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La visione olistica del mondo

di Guido Dalla Casa - 21/03/2008

 

 

Quando si parla di ecologia e protezione della Natura, occuparsi di “visioni del mondo” sembra una cosa più astratta, o meno pratica, rispetto a dare consigli sullo smaltimento dei rifiuti o la conservazione delle foreste, ma è soltanto perché parlare di “visioni del mondo” ha effetti a scadenza molto più lunga. Sono però aspetti che toccano molto più in profondità il comportamento e gli atteggiamenti, rispetto ai più immediati consigli pratici di ecologia spicciola.

 

Premesse

L’idea più corrente che viene evocata quando si parla di azione “ecologista”, è che questa consista essenzialmente nel vigilare affinchè il “naturale progresso dell’umanità” avvenga senza inquinamenti e senza modificare troppo l’ambiente, che è considerato bello e quindi da salvare. In sostanza, quella che viene chiamata azione ecologista è la “protezione dell’ambiente”: non inquinare, mantenere pulito il paesaggio, installare filtri e depuratori e conservare qua e là alcune isole di natura dove recarsi a scopo ricreativo, i “Parchi”.

La componente di pensiero sopra accennata è oggi abbastanza presente nell’opinione pubblica e la sua massima diffusione è certamente utile. Tutto questo non è sufficiente, perché il problema ecologico nasce dall’atteggiamento della cultura dominante, dal pensiero di fondo della civiltà industriale, dal suo inconscio collettivo. E’ un problema filosofico, molto più che un problema pratico o tecnico. Se non si modifica profondamente la visione del mondo, si ottengono solo risultati transitori, effetti di spostamento nel tempo di problemi insolubili.

    Anche se le schematizzazioni sono sempre riduttive, al solo scopo di intendersi più facilmente, adotterò la distinzione del filosofo norvegese Arne Naess, dividendo il pensiero ecologista in due categorie:

 

- L’ecologia di superficie, che ha per scopo la diminuzione degli inquinamenti e la salvezza degli ambienti naturali senza intaccare la visione del mondo della cultura occidentale. L’atteggiamento dell’ecologia di superficie è riduzionistico;

 

- L’ecologia profonda, in cui vengono modificate radicalmente le concezioni filosofiche dominanti dell’Occidente: in questa forma di pensiero si dà un’importanza metafisica alla Natura, superando il concetto restrittivo e fuorviante di “ambiente dell’uomo”. L’atteggiamento dell’ecologia profonda è olistico.

 

     Una delle obiezioni che viene mossa all’ecologia profonda è che non comporterebbe azioni concrete: le svolte culturali non sembrano concrete solo perché si svolgono su tempi lunghi. Sono però molto più profonde e radicali.

         Probabilmente la rivoluzione copernicana e la concezione evoluzionista sembravano assai poco “concrete” agli effetti della vita pratica. Eppure hanno causato modifiche di atteggiamento che si risentono per secoli e da cui derivano intere serie di scoperte-invenzioni fin troppo concrete. Cartesio non poteva certamente immaginare quali conseguenze pratiche avrebbe avuto il diffondersi del suo pensiero dopo qualche secolo.

Secondo Fritjof Capra (da “Il punto di svolta”, Ed. Feltrinelli, 1984):

 

La nuova visione della realtà è una visione ecologica in un senso che va molto oltre le preoccupazioni immediate della protezione dell’ambiente. Per sottolineare questo significato più profondo dell’ecologia, filosofi e scienziati hanno cominciato a fare una distinzione fra “ecologia profonda” e “ambientalismo superficiale”. Mentre l’ambientalismo superficiale è interessato ad un controllo e ad una gestione più efficienti dell’ambiente naturale a beneficio dell’”uomo”, il movimento dell’ecologia profonda riconosce che l’equilibrio ecologico esige mutamenti profondi nella nostra percezione del ruolo degli esseri umani nell’ecosistema planetario. In breve, esso richiederà una nuova base filosofica e religiosa.                                          

 

Le conoscenze attuali

       Riassumiamo qualche fondamento delle conoscenze attuali:

 

- Gli astri sono tutti ugualmente granelli nel mare dell’Infinito. Non c’è nessun centro di alcun tipo.

