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Precari..."in questo mondo libero"

di Davide D'Amario - 21/03/2008

 

Pochi giorni fa, si è avuta la possibilità di vedere e gustare “In questo mondo libero…” regia di Ken Loach e sceneggiatura di Paul Laverty. Film duro, crudo, diretto. Che lega immigrazione (spesso clandestina) e precarietà di lavoro.
Il film è ambientato in Gran Bretagna, dove vige un sistema selvaggio di libero mercato, in cui le imprese possono licenziare più facilmente che in Italia (per chi sa quando?), se si decide di ridurre il costo del lavoro. La protagonista di questa storia “criminale” è Angie, una giovane donna, sola con un figlio undicenne, viene licenziata in tronco e decide di aprire in proprio un’agenzia di lavoro interinale (che nel film, ha come simbolo un’arcobaleno…).
Le qualità di questa giovane donna, si notano subito (intraprendenza, egoismo sociale, violenza), “salta il fosso”, diviene patetica e spregevole padroncina, scende in lotta cannibale, con quell’emarginazione e povertà che si raduna nelle periferie delle città, molte volte fatta solo di immigrati, giovani donne e uomini in cerca di un tozzo di pane, ed un rifugio dove rintanare nelle notti delle città del Capitale. In Angie vi è la vittima e il carnefice. Ad una domanda rivolta a Loach, “una guerra tra poveri?”, il regista risponde: “Angie è un’agente, un piccolo anello nella catena dello sfruttamento. Non è la classe lavoratrice che sfrutta la classe lavoratrice”, in questa risposta vi è una verità più profonda, quella della scelta di Angie nel film, o di altre ragazze e donne nelle centrali di sfruttamento interinali, cioè quella di partecipare alla fiera e compravendita del “bestiame”. E i capi sono giovani o meno giovani (in tutte le nazioni di questa Europa). La scelta, in Italia anti-nazionale di perseguitare, da parte di queste (soprattutto donne giovani e carine) secondine del “lavoro”, di martoriare con chiamate e rassicurazioni di quella sorellanza disgustosa e falsa (probabilmente ordinata da “gnomi” che in alto gestiscono la tratta) il malcapitato iscritto, e in missione (qualcuno in questa campagna elettorale ha indicato come “missioni” i punti programmatici… strane consonanze) per l’agenzia di lavoro temporaneo.
Questi rapporti, che anche quando, sono ufficiali (non in ombra come nel film, nel lavoro di Loach, l’agenzia di Angie non è registrata, quindi lavorava nel sommerso), rappresentano l’attuale disumanizzazione del lavoro. Riportiamo ancora una risposta data dal regista ribelle durante un’intervista: “Il lavoro è cambiato nell’arco della mia vita. Mio padre aveva un posto sicuro, i sindacati erano una tutela. Oggi il sistema incoraggiato da tutti i governi occidentali è la precarietà. E poi dicono: “ma non è terribile come le nostre famiglie vanno a pezzi?”…abbiamo creato le condizioni per distruggerla privandola di solidità, sicurezza,speranza per il futuro”.
Certo, nel film non si analizzano i problemi dovuti alla immigrazione selvaggia, ma è sintomatico, che si ha una storia (per altro solo sessuale e dominata a Angie) tra la protagonista e un giovane polacco immigrato.
Alla fine, il giovane uomo polacco con una dignità enorme, decide di lasciare il Regno d’Inghilterra, tornare alla amata terra originaria, tra le braccia della famiglia, probabilmente tornando ad una vita difficile e dura, ma convinto che è meglio soffrire “a casa”, che essere guardato (e proprio dal proletariato nazionale) come un ladro, e peraltro essendo sfruttato e paragonato a vacche da macello. Tornando alle nostre iene, che accolgono i proletari e precari italiani (preferendo spesso gli immigrati, perché meno pretenziosi e più malleabili), bisognerebbe accusarle di “tradimento del popolo italiano”, e forse potrebbero costituirsi dei “Comitati di salute pubblica” oggi solo consultivi e di indirizzo, che potrebbero dare indicazioni e denunciare anche queste/i (sono femministe in carriera anche queste “manovrate” sadiche padroncine) alle comunità.
Molte volte, mi sono chiesto, dopo colloqui e telefonate (l’iter di un “cercatore” di lavoro precario/disoccupato) come possano, queste iene ben vestite e a modo (studiato), tornare tranquillamente in mezzo ai giovani italiani nei luoghi della comunità, come possano impunemente essere additate ad esempio, come possano essere indicate come donne dinamiche e femminili.
Ma tralasciando per ora un discorso con molte valenze sia esse sociali che culturali, ringrazio quest’indomito settantenne, questo combattente che usa la cinepresa come un’arma puntata contro le dittature di questo Mondo Occidentale. Onore a Ken Loach creatore di personaggi indimenticabili, assemblatore puntuale di fatti… un compagno di strada.