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Semi, guerre e carestie - Capitolo II

di Romolo Gobbi - 21/03/2008

Autore: RomoloGobbi | Data: 17/03/2008 18.55.50
Il primo sistema adottato da homo per procurarsi il cibo necessario alla sopravvivenza fu quello della caccia e raccolta, ma non fu un’invenzione né tanto meno una rivoluzione ispirata dalla sapienza più o meno recentemente acquisita. Le scimmie antropomorfe hanno praticato a lungo, e ancora oggi praticano, il sistema di caccia e raccolta, e vale la pena di risalire al comportamento di questi animali per capire le somiglianze e le differenze con il comportamento di homo. La raccolta non presenta particolari differenze: ci si nutre con ciò che si trova in natura a seconda dei vari habitat, e delle differenti regioni della terra. Ma, mentre le scimmie antropomorfe sono prevalentemente erbivore (foglie), gli umani erano prevalentemente frugivori, e mangiatori di tuberi, radici, semi, e probabilmente in questa fase furono raccolte tutte le informazioni necessarie per lo sviluppo successivo dell’agricoltura. Un’altra differenza tra il comportamento delle antropomorfe e quello di homo è dato dall’assenza di divisione del lavoro nella raccolta tra maschi e femmine, sempre che questa divisione sia mai esistita. Certamente tra gli scimpanzé la caccia è una prerogativa pressoché esclusiva dei maschi, che viene praticata anche in gruppo: “Talvolta i maschi cacciano in gruppo, e quindi lavorano insieme: la Lawick-Goodall racconta che uno scimpanzé maschio aveva inseguito su per un albero un colobo, separatosi dal suo gruppo, mentre gli altri scimpanzé si erano appostati di sotto per precludere alla vittima ogni possibilità di fuga (1). Che gli scimpanzé siano i più simili geneticamente all’uomo è dimostrato anche da questo precedente importante: “E’ certo che gli scimpanzé hanno imparato relativamente da poco a cibarsi di carne. Le altre scimmie antropomorfe non conoscono l’attività venatoria…” (2). Gli scimpanzé danno la caccia ai mammiferi piccoli e grandi, tra le loro prede più frequenti ci sono: babbuini, colobi rossi, maiali selvatici, capri selvatici e cercopitechi. La caccia non è l’unico modo con cui gli scimpanzè si procurano proteine animali; è nota infatti l’attività di “pesca” delle termiti nei termitai: “Lo scimpanzé prepara un bastoncino scegliendo un ramo adatto, strappandone le foglie e i ramoscelli laterali, e rompendolo nella giusta lunghezza, dopo di chè lo porta con sè – spesso per vari minuti – sino a un termitaio e poi lo infila in una delle aperture usate dalle termiti […] Quando scienziati curiosi tentano di imitare le tecniche degli scimpanzé, trovano questo compito piuttosto difficile, e raramente raccolgono molte termiti” (3). Sia mangiando le termiti che la carne degli animali cacciati, gli scimpanzé si procurano un nutrimento di alto valore nutritivo, per procacciarsi il quale non vanno tanto per il sottile, uccidendo e divorando anche la carne di altri scimpanzé: “ella vide, i maschi di un gruppo assalire una femmina estranea; un figlio della vittima e subito dopo in parte divorato” (4). Anche tra i vari homo pare si sia praticato il cannibalismo, ma la differenza principale nel cibarsi di carne tra umani e scimpanzè sta nella quantità; infatti, per questi ultimi, la carne mangiata :”sotto il profilo quantitativo, si tratta di una quota esigua, solo l’uno per cento di tutto il cibo consumato.” (5).
Tra gli ominidi il consumo di carne divenne sempre più importante, soprattutto dopo l’abbandono della foresta e lo stanziamento nella savana; così habilis, pur restando ancora un raccoglitore, tuttavia : “ sporadicamente si nutriva anche a spese delle carogne degli animali abbattuti dai grossi predatori […]. Tuttavia, l’utilizzazione delle schegge e il tipo di taglio (“cut-markers”) sulle ossa di animali associati ai siti olduvaiani, fanno ritenere, che rispetto all’ Australopiteco , l’habilis si nutrisse con maggior frequenza di carne e di midollo estratto dalle ossa” (6). Ma anche gli scimpanzé conoscono il valore nutritivo dei tessuti nervosi: “Gli scimpanzé manifestano una spiccata preferenza per il cervello delle loro vittime. Aprono la scatola cranica, per lo più mordendone la parte superiore, e ne estraggono il contenuto con le dita. Spesso, per finire, ripuliscono l’interno del cranio con foglie masticate. Questa leccornia non viene mai distribuita ai compagni” (7).