 

- L’umanità è una specie animale comparsa su uno dei tanti pianeti solo tre milioni di anni fa, contro i tre o quattro miliardi di anni di esistenza della Vita sulla Terra e i quindici miliardi trascorsi dalla presunta nascita dell’Universo, ammesso che il Tutto non sia qualcosa di pulsante ciclicamente da sempre, o che l’universo non sia in una condizione stazionaria o di “creazione continua”, ancora senza alcun punto di origine.

Ci vuole una bella presunzione a pensare di “migliorare” ciò che ha impiegato quattro miliardi di anni per divenire ciò che è. L’umanità fa parte in tutto per tutto della Natura. I fenomeni vitali sono uguali in tutte le specie.

 

- La cultura occidentale ha solo due o tremila anni, la civiltà industriale ha duecento anni: si tratta di tempi del tutto insignificanti. Anche il concetto di progresso ha una vita brevissima, non più di due o tre secoli. La divisione fra preistoria e storia è solo uno schema mentale della nostra cultura, che serve ad alimentare una certa visione del mondo. Non c’è alcun motivo, né alcuna scala di valori privilegiata, per considerare una cultura migliore o peggiore di un’altra. Si usa chiamare “storia” ciò che è accaduto negli ultimi cinquemila anni alla civiltà occidentale e viene liquidata con l’unica etichetta di “preistoria” tutta la Vita della Terra, cioè quattro miliardi di anni e cinquemila culture umane.

 

- Il funzionamento mentale essenziale e il comportamento sono in sostanza simili in tutte le specie animali vicine a noi. In gran parte si tratta di fenomeni non-coscienti.

 

- La fisica quantistica ha dimostrato l’impossibilità intrinseca di descrivere fenomeni materiali o energetici senza considerare l’osservazione; ciò significa che, senza la mente, la materia-energia è priva di significato, non è in alcun modo descrivibile, è “priva di realtà”, è solo una specie di onda di probabilità. Della fisica meccanicista di Newton resta solo la funzione pratica. Una forma di “mente” deve essere ovunque, è insita nell’universale, se vogliamo evitare il paradosso dell’osservatore che determina la cosiddetta realtà. La distinzione fra spirito e materia cade completamente. Tornano alla memoria il Grande Spirito e lo spirito dell’albero, della Terra, del fiume.

         Eppure ancora oggi, per apparire “moderne”, tante persone amano definirsi “cartesiane” o “razionali”, non sapendo di difendere invece il pensiero dell’Ottocento. Le idee del filosofo francese sono accettate dalla grande maggioranza delle persone semplicemente perché ciò che respiriamo fin dalla nascita ci appare ovvio, il che significa che non ci appare affatto.

 

Gli opposti

         La cultura occidentale vede tutto spaccato in due: questo è già motivo di ansietà; non solo, ma considera “opposte” e in lotta le due parti, non come due poli indivisibili, due facce della stessa medaglia, due aspetti della stessa cosa.

Pensa che un “polo” sia migliore e pretende di far sparire l’altro polo.

Se vogliamo usare la terminologia del Taoismo, l’Occidente vuole un Universo solo Yang: lo Yin deve essere abolito; come se questo avesse senso. Comunque, in tal modo si causa solo angoscia. L’Occidente vuole il sereno senza la pioggia, il tempo unidirezionale e non quello ciclico, vuole la competizione, la supremazia, l’affermazione dell’ego, il progresso verso il futuro come una semiretta. Vuole la vita senza la morte, l’Essere senza il Nulla, l’attività senza la passività, il fare senza il meditare, la crescita senza la diminuzione.

