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La recessione alle porte

di Massimiliano Viviani - 25/03/2008

     

 

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La Federal Reserve, la banca centrale americana, ha recentemente tagliato il costo del denaro al 2,50%. E' stato l'ultimo di una lunga serie di tagli nel tentativo di ridare fiato all'economia: basti pensare che solo lo scorso autunno il tasso era al 5%! Evidentemente si sta cercando di scongiurare la crisi rendendo il denaro era più disponibile, ma nel contesto di un sistema malato di debiti sembra il tentativo disperato del tossicodipendente di sopravvivere iniettandosi altra eroina.
E i mercati non stanno abboccando. Infatti se la banca centrale taglia il costo del denaro e come risposta le borse sprofondano, vuol dire che c’è qualcosa che non va: solitamente accade il contrario. Nel Paese dove lo Stato di regola non interviene nei mercati, più provvedimenti d'urgenza si prendono in soccorso del credito, più gli investitori capiscono che questi sono il sintomo di una crisi reale.
Su questo oramai non sussistono più dubbi, resta soltanto da capire la gravità: sarà breve e leggera - due o tre trimestri - o profonda e dolorosa? La fase di recessione infatti non implica necessariamente un Pil negativo: si può verificare anche un suo forte rallentamento, o come si dice in gergo, un “atterraggio morbido”. Questo perchè oggi il sistema monetario è più regolato che in passato, e gli Stati intervengono con maggiore intensità e tempestività. Per questo i liberisti non accettano il paragone con il '29.
Ma secondo Alan Greenspan, ex numero uno della Federal Reserve e principale responsabile della crisi in atto, “si tratta della peggiore crisi del dopoguerra”. Detto da uno che ha invaso il mondo di spazzatura finanziaria, c'è da crederci.
Se rispetto al 1929 indubbiamente il mondo della finanza è più tutelato, dall'altra parte gli Usa oramai sono la potenza in declino, non più quella emergente. Questa è diventata ormai la Cina, i cui alti dirigenti si stanno domandando se convenga ancora detenere titoli di stato americani e dollari che valgono sempre meno: se decidessero di ridurli, cesserebbe una fonte importante di finanziamento agli Usa e le conseguenze potrebbero essere gravissime.
Oltretutto il sistema basato sull'obbligo, da parte dei vari Paesi, di detenere riserve monetarie in dollari, ereditato dagli accordi di Bretton Woods, sta cominciando a mostrare le prime crepe, soprattutto da parte di quei paesi esportatori di combustibile (Russia, Iran, Venezuela) a cui la dipendenza dagli yankees comincia a stare stretta: gli Stati uniti sarebbero costretti così a smettere di esportare carta per ottenere in cambio beni reali.
E le conseguenze per i cittadini stanno cominciando a sentirsi: i prezzi delle case americane stanno già calando sensibilmente e si stima che crolleranno tra il 20 e il 30 per cento. Già adesso molte famiglie hanno smesso di pagare i mutui cedendo la proprietà della casa alla banca, e il numero di esse sarà destinato a crescere (fino a 20 milioni). Inoltre la crisi dei mutui ad alto rischio sta intaccando ora anche i mutui a basso rischio, e potrebbe estendersi fino agli immobili commerciali (negozi, uffici ecc).
In generale, la recessione comporterà una massiccia ondata di fallimenti di società, con conseguente forte aumento della disoccupazione e quindi calo drastico dei consumi. L'effetto domino ripercorrerà a ritroso tutta la bolla gonfiatasi in questi ultimi anni, procurando danni anche all'Europa -che non è certo stata risparmiata dall'aumento dei prezzi delle case. Solo l'euro forte potrebbe proteggerci.
Una crisi di tali dimensioni, essendo strutturale, potrebbe però avere per gli Usa anche degli effetti positivi: potrebbe insegnare loro ad avere più umiltà verso chi americano non è, ma soprattutto che il loro non è il migliore dei mondi - anzi - e che quindi è fuori luogo decidere sui governi altrui e sentenziare sul rischio declino di altri Paesi (tra cui il nostro). Se non altro perchè per loro questo rischio non c'è: per loro il declino è sicuro.