La carne consumata dall’ homo erectus aumentò ulteriormente: “a testimonianza del parziale cambiamento di dieta dell’erectus, l’analisi di usura dei denti mediante il microscopio a scansione ha messo in evidenza, nei denti iugali, che sono in genere più piccoli di quelli dell’ habilis, fondamentalmente raccoglitore, la presenza di strie verticali e orizzontali sulle superfici laterali dovute alla prolungata e abituale masticazione della carne” (8). L’erectus si procurava la maggior quantità di carne necessaria dando la caccia anche alla megafauna, in particolare a elefanti, che catturava spingendoli col fuoco in terreni paludosi nei quali restavano intrappolati. Ma con ogni probabilità i grandi animali potevano essere stati uccisi dai grandi predatori, e comunque l’erectus aveva appositi siti per la macellazione delle prede, e focolari sui quali cuocere la carne.
Qualcuno ha voluto insinuare che il progressivo incremento della carne nell’alimentazione di homo sia stato non solo un segno dell’evoluzione, ma anche una spinta all’evoluzione stessa: “In ogni caso, il consumo di carne potrebbe essere stato causa ed effetto dell’aumento del volume cerebrale(9). Ma che l’homo erectus fosse un grande mangiatore di carne è smentito da altri scienziati: “ Abbiamo ristudiato le ossa di animali del periodo e abbiamo trovato incisioni fatte da strumenti di pietra ma anche denti di predatori. Questo fa pensare ad una pratica piuttosto diversa da quella ipotizzata finora della caccia: gli ominidi si cibavano dei resti della caccia di altri animali. Dilaniandone le carcasse sul posto […] in questo modo su base giornaliera non è possibile procurarsi abbastanza cibo […]. Insomma o il consumo di carne dell’homo erectus è stato sopravvalutato, e come tale non si può più dire che sia stato la molla principale dei cambiamenti che hanno portato questi ominidi a differenziarsi dal loro predecessore, Homo habilis” (10). La tesi sostenuta in parte ripete cose dette da altri studiosi sull’uso di mangiare i resti lasciati o sottratti ai grandi predatori, ma in questo caso si è voluto accentuare questo dato per rivalutare la funzione della foemina erecta :” Si è sempre data poca attenzione al ruolo della femmina nella storia che risale a due milioni di anni fa, ma la sua funzione di foraggiatrice, ad esempio, è stata cruciale nell’evoluzione della specie. Probabilmente le donne partecipavano anche all’approvvigionamento della carne. Ad ogni modo la teoria del nucleo familliare che vuole da una parte l’uomo procacciatore di cibo e dall’altra la donna responsabile della prole adesso è molto discutibile.” (11). La political correctness in questo caso è evidente, come in quella dell’ Out of Africa two. Là si voleva combattere il razzismo dicendo che siamo tutti discendenti dagli africani; qui si vuol rivalutare la funzione della donna anche nella società primitiva. Ma sia nei confronti con le popolazioni di cacciatori-raccoglitori ancora esistenti, sia con la società degli scimpanzé la funzione della femmina è ben distinta da quella dei maschi cacciatori e in posizione di sottomissione. Anche se la posizione di maschio alfa tra gli scimpanzé dura soltanto finchè il maschio dimostra di saper difendere le femmine e la prole, altrimenti queste levano il “saluto” al vecchio alfa e lo concedono al vincitore, che diventa automaticamente il nuovo maschio alfa (12). Quanto alla deduzione dell’approvvigionamento insufficiente di carne degli erectus dal paragone con i cacciatori-raccoglitori odierna (“Non ci riescono neanche gli Hazda che pure fanno uso di frecce e di archi” (13)). Esso va notevolmente ridimensionato, tenendo