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Diventare maestri di se stessi imparando, ogni giorno, da tutto e da tutti

di Francesco Lamendola - 25/03/2008

 

 

 

Il bisogno di trovare un maestro spirituale e di attaccarsi a lui come l'edera all'olmo è una caratteristica manifestazione della crisi socio-culturale contemporanea. Nonostante le apparenze, che parrebbero indicare il contrario, la maggior parte delle persone hanno un bassissimo livello di autostima e, spesso, proprio quelle che ostentano, nei rapporti con l'altro, il maggior grado di sicurezza e di intraprendenza. La sindrome da insufficienza di autostima è particolarmente accentuata nel sesso femminile, per tutta una serie di ragioni che, a più riprese, abbiamo tentato di lumeggiare; comunque, colpisce anche molti uomini.

Quando una persona perde, o non riesce a sviluppare, un grado sufficiente di stima in se stessa, nel proprio valore, nelle proprie potenzialità, generalmente reagisce in due modi: cercando di nascondere a tutti quel che in sé avverte chiarissimo, mediante un eccesso di attivismo, vitalismo e decisionismo che allontani ogni (possibile) sospetto; oppure ripiegandosi in sé stessa, cullandosi  nella propria impotenza, crogiolandosi nel proprio scoraggiamento, che può arrivare fino a uno stato depressivo più o meno cronico.

Sono entrambi due modi di evitare il problema: l'uno fuggendo in avanti, l'altro rifugiandosi in una sorta di resa preventiva, come se la persona in questione dicesse: «Non domandatemi nulla perché non so nulla, non so far nulla, non sono nessuno». Due modi opposti di fuggire davanti al problema; ma, comunque, due fughe. E, pertanto, entrambe illusorie e incapace di ristabilire l'armonia della vita interiore ed esteriore.

Forse il 99% degli esseri umani vive in questo modo, cercando di sottrarsi all'esigenza di fare i conti con la propria mancanza, o insufficienza, di autostima. Almeno, questo è quanto avviene nella cultura occidentale, dove l'apparire è considerato, di fatto se non in via di principio, tanto più importante dell'essere e dove è possibile costruire una intera vita all'insegna della menzogna, senza che gli altri - e, talvolta, nemmeno il diretto interessato - ne abbiano una vera consapevolezza. Dove si è giudicati, il più delle volte, in base a ciò che si possiede, a ciò che si esibisce, al denaro che si guadagna e al tenore di vita che ci si può permettere - e, possibilmente, ostentare.

Però la mancanza di autostima rende infelici nel profondo; ed entrambe le reazioni "di fuga" non fanno che mascherare, di solito malamente, tutto il disagio e la crescente disperazione di un io, che intuisce di essersi eretto a carceriere di se stesso, delle proprie vere necessità e dei propri autentici bisogni.

Quando l'infelicità si cristallizza in atteggiamenti che non le consentono neppure la speranza di una futura liberazione, la persona viene letteralmente posseduta da una forza negativa che la rende molesta a sé ed agli altri. Molte famiglie, molti luoghi di lavoro e molti gruppi di amici sono lentamente avvelenati da questa forza negativa che, a volte, promana da una persona sola, ma che calamita verso di sé altre forze negative, forse solo latenti o appena accennate, sino a formare una matassa inestricabile fatta di rancore, invidia e sofferenza.

Questa è la forza espansiva del male, che si alimenta di tutto ciò che non riesce a trovare sfogo alla luce della consapevolezza e che si rintana nell'ombra, come un groviglio di serpi. È in questo modo che il demoniaco penetra da una persona all'altra, da una situazione all'altra, e si trasmette come la muffa di una sola mela che, poco a poco, è in grado di infettare un intero cesto di frutta, se non si interviene a tempo per fermare la corruzione dilagante.

Per reagire a un tale stato di cose, non esiste che un solorimedio: ritrovare l'autostima, unica strada che permette di ristabilire la pace dell'anima.

Le ragioni che fanno abbassare il livello della stima di sé al di sotto del minimo necessario per vivere serenamente sono, ovviamente, svariate, e variano da individuo a individuo; inoltre, sono fortemente legate a fattori culturali di carattere generale, che agiscono dall'esterno e pongono il soggetto di fronte a una serie di richieste del gruppo cui appartiene. Non riuscire a soddisfare tali richieste, significa sentirsi inadeguati e, di norma, perdere la stima di sé, imboccando la strada della possessione demoniaca. Qualcuno penserà che stiamo parlando in modo figurato e un tantino esagerato. Niente affatto: l'inferno è la mancanza di pace interiore che, per rabbiosa impotenza  contro se stessa, si traduce in negatività verso sé e verso gli altri.

