dalle persone con un pensiero religioso, come l'avvicinamento o la fusione dell'essere con Dio.

Esiste però una moltitudine di rituali privi di significati religiosi. La nostra vita quotidiana è piena di numerose attività e cerimonie con effetto rituale, che sono di natura puramente sociale o civica: incontri politici, cerimonie di inaugurazione, condotta giudiziaria, usanze festive, corteggiamento verso un essere dell’altro sesso e avvenimenti sportivi. Tutte queste attività, aventi una struttura cerimoniale, contengono, come ogni rituale, elementi di ritmo e ripetizione ed hanno come scopo la definizione dell'individuo come parte di un gruppo o di una grande causa. Questi rituali secolari sono meccanismi per promuovere la coesione sociale, che incoraggia l'individuo a mettere da parte l'interesse personale e a dedicarsi agli interessi più vasti del bene comune.

Pochi osservatori potrebbero negare i vantaggi offerti dal fenomeno del rituale per l'evoluzione umana, cosa che suggerisce la possibilità dell'esistenza di alcune radici biologiche di questo tipo di comportamento. Così, negli ultimi trent'anni, la biologia è divenuta una componente importante nello studio del rituale.

Un argomento in più per sostenere quest'ipotesi è costituito dalla similarità dei rituali tra l'uomo e l'animale. I rituali e le cerimonie umane sono delle eco chiare dei rituali del mondo animale, e questo fatto suggerisce origini evolutive comuni.

Nell'uomo, a causa dell'immensa complessità del cervello, il comportamento rituale implica quasi sempre i più alti livelli del pensiero e delle emozioni. I nostri rituali si basano su qualcosa; essi raccontano, e ciò conferisce loro comprensione e significato. La loro storia è essenziale affinché siano efficaci ed ha la funzione di soddisfare diverse necessità.

Dalla prospettiva neurobiologica, i rituali umani hanno due caratteristiche principali:

-generano vissuti emozionali, con diversi gradi di intensità, che rappresentano sfumature soggettive di pace, estasi e venerazione;

-generano stati di unità che, nel contesto religioso, sono sperimentati come gradi diversi di trascendenza.

Pare che entrambi gli effetti abbiano origini neurologiche. Gli autori di questo studio sono arrivati alla conclusione che, il potere del rituale di produrre stati trascendenti di unità, risulta dall'effetto ritmico del comportamento rituale sull'ipotalamo e sul sistema nervoso autonomo. (Il ritmo e la ripetizione sono elementi che ritroviamo in quasi ogni rituale umano, dai ritmi maestosi del canto gregoriano, sino alle più vivaci danze polinesiane per la fertilità.)

yoga e fedeMa l'intensità di queste emozioni può essere modulata anche da altre componenti del comportamento rituale, ad esempio da una determinata azione realizzata in modo speciale (un leggero piegamento, una genuflessione, il movimento delle mani eccetera), diversa dai gesti quotidiani. Questo gesto inusuale attira l'attenzione dell’amigdala cerebrale, soprannominata "il cane da guardia". Mentre cerca segnali che indichino un pericolo o un'occasione particolare, la sua attenzione è captata per un periodo più prolungato del solito, cosa che fa nascere una debole sensazione di paura o la dinamizzazione del sistema simpatico. Dalla sua combinazione con la sensazione di calma beatifica del sistema parasimpatico, risulta uno stato di rispetto o di venerazione religiosa.

I vissuti specifici, nel quadro di un rituale, possono essere rinforzati anche da altri stimoli come l’olfatto, se nella cerimonia si usano alcuni aromi. Studi scientifici già conosciuti mostrano che certi odori possono risvegliare diverse emozioni - ad esempio, la lavanda induce uno stato di rilassamento, di calma, mentre l'acido acetico quello di mania e disgusto.