Come se fosse possibile avere le montagne senza le valli.

 

Oggi però la fisica quantistica ammette una logica “SI e contemporaneamente NO”, “vuoto e contemporaneamente pieno”, e può accettare posizioni non-quantitative e non-meccaniche. Con l’indeterminazione si possono integrare gli opposti vedendoli come complementari e compresenti. Anche distinzioni come reale-immaginario, scoperta-invenzione, e così via, perdono significato.

Ormai le entità chiamate particelle-onde hanno un contenuto mentale a malapena celato dal linguaggio matematico.

Con una rifondazione concettuale non-cartesiana, non si avrebbe più soltanto una “fisica” nel senso materialistico o prequantistico, ma qualcosa di più, rendendosi sempre più evanescente anche la distinzione fra fisica e metafisica, fra conoscenze “materiali” e “spirituali”. Soprattutto, in questo senso, la nuova fisica può essere il ponte per collegare le cosiddette “due culture” e portare a una progressiva scomparsa della loro distinzione.

 

Visioni del mondo

     Fra le tantissime “visioni del mondo” presenti nell’umanità è assurdo che esista quella “vera” o “giusta” perché questo costituirebbe una inspiegabile asimmetria.     Pertanto l’idea della “verità” è una caratteristica che discende dalla visione cartesiana del mondo “oggettivo” o “reale” che “è” in un certo modo.

     Le visioni del mondo sono tutte equivalenti e reali in quanto tali e in quanto manifestatesi in qualche sistema di pensiero. Non può esserci quella più “vera” o più “giusta” delle altre.  Altrimenti, come potevano manifestarsi tante visioni diverse e inoltre variabili continuamente nel tempo?

     L’universale appare come spirito o come materia, a seconda di cosa si cerca. Come il fisico trova particelle o onde a seconda di cosa cerca, così le culture materialiste trovano materia, le culture animiste trovano spiriti.

 

Conclusioni

         Esiste un approccio di tipo riduzionista mirante allo studio delle cause elementari prime di un fenomeno, che suppone sempre scomponibile in parti più semplici, e c’è un approccio di tipo olistico, che parte dalle proprietà globali di un sistema, non riducibile all’insieme dei suoi elementi.

         Il fisico fa riferimento continuo alle particelle elementari, il biologo al DNA, il sociologo all’individuo, sperando di ridurre il complesso al semplice, e così viene fatto per gli ecosistemi. Ma la recente nozione di complessità è diversa. Il tutto vale di più della somma delle parti, perché ci sono le mutue correlazioni. Non solo, anche il modo di scegliere i componenti (che singolarmente non hanno alcuna realtà autonoma) è arbitrario, perché presuppone una cornice concettuale preconcetta, un pregiudizio. Il riduzionismo nasce dal paradigma dominante dell’Occidente, cioè dall’idea che sia possibile scomporre qualsiasi cosa, o evento, in parti separate.

         L’approccio riduzionista è stato quello seguito soprattutto negli ultimi secoli e che ha portato alla visione del mondo e al modo di vivere attuali delle genti di cultura occidentale, o che hanno assorbito i valori di tale cultura. L’approccio olistico riesce difficile a chi è nato con i fondamenti del primo e sta appena cominciando a manifestarsi oggi in forma individuale o poco più.

         Quindi per ora possiamo anche ritenerci liberi di immaginare, o di sperare. Il passaggio necessario per attuare e rendere abituale un nuovo modo di pensare è difficilissimo, anche per chi ne fosse convinto intellettualmente. Ciascuno può immaginare a suo modo le conseguenze che potranno derivare da un’eventuale affermazione su scala generale dell’approccio olistico.