Una parte delle persone che reagiscono con la fuga, sia all'interno che all'esterno, davanti alla propria crisi di autostima, va a costituire quella perenne domanda di maestri, che oggi è così diffusa, specialmente in Occidente. Si cerca un maestro cui aggrapparsi, come il naufrago cerca di aggrapparsi ai rottami della nave naufragata. Talvolta, questo maestro ha le fattezze di uno psicologo o di uno psicoterapeuta; talaltra, quelle di un guru più o meno esotico, più o meno pittoresco; oppure ancora, quelle di uno psuedo intellettuale gratta-e-vinci, un tuttologo dalla ricetta sempre pronta, un sostituto prestigioso della figura paterna: protettivo, rassicurante, che assume su di sé il peso delle decisioni e ne dispensa gli allievi.

Il più delle volte si tratta di soluzioni che creano ancora più problemi di quanti non ne risolvano, perché - al di là del valore specifico di tali supposti "maestri" - quel che è sbagliato è l'atteggiamento di fondo da cui nasce la domanda di essi. Le persone che si affidano a simili guide  non vogliono prendere nelle proprie mani la responsabilità di guardarsi dentro sino in fondo; cercano formule più o meno rassicuranti che, inconsapevolmente, ne prolungheranno lo stato di dipendenza psicologica e tenderanno, anzi, a renderla cronica. È come se un uomo che ha perduto un gamba si affidasse a un autista personale che lo conduca, in macchina, ovunque lo desideri, invece che a degli opportuni esercizi di riabilitazione, i quali gli consentano di usare al meglio la gamba che gli rimane ed, eventualmente, l'arto artificiale che gli è stato applicato al posto di quello amputato.

Noi dobbiamo imparare a camminare da soli, costi quello che costi, e non metterci alla ricerca di qualcuno che cammini al nostro posto, magari pagandolo profumatamente; altrimenti, non risolveremo i nostri problemi.

Di veri maestri, in giro, ce ne sono pochissimi.

E quei pochi, di norma, sono loro che si scelgono i propri discepoli: come fece Gesù e come hanno sempre fatto tante altre eminenti personalità spirituali. Se accade che sia il discepolo a presentarsi spontaneamente al maestro, come fece il celebre santo tibetano Milarepa, è probabile che il maestro faccia di tutto per scoraggiarlo, mortificarlo e allontanarlo. Lo farà, ovviamente, per metterlo alla prova: vuole essere sicuro della sincerità delle sue intenzioni, dell'autenticità della sua vocazione. I falsi maestri, invece - come ironizzava lo scrittore greco Luciano di Samosata - espongono un bel cartello a colori vivaci e promettono felicità, benessere e, addirittura, la conquista di particolari poteri - poteri che è possibile acquisire anche senza alcuna seria evoluzione spirituale ma, anzi, affidandosi alle forze del Male; ed è ancora la biografia di Milarepa a ricordarcelo, che, da giovane, era divenuto un temutissimo praticante della magia nera. Oggi, questi disinvolti "maestri" si servono anche degli annunci pubblicitari a pagamento sui giornali e perfino in televisione; se si degnano di tenere delle conferenze, esigono di essere pagati. Il loro scopo reale è il guadagno: e basterebbe già solo questo per farci capire, se non avessimo perduto il ben dell'intelletto, che non sono affatto dei veri maestri.

Un maestro a pagamento è una contraddizione in termini; non è che un mercenario. Ma, dal momento che la domanda è sempre elevata, lo è anche l'offerta. Finché le persone andranno in cerca di maestri come il consumatore va a fare la spesa al supermercato, avremo sempre abbondanza di un tal genere di "merce".