conto che da un lato i cacciatori-raccoglitori odierni vivono in territori sempre più ristretti e che la selvaggina è notevolmente ridotta anche per il bracconaggio. Si deve poi tenere conto che un milione di anni fa gli erectus erano molto pochi: “secondo le stime demografiche, intorno a un a un milione di anni fa (Paleolitico Inferiore) la popolazione totale di erectus raggiungeva le 125.000 unità, con una densità pari a 0.01/km2 (14). Senza contare che la selvaggina di un milione di anni fa era senz’altro più numerosa e meno timorosa degli scarsi erectus, anche se avevano lance e asce e potevano costruire trappole trabocchetti. E poi si deve tener conto che gli scimpanzé senza armi riescono a catturare i colobi rossi, maiali selvatici, capri selvatici, babbuini e carpopitechi. Ancora una volta bisogna notare che il nostro grande cervello ci fa dire tutto e il contrario di tutto, e che, senza rendercene conto, siamo influenzati anche dai tempi e dalle società in cui viviamo.
A riprova dell’elevato consumo del carne da parte dei primi abitanti dell’Europa di 800.000 anni fa, si possono citare i fossili ritrovati nella “Gran Dolina” delle Sierra de Atapuerca in Spagna: “Da segni presenti in molti di questi si deduce che furono scarnificati e fatti a pezzi da altri umani senza alcun scrupolo […]. Ma dei corpi di almeno sei umani (di ogni età) della Gran Dolina si è abusato fino in fondo e con calcolo, come fossero prede animali –“animali da carne” – in unj modo spaventosamente disumano, o meglio spaventosamente umano, giacchè non si conoscono casi simili in altri primati”(15).
Quanto poi al regime alimentare dei neandertaliani, sia durante un periodo interglaciale di 120.000 anni fa, sia durante la glaciazione di 40.000 anni fa, in base allo studio dei fossili, risulta essere prevalentemente a base di carne: “Tutti i resti neandertaliani analizzati rivelano un regime ricco di proteine animali, simile a quello dei predatori. Questa osservazione non esclude il consumo di qualche vegetale […]. Anche in periodo interglaciale i neandertaliani, come i grandi carnivori, mangiavano gli erbivori delle pianure” (16).
Anche la dieta dell’uomo anatomicamente moderno, o sapiens sapiens, o Cro Magnon, dal luogo in cui è stato ritrovato il nostro più antico antenato, fu differente a seconda delle epoche, del clima, delle stagioni e delle regioni, ma sempre prevalentemente a base di carne. Ad esempio nelle grotte di Klasier River Mouth, sulla costa meridionale dell’Africa, sono stati individuati due distinti strati, uno che comprende tracce di una più antica presenza dei nostri antenati, tra i 60.000 e i 120.000 anni fa, e una più recente, di 20.000 anni fa. La grotta forse venne abbandonata durante un periodo di inaridimento della zona: “Nei depositi più vecchi non c’erano fossili di alcun pesce, mentre abbondavano in quelli successivi, cioè dopo che l’uomo era tornato a popolare le grotte. Inoltre, negli strati più antici, era assolutamente facile trovare le ossa di un’antilope molto docile, e, in quelle recenti, le ossa di animali assai pericolosi, come il maiale selvatico e il bufalo, che richiedevano tecniche complesse per essere catturati” (17).
Prede totalmente diverse vennero catturate dai sapiens sapiens dell’Europa media, nella steppa-tundra, e nella steppa-foresta, di 26.000 anni fa, i mammut: “Il mammut offriva la gran parte del cibo, e le sue ossa venivano utilizzate come materiale per costruire la capanne, come combustibile per i focolari, come materiale per fabbricare strumenti, armi, ornamenti, opere d’arte figurativa. Al mammut sono associati tra i mammiferi di caccia, la renna, la volpe polare e la lepre” (18) .
Invece in Italia, più o meno nello stesso periodo, i sapiens sapiens che occuparono le grotte dei Colli Berici, e delle Prealpi, si cibarono di altri animali: “La cacciagione è varia: cavallo, idruntino, stambecco, bovidi, cinghiale. In alcuni siti non lontani dal mare (Riparo Mochi) è documentata la raccolta dei molluschi eduli, anche se non in modo massiccio come in età più tarda” (19) .
