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Uomo e natura. Rifiutare una logica utilitaristica per recuperare un rapporto ancestrale

di autori vari (atti convegno) - 26/03/2008

Fonte: associazione culturale edera

Sommario

SOMMARIO....................................................................................................................................2

PREFAZIONE.................................................................................................................................3

ATTI DEL CONVEGNO..................................................................................................................7

INTRODUZIONE................................................................................................................................9

"LA BELLA DERBE FAMIGLIA E DANIMALI: STORIA DI UN LEGAME SPEZZATO" DOTT.SSA ALESSANDRA COLLA......................................................................................................................11

Domande all’intervento:............................................................................................................17

INTRODUZIONE AL SECONDO INTERVENTO......................................................................................23

"LA NATURA COME PARADIGMA CRITICO DELLA CIVILIZZAZIONE OCCIDENTALE" DOTT. EDUARDO ZARELLI........................................................................................................................25

Domande all’intervento:............................................................................................................50

CONCLUSIONI..............................................................................................................................65

 

Prefazione

LA NATURA E’ MORTA

"Chi distrugge il volto della terra, uccide il cuore della terra e priva della loro 'sede' le potenze che ora si sono dileguate nell'etere"

Ludwig Klages

Avremmo potuto scegliere molti nomi per "titolare" queste righe, e forse solamente sostituire ad una parola ormai "vaga" e poco moderna come natura il tanto sbandierato e inflazionato termine di "ambiente".

Questa non è una scelta lasciata al caso.

Perché nella realtà queste due parole esprimono concetti che, sebbene generalmente utilizzate come sinonimi, hanno in sé profonde differenze: la sensazione (più di una sensazione una certezza) è che oggi la natura sia stata spazzata via dalla mera logica del denaro, cui si può permettere di sradicare foreste e torturare animali, o, nella migliore delle ipotesi, da un "ambiente" che serve solo per produrre ossigeno – che malcapitatamente, ancora oggi, nell’auspicata era dello sviluppo e della tecnica, ci è indispensabile per respirare - , e carne sufficientemente sana per non contagiare mezzo mondo con la BSE o similari, pronta da servire per la prossima cena.

La natura è morta, uccisa da pesticidi, additivi sintetici, fumi tossici, inquinamento. Ma non solo: perché questa è unicamente l’estrema conseguenza, non per sua evoluzione ma per disponibilità di mezzi con cui realizzarlo, di un processo che ha radici lontane e la cui causa è il divario inarrestabile che recide il fondamentale senso di appartenenza che l’uomo ha con la natura.

La natura è morta perché l’uomo l’ha dimenticata. La natura è morta perché è venuto meno quel rispetto per essa che oggi permette all’uomo di sentirsi in diritto di "soggiogarla" e "dominarla", come un oggetto pronto all’uso che, una volta distrutto, sarà buttato e sostituito.

Allora la domanda sorge spontanea: come si crea il divario sopra evidenziato?

Sicuramente due righe, messe ad esempio, possono ben chiarire questo punto:

Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina.

Dio li benedisse; e Dio disse loro: <<Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che si muove sulla terra>>1

È l’Antico Testamento, primo libro della Genesi, una manciata di righe che ha fatto da vademecum per la coscienza, ecologica e non solo, dei successivi due millenni.

È la religione giudaico-cristiana che per prima crea l’abisso fra uomo e natura. Essa pone l’uomo al di sopra di tutto il "creato", e lo legittima quindi a servirsene a piene mani secondo utilità. Solo in quest’ottica, infatti, e non come repentine "folgorazioni scientifiche", si possono leggere testi come quelli di Lamettrie e Boyle, o dello stesso Descartes.