Infatti, lo smarrimento degli animi è oggi tale, che perfino simili cialtroni trovano sempre una numerosa clientela, pronta ad aprire il portafogli e a sborsare qualsiasi cifra, pur di ritrovare pace, benessere e tutto il resto: lo hanno letto sui dépliant o sugli annunci a pagamento, come l'aspirante turista  legge sugli opuscoli delle agenzie di viaggio le allettanti offerte del pacchetto-vacanze, tutto compreso nella cifra stampata a margine del foglio. E lo sa il Cielo, quanti poveri ingenui si mettono nelle mai di falsi maestri, si consegnano a sette ciniche e farneticanti o, semplicemente, si fanno spennare da strizzacervelli che non li guariscono affatto, per il semplice motivo che partono da una concezione dell'uomo talmente deformata, che non potrebbe mai consentir loro di aiutare, non che il prossimo, neppure se stessi.

Il fatto è che i veri maestri - rarissimi, lo ripetiamo - chiamano a sé, oppure, eccezionalmente, accettano alla propria sequela, solo coloro nei quali vedono, mediante il terzo occhio, l'occhio interiore, la giusta disposizione di spirito. Non le anime deboli e bisognose di una qualsiasi stampella per sorreggere le proprie debolezze e per lenire le proprie paure, bensì le anime forti che sanno di aver paura e di essere deboli, e perciò, virilmente, vogliono cercare una via d'uscita, che le metta in grado di aiutare sé stesse e coloro che le circondano. In altre parole, il discepolo troverà il vero maestro solo se, e quando, sarà passato da un atteggiamento rinunciatario, vittimistico e improduttivo, ad uno di consapevolezza, di sana tensione interiore, di apertura coscienziale e di volontà di progresso spirituale.

Si obietterà che, se è così, possono diventare discepoli di un vero maestro solamente coloro che, in un certo senso, non ne hanno più bisogno, essendosi già avviati sul giusto cammino interiore; un po' come si può dire che ottengono dei prestiti dalle banche, solo quelle persone che sono in grado di dimostrare di non averne realmente bisogno.

In questa formula paradossale c'è qualcosa di vero. Anche Gesù disse, una volta, che a chi ha sarà dato, mentre a chi non ha, sarà tolto anche quel poco che ha. Ma disse pure che solo quando si è pronti a rinunciare a tutto, a "rinnegare se stessi", si diventa degni di ritrovare ogni cosa. In altre parole, la parte più difficile del cammino - rompere la corazza della rassegnazione e dell'inerzia e riconoscere il proprio stato di disagio - dobbiamo farla da soli, non c'è maestro che la possa fare al nostro posto.

Tuttavia, non è così strano o così "ingiusto" come potrebbe sembrare.

Uno dei grandi mali della scuola di massa è che vi accedono persone demotivate, che non reagiscono agli stimoli degli insegnanti perché non hanno fatto da sole il primo e fondamentale passo: desiderare fortemente di farsi un'istruzione. Anche l'insegnante più bravo farà fatica ad avvincere i suoi alunni, se essi sono un gregge di pecore che è stato trascinato in classe senza alcun entusiasmo o, magari, controvoglia. Se la scintilla non parte da colui che, bisognoso di apprendere, si riconosce ignorante ed è pronto a fare dei sacrifici per progredire, gli effetti dell'istruzione saranno nulli.

E la stessa cosa vale quando si parla di serio discepolato spirituale e di autentici maestri di saggezza; non quelli che si comprano al supermercato.

Arriviamo così a una prima, fondamentale conclusione: per riconquistare la stima di sé e mettersi sulla via della evoluzione spirituale, non bisogna affatto cercare un maestro fuori di sé, ma bisogna sforzarsi di diventare maestri di se stessi.

È troppo facile dire: «Io non posso, non ce la farò mai; sono troppo debole, troppo smarrito e troppo scoraggiato». Se le cose stanno veramente così, allora nessun maestro spirituale potrebbe mai fare qualcosa per un simile discepolo, fosse pure un maestro come Paramahansa Yogananda, come  Aurobindo o, addirittura, come Buddha. Bisogna invece dire a se stessi: «Mi riconosco debole, smarrito e scoraggiato; ma so che la forza, il coraggio e l'orientamento di cui ho bisogno mi possono venir donati gratuitamente, purché io sia abbastanza umile da domandarli». Noi ci sentiamo deboli, smarriti e scoraggiati quando ci dimentichiamo di essere parte dell'Essere; ma appena torniamo ad esserne consapevoli, ecco che possiamo ritrovare, sovrabbondante, il dono della grazia: una potente forza benefica di cui possiamo disporre illimitatamente.