Sempre in un’altra parte dell’Europa Occidentale, e sempre durante l’ultima glaciazione, la preda principale dei sapiens sapiens fu la renna: “La caccia alla renna durante tutte le stagioni costituisce la base dell’economia; alla renna sono associati il cavallo nelle regioni più steppiche, l’antilope saiga nelle zone e nei periodi più freddi, lo stambecco e il camoscio nelle regioni montane; in molti siti è ben documentata la pesca dei salmonidi con arpione o tridente. Come si è visto per il Gravettiano, nella medesima area, i cacciatori di renna maddaleniani si spostavano ciclicamente dalla costa atlantica al Massiccio Centrale, probabilmente inseguendo branchi di renne che durante la buona stagione cercavano pascoli nei territori più alti, mentre svernavano nei posti costieri.” (20). Tutta questa carne non poteva essere mangiata subito, e quindi i sapiens sapiens si ingegnarono per conservarla per i periodi difficili, e trovarono vari sistemi: “Favorita dal clima secco e freddo della fine del Paleolitico, la conservazione era effettuata mediante essiccazione, affumicatura o congelamento in fosse scavate nel terreno (nell’era peri-glaciale il sottosuolo era sempre gelato). Tali fosse, ricoperte da un tetto sorretto da zanne di mammut, sono state rinvenute nell’Europa Centrale ed Orientale. In altri regioni intere carcasse, appesantite con pietre, erano trasportate in vecchi laghi che – essendo gelati d’inverno – potevano anch’essi servire come deposito per riserve (21). I sapiens sapiens si ingegnarono anche per cucinare in vari modi la carne: se secca, facendola idratare in secchi di legno, e facendola bollire negli stessi recipienti, oppure nel ventre o nelle pelli degli animali uccisi: “Inoltre grossi pezzi di carne erano grigliati sugli spiedi, come testimoniano alcuni esemplari d’ossa rinvenuti. I pezzi di più piccolo taglio invece erano posti direttamente sulle pietre che ricoprivano molti focolari dell’ultima fase del Paleolitico (22). Come si sa, la cottura della carne fa perdere in parte il contenuto in vitamine, ma probabilmente l’apporto in vitamine era raggiunto con il consumo di frutti spontanei. Non è facile sapere di quali frutti si trattasse, perché essi non lasciano tracce fossili; solo nei siti più recenti sono stati trovati, sepolti nel limo o nella torba, alcuni vegetali: “alcuni depositi hanno restituito nocciole e altri frutti spontanei come castagne, castagne d’acqua, mirtilli, fragole. In alcuni depositi sono documentate anche la raccolta delle uova e la piccola caccia alle tartarughe palustri; in una pittura del Levante spagnolo pare raffigurata la raccolta del miele” (23).
Comunque la fonte principale di sostentamento dei sapiens sapiens era la carne dei vari animali che abbondavano in tutto il periodo Paleolitico superiore, la cui esistenza, oltre che dai reperti fossili, è testimoniata dalle pitture rupestri e dai graffiti scoperti in vari siti dell’Europa occidentale, ma anche in Australia e nell’Africa del nord (Sahara): “Prima dell’«esplosione creativa» del fenomeno artistico e dei manufatti nel Paleolitico superiore (dell’Europa occidentale) di circa 35.000 anni fa, c’è una certa penuria dell’esistenza di questa attività, sia nelle prime industrie dell’uomo (supposto) anatomicamente moderno Homo sapiens sapiens, che dei Neanderthal che in quelle di Homo erectus. Tuttavia, la gradevole simmetria dei bifacciali acheuleani, l’apparente uso di ematite e di ocra, nonché i vari oggetti trasportati per uso o per curiosità, suggeriscono un senso estetico la cui esistenza rimonta forse a mezzo milione di anni addietro” (24).
