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Terza considerazione inattuale: ritrovare le ragioni dell'armonia familiare

di Francesco Lamendola - 25/03/2008

 

 

 

 

Abbiamo, in precedenza, sostenuto che la famiglia si sta sfasciando sotto i nostri occhi (nell'articolo Gli effetti morali dell'industrializzazione sono all'origine della crisi della famiglia moderna, sempre sul sito di Arianna Editrice).

Ricapitoliamo brevissimamente i punti salienti dell'analisi da noi svolta in quella sede.

Primo, la crisi dell'istituzione familiare covava da tempo, anche se solo da alcuni anni la crisi è esplosa in maniera visibile ed evidente.

Secondo: la famiglia si sta letteralmente disintegrando, tanto che essa sopravvive quasi soltanto  negli spot della pubblicità televisiva, affinché le industrie possano reclamizzare un nuovo tipo di biscotti, di marmellata o di bastoncini di pesce surgelato.

Terzo: là dove ancora la famiglia resiste, sembra un fortino assediato dagli Indiani; e, quel che è peggio, essa è minacciata all'interno da ogni sorta di pericolo: con i prodotti della tecnologia - televisione, computer, videogiochi -, a fare da bambinaie o da sostituto dei genitori.

Quarto: le tensioni che covano all'interno del nucleo familiare sono sempre più forti; le spinte centrifughe, sempre più incontrollabili; il dialogo, ridotto quasi a zero; la collaborazione, la fiducia reciproca, degradati a mero utilitarismo. Bastano le prime difficoltà per spingere i coniugi ad andare dall'avvocato; e poi, via, pronti entrambi a ricominciare e a rifarsi una nuova vita, come niente fosse.

Quinto: coloro che più soffrono delle tensioni familiari e della progressiva disgregazione del nucleo familiare sono i bambini, sballottati come pacchi postali da un genitore all'altro e, spesso, sommersi di impegni, come tanti piccoli manager d'assalto: ma nessun impegno potrà mai colmare la loro cronica carenza d'affetto.

Sesto: in queste condizioni, i figli crescono fragili, nervosi, demotivati; s'imbrancano nella prima compagnia che capita loro a tiro, non appena raggiungono la pre-adolescenza; si sprofondano e cercano di intontirsi nel consumismo più sfrenato, quasi per anestetizzare il dolore della ferita interiore.

Settimo: se fare i genitori, oggi, è enormemente più difficile di qualche decennio fa, neppure i nonni sono più delle presenze autorevoli ed efficaci; mancano, di conseguenza, le figure parentali che potrebbero colmare, almeno in parte, il vuoto affettivo e di valori, dovuto alla lontananza, fisica o spirituale, dei genitori.

Ottavo: la scuola ha totalmente abdicato alla sua funziona educativa, limitandosi a una fredda e burocratica trasmissione di conoscenze, abilità e competenze (tanto che il vecchio "esame di maturità" è stato sostituito dall'asettico ed efficientistico "esame di Stato"); e gli insegnati - salvo poche, lodevoli eccezioni - tutto hanno in mente, tranne che di contribuire alla crescita umana e morale dei giovani.

Nono: sono pressoché scomparsi spazi verdi, luoghi sicuri dove i bambini possano giocare e divertirsi in modo sano; dove possano socializzare; dove possano sviluppare creatività e fantasia; dove possano elaborare una propria immagine del mondo, confrontandosi con la realtà delle cose e non con la realtà virtuale della televisione o del computer. Spesso, lasciati da soli all'aria aperta, i bambini si annoiano, non sanno che fare; non conoscono giochi, al di fuori di quelli elettronici o, quanto meno, di quelli già pronti e semi-automatici, come i trenini che corrono sui binari o le bambole che parlano, ridono e fanno pipì.

Decimo: la disgregazione della famiglia e della sua armonia interna hanno un inizio ben preciso: la rivoluzione industriale che ha investito la civiltà occidentale, tra la fine del XVIII secolo e l'ultima metà del XX, innescando la spirale perversa dei bisogni artificiali, affinché le fabbriche possano inondare il mercato di sempre nuovi prodotti; e spingendo ciascuno ad inseguire il miraggio inafferrabile di un benessere materiale che dia accesso, finalmente, alla sospirata felicità.

 

Ora desideriamo approfondire quest'ultimo aspetto e, in particolare, prendere in esame le conseguenze che l'avvento della mentalità materialistica e consumistica ha avuto all'interno del tessuto familiare; e in che modo quest'ultima abbia potentemente contribuito ad eroderlo e a sfilacciarlo, sino a portarlo sull'orlo della dissoluzione.

Per farlo, dobbiamo partire da lontano.