E, giungendo a tempi ben più vicini a noi, a riprova di quanto affermato, ecco come ha parlato di natura il noto autore Romano Guardini, prete cattolico: "L’immagine dell’uomo europeo è profondamente cristiana. Essa si è formata attraverso la salvazione operata dal Cristo. Egli ha liberato l’uomo dalla necessità della natura e gli ha dato una indipendenza dalla natura e da se stesso che da solo, attraverso uno sviluppo naturale, mai avrebbe potuto raggiungere, perché la natura si richiama a quella legge in base alla quale lo stesso Dio è presente nel mondo".

L’immanenza del divino appunto. Il grande "postulato" delle religioni precristiane, pagane europee, per le quali ogni essere è permeato dal divino e come tale è ripettato e sacralizzato. L’uomo fa parte di questo cosmo e ne celebra il costante ciclo di morte e rinascita.

Questa sintonia creava quel profondo legame che univa l’uomo e tutto l’esistente.

Quella stessa sintonia e rispetto che condannava colui che sradicava un albero senza preciso scopo, che uccideva un animale senza motivo o deturpava quel mondo di cui egli stesso era una piccola parte integrante.

Siamo all’estremo opposto della realtà in cui ci troviamo oggi, catapultati in un radicale rovesciamento in (a ben pensarci pochi rispetto a quelli che li hanno preceduti) soli due millenni.

Da anni si pone il problema di come riparare ai danni di una, sembra inarrestabile, rivoluzione. Oggi che giornali e televisioni denunciano il costante innalzarsi delle temperature e dei livelli degli oceani, oggi che l’effetto serra sembra una gabbia senza uscita, i Paesi che governano il mondo sembrano, e sottolineo sembrano, essersi svegliati, e avere tolto dalla polvere una misconosciuta fino ad ora coscienza ecologica.

1 Genesi 1; 27-28

Allora spuntano puntigliosissimi rapporti sul clima provenienti delle più varie nazioni, tutti culminanti nel famosissimo "Protocollo di Kyoto", in cui si stabiliscono parametri per l’abbassamento delle emissioni da parte di tutti gli stati al fine di far rientrare l’allarme inquinamento. Uniche eccezioni: i due paesi con le più alte emissioni del mondo, Cina e India. Da aggiungere chiaramente il sommesso diniego dei Signori del Consumo, gli Stati Uniti naturalmente.

Su una cosa non c’è dubbio: strategia decisamente singolare per salvaguardare le sorti del mondo… ma sicuramente stratagemma molto astuto per alimentare una logica ben conosciuta: l’omologazione dei mercati internazionali, la produzione di materiali su scala globale, l’esportazione delle produzione in paesi ad infimo costo di manodopera, l’uso di materiali di ultima scelta, anche velenosi purché concorrenziali, eccetera eccetera, in una sola parola il mondialismo.

Se un tentativo di coscienza ecologica non è quindi da ricercare, né da sperare di trovare, in ambiti internazionali e tra le sedie dei potenti la conclusione è che una vera coscienza ecologica può essere solo ricercata ricucendo e riscoprendo quel legame naturale che l’uomo ha con la natura.

E riacquisire quel legame passa necessariamente attraverso il ritrovamento del sacro vincolo con la propria terra: quella terra che genera e cresce la sua comunità, quella terra che unisce le generazioni passate con le future in un infinito ciclo, quella terra che cresce l’uomo ancora capace di ammirare il sole che sorge e la luna crescente.

Elisa Nobile

Associazione Culturale Edera

 

Atti del Convegno

 