La maggior concentrazione di arte rupestre del Paleolitico si trova in Spagna e in Francia, nelle cui grotte sono dipinti o incisi diversi animali cacciati dai sapiens sapiens, ma anche animali mitici: “L’elemento appassionante di queste manifestazioni dell’arte paleolitica è che ci consentono di contemplare il mitico mammut, il possente rinoceronte, il temibile leone, e il gigantesco orso delle caverne, attraverso lo sguardo dell’uomo preistorico.” (25) Lo scopo di queste rappresentazioni non è noto: non si sa se fossero la spontanea espressione di talenti artistici individuali, o se avessero una funzione magica per favorire la cattura degli animali rappresentati, o se fossero espressione di una riconoscenza mitico-religiosa nei confronti degli animali che erano alla base della sopravvivenza dei sapiens sapiens. Nella grotta di Lascaux, nella Francia sud-occidentale, una delle più famose, sono rappresentate teorie di animali che si incrociano in tutte le direzioni: “Una composizione straordinaria con alcune figure gigantesche di animali (i grandi uri misurano circa cinque m. di lunghezza. Al centro stanno due grandi uri, uno di fronte all’altro, seguiti da altri animali (uri, cavalli, cervi), alla fine della teoria degli animali di sinistra sta un animale fantastico, il cosiddetto liocorno. Dalla Rotonda si passa al Diverticolo, dove sono raffigurati uri, cavalli, cervi, stambecchi, alcuni dei quali sono associati a frecce impennate, cruciformi, e a figure quadrangolari che qualche autore ha interpretato come trappole” (26). In altre grotte sono raffigurati questi e altri animali: i mammut, cavalli, bisonti, uri, cervi, renne, stambecchi, cinghiali, camosci, leoni, lupi, orsi, ghiottoni, salmoni, trote, rettili, rane, uccelli, iene e anche una “coppia di civette con il loro piccolo e dell’orso che vomita” (27). Nell’Europa dell’ultima glaciazione vivevano anche animali appartenenti alla megafauna che in periodo post-glaciale si estinsero: oltre ai mammut vi erano rinoceronti lanosi e non, elefanti della foresta, ippopotami, e cervi giganti.
Pitture rupestri sono state ritrovate anche in America il cui popolamento viene fatto risalire all’epoca glaciale, quando lo stretto di Bering era emerso e costituiva un ponte con la Siberia, dalla quale sarebbero venuti, in una o più ondate migratorie, i sapiens sapiens. Il più antico ritrovamento fatto in Nord-America è quello di “Old Crow, dove sono stati rinvenuti dei manufatti ricavati da animali estinti, e risalenti al 40.000-25.000 a.C.. Nella stessa regione, la Grotta del pesce azzurro (Bluefish cave), nella catena di Keele, ha restituito manufatti litici databili intorno al 25.000-12.000 a.C. Si tratta di microliti ricavati da piccoli nuclei con la tecnica della percussione, che venivano inseriti in solchi laterali di estremità di ossa per ottenere delle punte di proiettile. Tale tecnologia era già presente in Siberia circa 30.000 anni fa, e la sua presenza nel Nordamerica conferma di passaggio dell’uomo attraverso la Beringia.” (28)
Dopo la glaciazione, circa 12.000 anni fa, il panorama europeo, e anche quello delle altri parti del globo, cambiò radicalmente: lo scioglimento dei ghiacci fece innalzare il livello del mare; si formarono nuovi mari e isole, separando l’Asia dall’America, l’Australia alla Nuova Guinea. Con l’aumento considerevole delle temperature: “La tundra e la steppa fredda si ritirarono attestandosi all’estremo nord, mentre le foreste si estendono sull’intero paesaggio europeo: betulle, salici, pini, noccioli e querce ricoprono il continente di un fitto manto.” (29) La renna, che aveva dato il nome a un’intera epoca, oltre che la carne alle popolazioni del Paleolitico superiore, si ritirò verso nord; anche cavalli e bisonti si ritirarono dall’ambiente ostile delle foreste raggiungendo invece le pianure più a nord. Ma i cambiamenti più vistosi della fine dell’era glaciale furono le estinzioni della megafauna in Eurasia e America, dovute al cambiamento climatico, ma “ vi sono studiosi che le imputano alla diffusione della nostra specie in tutti gli angoli del pianeta, che avrebbe provocato, al suo passaggio, una gigantesca ondata di distruzione che non si è ancora arrestata.”(30)