 

         Come esercizio, proviamo ad immaginare un mondo in cui:

 

-         gli opposti sono soltanto aspetti complementari della stessa cosa;

 

-         la morte è semplicemente l’altra faccia della vita: la Natura è fatta di entrambe come aspetti inscindibili dello stesso fenomeno;

 

-         non c’è niente da combattere, niente da dimostrare, nessuna gara da vincere o perdere, non c’è alcun bisogno di graduatorie né di primati. I concetti stessi di vittoria, sconfitta e sfida sono inutili;

 

-         non c’è nulla da conquistare, manipolare, alterare;

 

-         i concetti di ragione e torto, merito e colpa, sono soltanto pericolose sovrastrutture della mente, che eccitano la violenza e spengono il sorriso;

 

-         non c’è alcuna distinzione fra spirito e materia, fra umanità e natura, fra Dio e il mondo. La mente è diffusa, universale, indivisibile. Non siamo alcunchè di particolare, né di centrale.

 

   E’ bene chiarire che non si tratta di una visione statica, di un mondo in cui l’assenza del concetto di “progresso” comporti un modo di vivere immutabile, sempre uguale a sé stesso, oppure di attesa. In un certo senso, si può paragonare ad un fiume: sembra simile a sé stesso, ma invece scorre, magari anche velocemente. Non si tratta di “non fare”, ma di agire seguendo il corso naturale delle cose, secondo la Natura.

Inoltre, oggi nel nostro mondo c’è un’ossessiva invasione di termini come lotta, battaglia, supremazia, competizione, gara, sfida, vittoria, sconfitta e simili: basta leggere un giornale per rendersi conto di quanti fatti vengano interpretati con questo schema. Proviamo invece a privilegiare l’aspetto cooperativo e universalizzante nei confronti di quello competitivo e autoassertivo oggi esaltato in modo abnorme dalla cultura occidentale.

Lasciamo perdere anche qualche “simbolo” animale, smettiamo di esaltare chi imita l’aquila, il leone, la tigre per la loro simbolica aggressività. Il mondo è pieno di roditori, non di aquile che, poverette, stanno per estinguersi per la folle espansione umana. Per frenare un po’ la mania imperante, è ora di fare l’elogio del coniglio, l’elogio della fuga, in senso anche emotivo, psicologico.

 

Il mondo non è una cosa da conquistare, ma è l’Insieme di cui facciamo parte. Il fatto di non considerarci “esseri speciali” o “in posizione centrale” non deve affatto indurre al pessimismo; anzi, è motivo di lieta serenità.

  Infine, quale può essere una concezione metafisica-religiosa dell’ecologia profonda?

Invece del Dio-Persona distinto dal mondo e giudice delle azioni umane, troviamo il Dio-Natura immanente in tutte le cose, e quindi anche in noi stessi, che ne siamo partecipi. La Divinità osserva sé stessa anche attraverso gli occhi di una marmotta, o di una formica, o l’affascinante e misteriosa sensibilità di un albero.

 

Azioni possibili

         L’ecologia profonda è un sistema di pensiero: non richiede azioni drastiche o violente né dimostrazioni plateali. Un movimento si ispira a un’ecologia profonda se ne segue la radicalità del pensiero e intacca gli attuali fondamenti culturali, non se compie azioni fanatiche o di rottura.

         Quasi tutti i movimenti ecologisti oggi presenti in Italia, e forse nel mondo, si fondano sulle concezioni dell’ecologia di superficie.

         E’ probabile che l’azione ecologista impostata senza modifica del pensiero generale comporti solo vantaggi limitati nel tempo e non riesca ad evitare un successivo collasso del Pianeta. Comunque, in questo mondo dominato dalla religione industriale-tecnologica, anche la posizione “di superficie” è assai utile, soprattutto per salvare almeno isole di Natura e per guadagnare tempo, dando così qualche possibilità di diffusione a filosofie naturali più profonde.

                                                                          

                                                                

 

(dal libro: ECOLOGIA PROFONDA – Ed. Pangea, Via Drovetti 37, Torino, 1996)