I diversi stimoli si potenziano reciprocamente, cosicché, in un rituale cristiano ad esempio, se il prete che culla agita ritmicamente l’incensiere si ferma e fa un inchino, ciò può, grazie alla stimolazione dell’amigdala cerebrale, amplificare la sensazione di venerazione.

Le emozioni di ogni genere sono chiaramente legate all'attività del sistema nervoso autonomo, soprattutto in vissuti forti sperimentati nelle cerimonie rituali. Ma le ricerche hanno dimostrato che, per creare stati emozionali forti durante i rituali, non è sufficiente solo l'implicazione del sistema nervoso autonomo. Ad esempio, numerose ricerche hanno dimostrato che la stimolazione chimica del sistema autonomo non attiva i centri emozionali del cervello, contrariamente al comportamento ritmico nel quadro di un rituale. Ne risulta che l'effetto emozionale del rituale dipende anche da altre stimolazioni neuronali: la più importante è data dal contesto cognitivo in cui si svolge il rituale. È quindi necessaria la presenza di un'idea avente una carica psicologica profonda, che dia impulso alle emozioni. Affinché il rituale sia efficace e comprenda tutte le parti del cervello e del corpo, vanno uniti i comportamenti alle idee. Questa sintesi tra comprensione e ritmo fa sì che un rituale sia forte.

Nel rituale religioso, la fede ferma nell'esistenza di Dio e la capacità dell'uomo di comunicare con questa realtà o forza gigantesca, conferisce all'individuo che prega, o al cervello, un’immensa energia.

In modo simile, ogni rituale trasforma un'idea, avente un profondo significato, in un'esperienza organica. Le idee che animano i rituali religiosi affondano le loro radici in storie e miti.

La connessione tra il rituale e il mito

rituale-comunioneSecondo il parere del famoso mitologo americano Joseph Campbell, il maggior dilemma esistenziale dell'uomo è "la grande storia mitologica in cui all'inizio eravamo uniti con la nostra sorgente, ma poi ci siamo separati da essa, ed ora dobbiamo trovare la via del ritorno".

Ogni religione - cristianesimo, induismo, buddismo, islamismo - ha alla base un simile mito. Le certezze contenute nelle scritture conferiscono una forte base per la fede e un tampone efficace contro i dubbi esistenziali. Ma tutte queste certezze sono, in ultima istanza, solo idee, ed anche la più forte versione può essere creduta solo nella mente, con la mente. La neurobiologia del rituale trasforma queste idee in esperienze vissute nella sensorialità mente­corpo, in avvenimenti cognitivi che ne "dimostrano" la realtà. Offrendoci un gusto organico della presenza di Dio, i rituali ci nutrono con la prova convincente che gli insegnamenti delle scritture sono veri.

 

Questo processo si chiama reificazione e sta alla base della costruzione dell'io o della personalità nel quadro dell’ontogenesi.Quindi, gli effetti neurobiologici del comportamento rituale conferiscono la sostanza cerimoniale alla storia del mito. Questa è la funzione primordiale del rituale religioso - trasformare le storie spirituali in esperienze spirituali; trasformare qualcosa in cui credi, in qualcosa che senti. "Non è stata ancora trovata nessuna società umana, dice Joseph Campbell, in cui i motivi mitologici non siano "ripetuti" in liturgie, interpretati da chiaroveggenti, poeti, teologi o filosofi, presentati in arte, glorificati in canti o sperimentati in visioni piene di vita."

Cosa c’è nella costruzione dell'essere umano, che lo spinge a interpretare i propri miti, a ripetere la decisione dell'unificazione con la sorgente primordiale che gli è stata promessa? Fino a poco tempo fa, gli antropologi erano d'accordo sul fatto che gli uomini avessero imparato tali comportamenti grazie ai benefici sociali. Ma la comprensione del modo in cui una funzione neurologica conduca a qualcosa di più profondo della semplice necessità culturale, ci suggerisce il motivo per il quale gli uomini sono spinti ad interpretare i miti: a causa delle operazioni biologiche del cervello.