L’umanità infatti era passata da circa tre milioni e cinquecentomila – 25.000 anni fa – a circa dieci milioni alla fine del Paleolitico superiore. Tuttavia, nonostante le estinzioni e le migrazioni di animali al nord, i sapiens sapiens continuarono a nutrirsi prevalentemente di carne: “In tutte le regioni d’Europa la caccia ai mammiferi di grossa e media taglia continua a essere l’attività predominante, anche se tra le specie cacciate ora prevalgono quelle legate all’ambiente forestale, come il cervo, il capriolo e il cinghiale. Ad esse si aggiungono l’uro e l’alce nell’Europa centro-settentrionale, lo stambecco e il camoscio nelle regioni montuose. Nella caccia viene largamente impiegato l’arco, documentato da ritrovamenti fatti nell’Europa centro-settentrionale […]. Non è ancora chiaro se la scoperta dell’arco sia stata realizzata tra la fine del Paleolitico superiore e il Mesolitico, oppure se risalga alle fasi precedenti del Paleolitico superiore.” (31) E’ chiaro che, trattandosi di animali di taglia più piccola di quelli estinti o migrati, l’alimentazione carnea dei sapiens sapiens divenne più diversificata con la cattura di conigli , uccelli e pesci, o la raccolta di lumache e frutti di mare. A questi vanno aggiunti gli alimenti vegetali, che si ritrovano più abbondantemente che nel periodo precedente, dalle noci alle nocciole ai mirtilli e lamponi, alle ghiande, ai funghi, alle veccie, alle lenticchie: “Tale diversificazione, in cui la raccolta dei frutti ricopre un ruolo essenziale, è ritenuta un indice di stabilità e di abbondanza. Le valutazioni negative del mesolitico, considerato fino a poco tempo fa un periodo di regresso dal punto di vista economico e culturale (per via del grande consumo di molluschi e della scomparsa dell’arte figurativa), sono superate.”(32)
Gli antropologi culturali sono giunti alle stesse conclusioni positive dei loro omonimi studiosi di fossili e pietre, studiando la vita e le tradizioni di quei cacciatori e raccoglitori che sono sopravvissuti in zone sperdute del pianeta: “Gruppi che vivevano ancora in modo molto simile ai lontani antenati europei dell’età della pietra: bande di venti o trenta persone, sempre in movimento, sparse in vasti territori e dedite interamente alla caccia di animali e alla raccolta di piante selvagge […]. Benché gli europei esagerassero il loro primitivismo, la maggioranza di queste comunità di villaggio collezionavano teste dei nemici come trofei, arrostivano vivi i prigionieri di guerra e mangiavano carne umana nelle feste rituali.” (33) Anche se queste forme estreme di “primitivismo” oggi non sono più facilmente individuabili, esistono ancora tribù primitive che costruiscono i loro strumenti in pietra, con abilità altrettanto raffinata degli uomini della preistoria, ma che, una volta raggiunti dalla civiltà, con ogni probabilità vendono i loro strumenti ai ricercatori occidentali in cambio di utensili in ferro. Le valutazioni negative sulla vita dei sapiens sapiens del Mesolitico tendono a dimostrare che il passaggio dalla caccia-raccolta all’agricoltura fu un passo obbligato per superare le difficoltà di procurarsi il cibo: “La prima falla di questa teoria è l’ipotesi che la vita fosse eccezionalmente difficile per i nostri antenati dell’età della pietra. Reperti archeologici del primo periodo Paleolitico – da 30.000 a 10.000 anni circa a.C. – dimostrano chiaramente che i cacciatori che vivevano in quell’epoca godevano di una tranquillità e di una sicurezza relativamente alte.” (34) L’altezza dei primi sapiens sapiens infatti era di circa 1 metro e 76 cm, mentre quella delle donne superava 1 metro e 63 cm, cioè le stesse misure delle popolazioni occidentali contemporanee, che però sono state raggiunte solo negli ultimi anni nei paesi più avanzati. Quanto alla difficoltà di procurarsi il cibo, questa è stata smentita dai ritrovamenti in diversi siti: “le ossa di oltre un migliaio di mammut, emerse da scavi effettuati in Cecoslovacchia, e i resti di 10.000 cavalli selvaggi che venivano sospinti a scaglioni giù da un precipizio vicino a Solutre, in Francia, testimoniano della capacità delle popolazioni paleolitiche di sfruttare questi branchi in modo sistematico e efficiente.” (35) E’ vero però che questi ritrovamenti provano anche l’insensata esagerazione dei sapiens sapiens; infatti in questi casi si sarebbe potuta sfamare la popolazione di un’intera regione; inoltre queste ecatombi di animali preistorici dimostrano almeno in parte la fondatezza della tesi sulla complicità degli uomini nell’estinzione della megafauna in tutto il mondo, verificatasi alla fine dell’era glaciale.