È chiaro che problemi, all'interno delle famiglie, ce ne sono sempre stati: mariti ubriaconi, madri nevrotiche, figli difficili e perfino molestie ed abusi sessuali, ce n'erano anche un tempo. Ma è altrettanto vero che la famiglia estesa, grazie alla presenza di diverse figure parentali e di numerosi fratelli e sorelle, offriva maggiori possibilità di compensazione affettiva e di ricostituzione degli equilibri interni.

Oltre a questo, c'è un altro fatto importantissimo che bisogna tener presente: l'apparente semplificazione della vita quotidiana operata dalla tecnologia. Fino a due o tre generazioni fa, il lavoro fisico era tale da impegnare i membri di una famiglia, bambini compresi, praticamente a tempo pieno. Il lavoro nei campi, nell'orto, nella stalla, richiedeva cure continue; i figli più grandicelli dovevano occuparsi dei fratellini e delle sorelline; finito il lavoro, c'erano gli abiti da rammendare, le scarpe da risuolare, gli attrezzi da riparare, e così via. Non c'erano tempi morti, tranne la domenica mattina: il giorno della festa, dei vestiti buoni e delle funzioni religiose. E, poi, la sagra del santo patrono; e, nel corso dell'anno, poche altre festività. Ma gli animali da governare, nella stalla, nel porcile e nel pollaio, dovevano mangiare anche la domenica, a Natale e Pasqua; le viti andavano potate, con il sole o con la pioggia; e qualcuno doveva ben portare il latte appena munto fino alla latteria più vicina, festa o non festa che fosse.

La tecnologia, frutto dell'energia mentale di chi inventa nuovi strumenti e dell'energia fossile che li traduce in lavoro utile, ha sostituito l'energia fisica del piede, del braccio e della mano. Le macchine  lavorano per noi e ci fanno guadagnare tempo (almeno in apparenza). Nella famiglia mononucleare post-industriale, quindi, c'è meno lavoro fisico da sbrigare, si fa meno fatica in senso stretto e ci si ritagliano margini considerevoli di tempo libero (o, almeno, questo è quel che appare). Tutto questo, però, non si traduce in una maggiore serenità e armonia familiare; al contrario. Anche un cieco si può accorgere del fatto che mai, come oggi, la famiglia è stata squassata, dall'interno, da venti di tempesta. Perché, dunque?

Secondo noi, ciò dipende dal fatto che la tecnologia ci ha resi orgogliosi: orgogliosi di noi stessi. Ci ha abituati - insieme ad altri fattori - a considerarci autosufficienti, nel senso più pregnante e specifico della parola. Ci ha insegnato a vedere noi stessi come degli dei: ciascuno si sente un po' il Dio di se stesso. Grazie agli strumenti della tecnica, noi abbiamo assimilato l'intima convinzione che tutto ci è possibile, o che lo diverrà, in un futuro abbastanza vicino; che riusciremo a risolvere qualunque problema, a superare qualsiasi ostacolo: in una parola, che siamo diventati, o che stiamo per diventare, onnipotenti.

Questo delirio di onnipotenza si traduce in una visione del mondo basata non più sul senso del dovere e sulla necessità della collaborazione reciproca - a cominciare, appunto, dall'interno delle famiglie -, ma, al contrario, in una orgogliosa e smodata rivendicazione di autonomia, di indipendenza, anzi, di libertà assoluta. Non accettiamo l'idea del limite: che ci siano dei limiti ai nostri diritti, a quel che possiamo fare, alla nostra ricerca esasperata di auto-realizzazione. Abbiamo costruito questo clima spirituale e i nostri figli, respirandolo fin dalla più tenera età, se ne sono ubriacati e ne sono impazziti.

Ragazzini di undici o dodici anni, hanno sempre la bocca piena di "io voglio": esigono tutto, pretendono tutto, rifiutano ogni responsabilità e ogni dovere. L'altro è visto solo come un limite al dispiegamento della propria libertà assoluta e incondizionata; o, al massimo, come un mezzo per realizzarla. Altrimenti, non è che un ostacolo da abbattere, un inciampo sulla strada della nostra felicità. Come diceva Sartre, cattivo maestro per eccellenza della post-modernità: l'inferno sono gli altri.

Da questa pretesa di costruire e realizzare il proprio ego, senza gli altri e a dispetto degli altri; da questa inimicizia, implicita ma estremamente reale, nei confronti di tutto e di tutti; da questa folle ubriacatura di edonismo, che sfocia in una altrettanto folle ubriacatura di nichilismo, vengono  travolte le famiglie al giorno d'oggi.