Introduzione

Buongiorno a tutti, benvenuti, cominciamo questa giornata con il primo intervento preceduto una breve introduzione da parte mia. Vi ruberò solo dieci minuti. Io sono Francesco Bevilacqua, vicepresidente dell’Associazione Culturale Edera; molti di voi già ci conoscono, sono già intervenuti a eventi che abbiamo organizzato, quindi bene o male conoscono quello che è il nostro approccio. Per chi non ci conoscesse vorrei delineare brevemente come ci muoviamo e come strutturiamo la nostra attività. Ovviamente ci muoviamo su Bologna, trattiamo temi cittadini e non e quello che ci contraddistingue è un approccio che noi definiamo duplice; duplice perchè si propone da una parte di evidenziare quelli che sono i disvalori proposti dalla società moderna che hanno contraddistinto e tracciano il pensiero dominante, il pensiero sistemico, se vogliamo chiamarlo così. La seconda direttrice ci porta inevitabilmente a proporre delle alternative che noi costruiamo, individuiamo in base ad una serie di valori che la nostra tradizione, la nostra cultura italiana ed europea ci tramanda. In virtù di questo abbiamo deciso anche oggi di affrontare questo tema. Il tema del rapporto dell’uomo con la natura. Prima di introdurre brevemente come intendiamo affrontare questo argomento, vorrei fare una piccola distinzione di natura semantica, se vogliamo, per aiutarvi anche a comprendere qual’è stato il nostro approccio e quale è stato lo spirito che ci ha animato nell’impostare la discussione. Abbiamo ritenuto opportuno utilizzare il termine natura, un po’ in contro corrente con il pensiero attuale che preferisce utilizzare il termine di ambiente, ambientalismo, difesa dell’ambiente. Noi abbiamo volutamente eliminato questo termine - chi ha letto le introduzioni, gli inviti al convegno, non lo hai mai trovato - perchè riteniamo che esso sia legato ad una concezione differente da quella che proponiamo, una concezione utilitaristica tipica della società attuale, che vede appunto la natura come un mero mezzo, uno strumento al servizio dell’uomo per perpetrare la sua causa, che poi molto spesso vedremo è assolutamente innaturale - quindi già si pone un problema per quanto riguarda questo approccio - in favore invece del termine natura, che invece richiama un rapporto simbiotico, un legame, una parità di piani concettuali tra l’uomo e la natura. L’uomo viene inserito in un contesto più ampio, ne fa parte, interagisce, prende e da per quello che gli è concesso e che gli necessita sempre però secondo un logica che prevede un disegno – chiamiamolo così - superiore. Ovviamente è totalmente antitetica questa concezione a quella attuale. Il primo intervento si strutturerà proprio sull’analisi, anche storica, ma soprattutto concettuale di come si è creta questa divisione e di come sia stato rescisso questo legame simbiotico fra l’uomo e la natura. Partiremo dall’origine della concezione di due diversi piani, un piano superiore dentro il quale è collocato l’uomo, un piano inferiore, utilitaristico sul quale è collocata la natura e vedremo come anche con l’evoluzione storica e con l’acquisizione da parte dell’uomo della tecnologia, questa concezione si sia insediata nella pratica quotidiana.

Non è solamente un problema concettuale ovviamente e soprattutto non riguarda solamente il mero "rapporto" con la natura. Noi riteniamo che ogni persona tragga molto dal suolo che calpesta: ogni comunità si è forgiata e recupera le sue tradizioni, la sua spiritualità, il suo senso stesso di comunità proprio dalla terra che "occupa". E’ evidente in uno scenario come quello attuale - caratterizzato da una progressiva deteritorializzazione e globalizzazione, dallo sradicamento delle identità locali, come tematica all’ordine del giorno - la rescissione del legame uomo - suolo si stia ripercuotendo su tutti gli aspetti della vita quotidiana e della vita dell’intera comunità, quindi inevitabilmente con il proprio passato, la propria cultura e la propria tradizione.

Non rubo altro tempo e passo a presentare la dottoressa Alessandra Colla, direttore responsabile del mensile Orion, che introdurrà la tematica parlando di come si sia concretizzata questa frattura e di come sia stato rescisso questo legame fra uomo e natura.