Ancora, si obietterà che la mancanza di autostima è appunto quel diaframma che ostruisce la chiara visione del nostro legame ontologico con l'Essere; e che nessuno può dire al cieco: «Alzati e cammina!», se questi non ha mai visto la luce in vita sua, o se si trova nelle tenebre da così tanto tempo, da essersene scordato.

Tuttavia, se è vero che quel diaframmo lo abbiamo costruito noi, con le nostre illusioni e con la nostra ignoranza circa la natura dell'Essere, nessun altro che noi sarà mai in grado di abbatterlo. Ammesso e non concesso che lo possa fare un altro al posto nostro, noi torneremmo a costruire quel  diaframma, quella ostruzione: lo faremmo con le nostre paure, con le nostre viltà e con la nostra debolezza.

E poi, daccapo, ce ne andremmo attorno, ansiosi come naufraghi in cerca di una tavola cui aggrapparsi, alla ricerca di un maestro, di un picconatore che abbatta per noi quel diaframma. Le nostre braccia, ahimé, sono così stanche…!

 

Dunque, divenire maestri di se stessi.

E, come ogni buon maestro che si rispetti, dobbiamo essere un po' duri con noi stessi, un po' ruvidi, un po' brutali. Dobbiamo scuotere la nostra pusillanimità, prendere a calci la nostra vigliaccheria e,  soprattutto, la nostra pigrizia.

Dobbiamo, per l'appunto, ordinare al nostro 'io' cieco: «Alzati e cammina, pigrone, furbastro, simulatore!»; e, se occorre, aggiungere alle parole un paio di robusti ceffoni.

Così, forse, le nostre giunture anchilosate saranno costrette a rimettersi in tensione; i nostri occhi, assuefatti alla confortevole penombra, saranno frustati da una lama di luce; le nostre paure, spaventate da tanto ardire, piglieranno spavento di se stesse e scapperanno in ogni direzione, correranno a rifugiarsi negli angoli più nascosti, come un esercito di topi al sopraggiungere di un grosso gatto affamato. Se la daranno a gambe levate, e come!

 

Questa sarà la prima fase, ma anche la più importante.

Quando avremo fatto un tale passo anche una sola volta, difficilmente ricadremo indietro. La pigrizia e la paura sono femmine: non reggono all'urto di chi le affronta con decisione. Diventano forti solo quando fiutano l'irresolutezza e il narcisismo di chi, in fondo, sta troppo bene nel suo angolino di infelicità, per volerne uscire veramente. Perciò, come diceva il buon vecchio Nietzsche, quando devi affrontarle, prendi la frusta e non fare complimenti: vedrai come fuggiranno a più non posso!

E poi… poi, ciascuno dovrà cercare la propria strada: inciampando, cadendo e sbucciandosi più volte le ginocchia.

Sarà dura.

Però basterà sforzarsi di essere onesti con se stessi, guardarsi dentro sino in fondo, riconoscere la propria insufficienza; e, poi, ricordarsi di quella forza benefica che viene dall'alto, gratuita e inesauribile, in soccorso di chi la sua domandare.

Ecco: saremo soli, ma non saremo più soli.

La grazia ci accompagnerà, ci guiderà, ci sosterrà nei passaggi più difficili, come un esperto alpinista.

Se riusciremo a fare del bene al prossimo, sarà lei a farlo, per mezzo di noi.

Se faremo del male, sarà opera nostra: perché il male viene dall'arroganza dell'essere umano che si crede autosufficiente, che si crede onnipotente - che si crede Dio.

 

E così, sempre avanti, lenti e fiduciosi, un passo dopo l'altro, forti della nostra umiltà.

A un certo punto, ci accorgeremo che possiamo farcela.

Da soli, anche senza maestri: imparando ogni giorno dalla vita, da tutto e da tutti.

Ma non del tutto da soli; con un aiuto.

Un aiuto che ci è donato dall'alto, da una forza superiore all'umana; ciascuno la chiami come preferisce.

Per noi, non è altro che l'Essere: l'Essere di cui siamo parte, anche se talvolta - e con nostro grave danno - tendiamo a scordarcene.

L'Essere che è tutto in tutti.

L'Essere al di fuori del quale nulla esiste, se non le nostre illusioni di separatezza e i nostri ridicoli deliri di onnipotenza.

L'Essere che è la nostra origine, la nostra via, la nostra ultima meta.