Intanto gli idoli della musica giovanile esaltano, nelle loro canzoni, una libertà sfrenata e delirante, imprecano al mondo degli adulti e dei genitori, rivendicano la bellezza della droga e magnificano il gesto "liberatorio" del suicidio: applauditi ed osannati da folle strabocchevoli di teen agers in visibilio.

Questo è il mondo che abbiamo costruito, e questi sono i risultati.

Tempo due o tre generazioni e, continuando per questa via, non ci saranno più famiglie, non ci sarà più società organizzata, non ci sarà futuro. Ci distruggeremo con le nostre stessi mani, pagando e idolatrando i nostri carnefici.

 

Per questo, è necessario reagire.

Ogni silenzio, ogni indulgenza, ogni ambiguità sarebbero colpevoli: non c'è più tempo da perdere. Dobbiamo correre ai ripari, prima che sia troppo tardi.

Primo, dobbiamo fischiare e cacciare a pomodori marci tutti i cattivi maestri.

Secondo, dobbiamo smetterla di crederci Dio e recuperare, se non la fede (che è un dono, e non dipende da noi), almeno il senso del limite e il senso del mistero.

Terzo, dobbiamo riscoprire la gioia della fatica, del sacrificio, del lavoro manuale: fosse anche semplicemente del fatto di andare a fare la spesa a piedi o in bicicletta, e non sempre e solo col macchinone; o di rilegare un libro con le nostre mani; o di portare i bambini a vedere le anatre sul fiume dietro casa (almeno chi lo può), invece di regalare loro l'ultimo videogame giapponese.

Quarto, dobbiamo dare il buon esempio delle cose fatte con cura, con amore, con passione: a cominciare dal nostro lavoro. Non dobbiamo far vedere che facciamo le cose di malavoglia e sgraziatamente, pensando solo al guadagno.

Quinto, dobbiamo ristabilire un dialogo con i nostri figli, costi quel che costi. Sarà difficile, all'inizio, perché non ci siamo più abituati e perché loro, ormai, tendono a vedere ogni nostra mossa come una intrusone nella loro sfera privata, come un attentato alla loro sacrosanta libertà. Perciò, sulle prime, la loro reazione sarà di diffidenza, di aggressività e di rifiuto.

Sesto, dobbiamo mostrare ai nostri figli che nulla, per noi, è più prezioso di loro: ma senza smancerie e senza esagerazioni. Sobriamente, con dignità e discrezione; ma con la forza silenziosa della costanza e della coerenza, che non hanno bisogno di tante parole per comunicare.

Settimo, dobbiamo recuperare il senso della collaborazione reciproca, nella famiglia e fuori di essa; il senso del bisogno che ciascun essere umano ha dell'altro, necessariamente; dobbiamo reimparare a fidarci del nostro prossimo, e non delle macchine.

Ottavo, dobbiamo avere l'umiltà di non fidarci, orgogliosamente, delle nostre sole forze, e neanche soltanto di coloro che ci sono più vicini; riconoscere che noi, da soli, possiamo fare ben poco; che esiste una forza potente e benefica, una forza cosmica, che i credenti chiamano grazia, ma che si può chiamare anche in altro modo, che ci aiuta e ci soccorre là dove il cammino è più erto e difficile, dove le pietre si fanno più affilate e taglienti. In quella forza dobbiamo riporre la nostra fiducia; e, per far questo, dobbiamo reimparare a chiedere.

Nono (e lo abbiamo già detto, nella Prima considerazione inattuale), dobbiamo riscoprire il giusto concetto di aristocrazia, ossia la necessità di affidarci, in ogni circostanza, a chi è in grado di gestirla nel modo migliore: non in senso puramente tecnico, ma nel senso umano più ampio e comprensivo.

Decimo (e, anche questo, lo abbiamo già detto, nella Seconda inattuale), dobbiamo restaurare il valore della virilità e della femminilità, come categorie esistenziali complementari e distinte, come polarità che hanno bisogno l'una dell'altra, appunto perché sono diverse l'una dall'altra.

 

E poi, coraggio: la strada sarà lunga e difficoltosa.

A volte ci sembrerà di non farcela; e, comunque, difficilmente vedremo germogliare le pianticelle  che saremo riusciti a seminare.

Altri le vedranno, non noi.

Non importa.

Dobbiamo ugualmente metterci in cammino; e, quando saremo più stanchi e scoraggiati, qualcosa o qualcuno ci aiuterà.

Esiste, quella forza benefica universale, di cui dicevamo poc'anzi.

Verrà lei ad aiutarci: non come un deus ex machina che risolve, miracolosamente, le situazioni difficili; ma servendosi di altri esseri, di altre circostanze, di altri pensieri e sentimenti, che sentiremo avvicinarsi - fuori e dentro di noi - quando ne avremo più bisogno.