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Biopolitica, la nuova sfida

di Vittorio Possenti - 26/03/2008

 


 
La biopolitica si staglia come grande problema civile: è l’ospite inquietante che bussa alla porta, capace di cambiare la percezione che abbiamo di noi e il senso dell’umano. Biopolitica è alla lettera 'politica della vita', almeno di quella nuda vita che è il nostro corpo, per minuscolo che sia come nell’embrione. Con le moderne tecnologie la biopolitica, che è sempre esistita, assume un volto profondamente ambiguo: parte come politica dei corpi e potere su di essi, e diventa presto potere sulle persone che non sono minimamente separabili dal loro corpo. Oggi essa è notevole fattore del mutamento antropologico e sociale, in specie se guardiamo alla deriva eugenetica in crescita, fatta di aborto e infanticidio selettivi (quasi sempre contro il sesso femminile), diagnosi preimpianto in cui uno è scelto e l’altro scartato, soppressione dei grandi prematuri con difetti genetici. Secondo la mentalità eugenetica il valore della vita umana dipende non da ciò che si è, ma da ciò che si può fare.
  L’eugenetica sta diventando il più difficile dilemma bioetico, superiore alla questione delle cellule staminali embrionali su cui il dibattito ferve da molti lustri. Con l’emergente possibilità di riprogrammare le cellule staminali adulte invertendo la freccia del tempo e riportandole allo stadio di cellule totipotenti, il problema sulle staminali embrionali potrebbe risultare superato in pochi anni: la scienza toglierebbe il dilemma morale da essa generato. La sua soluzione comporterebbe quella della clonazione detta 'terapeutica', che implica una negatività almeno pari alla clonazione 'riproduttiva'. Non basta premettere il termine 'terapia' per far diventare una
pratica illecita moralmente legittima. Nella clonazione terapeutica il soggetto umano allo stato embrionale viene considerato
 res nullius
di cui si può disporre a piacimento per uno scopo utile: la guarigione di un altro. Dunque un mezzo che non ha alcuna dignità di fine. L’eugenetica attuale (ma già messa in pratica in parti dell’Occidente nella prima metà del XX secolo), levigata e democratica, rigetta con orrore il sospetto di essere assimilata a quella nazista, da cui non differisce poi tanto: mentre i nazisti praticavano un’eugenetica positiva mirando a migliorare l’ariano, ed una negativa mediante la soppressione di razze ritenute inferiori, l’attuale eugenetica mira soprattutto a non far nascere i disabili. Essa si riserva l’ultima parola su come deve essere l’uomo per vedersi concesso il diritto di nascere, sebbene il diritto alla vita del portatore di malattie genetiche sia pari a quello del sano.
  L’eugenetica
high tech, specializzata, utilitaristica, suggerisce che per i disabili valga il detto: «Meglio morti che vivi». Per la mentalità eugenetica la strada è attaccare la malattia sopprimendo il malato, non farle guerra rispettando il paziente.
  L’eugenetica sta diventando un tema esplosivo, che interroga la giustizia e le politiche sanitarie di concreto aiuto ai malati, compresi quelli genetici, e che chiede coraggiose decisioni sociali ed economiche. Nel progetto eugenetico il
bios nascente viene completamente privatizzato e assoggettato al responso del dominio tecnico, che induce l’aspettativa del figlio perfetto.
  Dobbiamo concedere alla tecnica l’ultima parola su chi è considerato degno di vivere e chi no? Ciò significa che adottiamo come criterio di ammissibilità alla vita umana un criterio di efficienza e salute secondo la misura che la tecnica impone. La procreazione diventa produzione, il figlio un prodotto medico, il corpo della donna un mero luogo di transito, perfettamente trasparente alle tecnologie e che presto sarà reso superfluo dall’artificiale. Sorretta dalle biotecnologie, spesso l’eugenetica è una tecnica 'micro', nascosta, invisibile, di cui si vede solo il prodotto e non la manipolazione. La questione biopolitica ci immerge nell’ideologia, se ideologia è il
tentativo di cambiare i nomi allo scopo di cambiare la percezione della realtà. Il linguaggio viene violentato per far intendere qualcosa di altro e diverso. La prima azione necessaria è ristabilire il senso reale delle parole, come ricordava Confucio millenni fa. Per l’ideologia l’aborto non è la soppressione di un essere umano innocente, ma «la soppressione di qualcosa di vitale, ma non di un individuo». Un altro esempio di ideologia è l’obiezione che dice: se tu non vuoi, perché io non posso? Ossia: perché tu cattolico vuoi imporre ad altri il tuo punto di vista confessionale? Tanti personaggi del circo mediatico ripropongono come un dettato ipnotico una domanda che è un vero sofisma: «Perché un cattolico vuole obbligare chi non la pensa come lui ad attenersi ai suoi criteri? Dimostra solo la pochezza della sua fede se ricorre al dispositivo legislativo». In realtà la vita sociale esige fondamenti comuni, almeno il rispetto dell’altro, tolto il quale non vi è più società ma sua apparenza. Torniamo all’embrione, argomento laico come nessun altro. Se ho maturato l’idea che è un essere umano a pieno titolo, mi batterò con tutti i mezzi leciti perché non sia soppresso. Non impongo nulla, ma opero affinché il criterio del 'non danneggiare l’altro' valga e assicuri alla vita civile di essere tale.
 «È in atto una deriva: aborto, diagnosi preimpianto in cui uno è scelto e l’altro scartato... E il valore della vita umana dipende non da ciò che si è, ma da ciò che si può fare»