Quanto poi al tempo necessario per procurarsi il cibo, gli studi fatti sui superstiti boscimani del deserto del Kalahari, in Africa, hanno dimostrato che: “I boscimani adulti, per procurarsi una dieta ricca di proteine e di altri elementi nutritivi, non devono lavorare più di tre ore al giorno […e], che una donna poteva raccogliere in un giorno cibo sufficiente a nutrire la sua famiglia per tre giorni, e che il resto del suo tempo lo dedicava al riposo, al ricevimento di visitatori, al ricamo o alla visita di altri accampamenti. Le normali attività domestiche – cucinare, rompere le noci, raccogliere la legna da ardere, andare a prendere l’acqua – occupano da una a tre ore al giorno del suo tempo.” (36) Che non si tratti di una vita “bestiale” è dimostrato anche dai vari tentativi falliti dei governi e dei missionari di convincere i boscimani o gli esquimesi, o gli aborigeni australiani ad andare a vivere in villaggi “civilizzati”. Il rifiuto di passare all’agricoltura da parte dei cacciatori e raccoglitori odierni è dimostrato da alcuni indiani della California che, raccogliendo ghiande,:”ottenevano probabilmente una quantità di cibo superiore e più nutrienti di quella che avrebbero ricavato dalla piantagione di granoturco. Le grandi immigrazioni annuali di salmoni e pesci candela lungo la costa nord occidentale rendevano il lavoro agricolo una relativa perdita di tempo.” (37)
Quanto alla salute dei sapiens sapiens preistorici, esistono studi significativi a proposito della dentizione degli adulti ritrovati: “al momento della morte gli adulti avevano in media 2,2 denti in meno; 3500 anni prima di Cristo 3,5; nell’epoca romana 6,6. Sebbene queste variazioni siano dovute forse anche a fattori genetici, la statura e lo stato dei denti e delle gengive sono fortemente influenzati, come è noto, dalle quantità di proteine assimilate, che a sua volta è indice del benessere generale” (38) Occorre però dire che non ci sono tracce di carie negli scheletri paleolitici e che altre malattie mortali quali il vaiolo, il tifo, la peste, il colera si verificano solo in condizioni di sovraffollamento. Va inoltre sottolineato che la durata media della vita dei cacciatori-raccoglitori, che nell’età della pietra era di 33,3 anni per gli uomini e di 28,7 per le donne, corrisponde a quella degli attuali; la mortalità non era “in effetti più alta fra i cacciatori-raccoglitori di quanto lo fosse in seguito tra le popolazioni dedicate a una vita più sedentaria, compresi anche quelli dediti all’agricoltura.” (39) La maggior mortalità delle donne cacciatrici-raccoglitrici era con ogni probabilità dovuta alle morti per parto, ma anche alle pratiche spesso violente di interruzione della gravidanza, che venivano fatte sistematicamente per tenere basso il livello della popolazione. Allo stesso scopo i cacciatori-raccoglitori ricorrevano spesso all’infanticidio, soprattutto delle femmine, e in taluni casi all’uccisione o all’abbandono dei vecchi non autosufficienti. Il controllo delle nascite era dovuto alla necessità di mantenere i gruppi ridotti per ragioni di sussistenza, e inoltre perché le donne, in continuo movimento per la ricerca del cibo o per il nomadismo al seguito delle prede, non potevano portarsi dietro più di un bambino per volta. Una pratica non cruenta per controllare le nascite, praticata ancora oggi dalle donne boscimane, consisteva nel prolungamento dell’allattamento, che, fin che dura, impedisce nuove gravidanze. Ad ogni modo, i nostri antenati sapiens sapiens furono in grado di mantenere stazionaria la popolazione, comunque non fu un problema di sovrapopolazione a far scoprire l’agricoltura.


1) Eibl-Eibesfeldt, Etologia della guerra, Boringhieri, 1983, pag 77

2) ibidem

3) D.R.Griffin, Cosa pensano gli animali, Laterza, 1986, pag 177

4) Eibl-Eibesfeldt, op cit, pag 70

5) ivi, pag 78

6) Spedini, op cit , pag 148

7) Eibl-Eibesfeldt, op cit, pag 79

8) Spedini, op cit , pag 158

9) F. Giusti, La scimmia e il cacciatore, Donzelli Editore, !994, pag 38

10) Corriere della Sera,19 gennaio 2003, intervista a James O’ Connel, pag 24

11) Ibidem

12) F. de Wall, La politica degli scimpanzé, op. cit.

13) Corriere della Sera, citato

14) G. Spedini, op. cit, pag 192

15) J.L. Arsuaga, op cit, pag 62

16) H. Bocherens,Dossier pour la Science, gennaio 1999,Le règime alimentaire des nèandertaliens

17) G. Biondi, O. Rickards, op cit, pag 187

18) Broglio, Introduzione al Paleolitico, Laterza, 1998, pag 193

19) ivi, pag 190

20) ivi, pag 204-5

21) Perles, in J. L. Flandrin, M. Montanari, Storia dell’Alimentazione, Laterza, 1996, pag 20

22) ibidem

23) Broglio, op cit, pag 274

24) J.L. Bradshaw, Evoluzione umana, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2001, pag 92

25) J.L. Arsuaga, op cit, pp 118-9

26) A Broglio, op cit, pag 244

27) ivi, pag 249

28) A.G. Drusini, D.R. Swindler, Paleontologia Umana, Jaca Book, 1996, pag 374

29) F. Giusti, op cit, pp 162-3

30) J.L. Arsuaga, op cit, pag 163

31) Broglio, op cit, pag 271

32) Perles in J.L. Flandrin, M. Montanari, op cit, pag 21

33) M. Harris, Cannibali e re, Feltrinelli, 1979, pag 15

34) ivi, pag 19

35) ivi, pag 20

36) ivi, pag 21

37) ivi, pag 23

38) ivi, pag 26

39) ivi, pag 26