Francesco Bevilacqua

Associazione Culturale Edera

 

"La bella d’erbe famiglia e d’animali: storia di un legame spezzato" Dott.ssa Alessandra Colla

Il titolo del mio intervento forse susciterà qualche reminiscenza scolastica sgradevole perché sono partita da un verso dei Sepolcri di Ugo Foscolo - il verso in cui Foscolo parla della "bella d’erbe famiglia e d’animali" - un verso a me molto caro, citato spesso in casa mia fin da quando ero bambina, e che mi è sempre piaciuto perché trasmetteva l’idea della famiglia d’erbe e d’animali, cioè una concezione della natura come qualcosa di avvolgente, molto familiare, in cui siamo immersi. Vorrei iniziare soffermandomi un attimo sul concetto di natura che, come è stato ben detto prima, è altra cosa rispetto all’ambiente. Sempre etimologicamente - mi perdonerete questa "mini lezioncina" - natura, dal punto di vista proprio grammaticale, è il neutro plurale del participio futuro del verbo latino nascor che vuol dire nascere. Natura è l’insieme delle cose che nasceranno, l’insieme delle cose che verranno ad essere, che affioreranno. E questo ci rimanda immediatamente a un’antichissima coincidenza, che adesso abbiamo purtroppo perso, tra la natura e la figura materna, la figura della donna. Nelle culture precristiane è molto forte la figura della dea-madre, che è stata poi ripresa da molti ambienti e che poi ha ispirato anche l’ipotesi di Gaia di James Lovelock di cui parleremo magari più avanti. La natura in questa prospettiva è vista come madre, come generatrice di ciò che verrà ad essere. La natura dà nutrimento, la natura avvolge e sostenta le sue creature. Un’immagine anche questa molto bella, che in tutte le culture precristiane, e non cristiane antiche e contemporanee, è sempre stata molto presente a significare che l’uomo non è altro dalla natura; l’uomo è immerso nella natura pur strutturandosi come un essere culturale. Essere culturale significa che l’uomo è un essere animale che vive nella natura ma che incide su di essa, che modifica la natura per potervisi adattare o per adattarla ai suoi bisogni. Però, se ci facciamo caso, qualunque organismo pluricellulare modifica l’ambiente in cui si trova: il ragno tesse la ragnatela e coinvolge quindi gli steli d’erba e i rami; il castoro costruisce la diga e influisce sui corsi d’acqua; gli uccelli costruiscono un nido; quindi, in ogni caso, qualunque essere vivente si muove nel suo ambiente - in questo caso possiamo usare il termine ambiente – modificandolo.

Ma come lo modifica? Lo modifica in maniera leggera, lo modifica in maniera limitata, cioè limitandosi a quelli che sono i suoi bisogni immediati. Deve mangiare, quindi costruisce qualche cosa o si muove nell’ambiente in modo tale da procurarsi il cibo. Non conosce per esempio il lusso o lo status symbol che sono elementi tipici della cultura umana. Quindi l’uomo è un animale culturale immerso nella natura.

Tuttavia ad un certo punto l’uomo dalla natura è uscito, oggettivando la natura stessa e considerandola un oggetto.

Torniamo un attimo a Foscolo e questi famosi Sepolcri, scritti appunto duecento anni fa, nel 1807. Il Foscolo è considerato un poeta epigono del romanticismo già con un piede nella modernità. Meno di venti anni dopo arriva Leopardi. Leopardi - anche qui reminiscenza scolastica, mi perdonerete tutti - è quello che parla di "natura matrigna" che illude i suoi figli, schiudendo orizzonti meravigliosi, sì di grande felicità e benessere, però bastonandoli con le malattie, il dolore, la morte, la miseria, ecc. In vent’anni l’uomo passa dall’essere immerso nella "bella d’erbe, famiglia e d’animali" ad un uomo che invece vede la natura non già come madre ma come matrigna.

Non è mia intenzione fare carico al povero Leopardi di avere formulato questa idea, però è significativo che questi venga considerato il primo poeta moderno, che pur richiamandosi all’antichità greca, al "rapporto" col dolore, alla necessità, diventa quasi il simbolo dell’ingresso dell’uomo nello scenario moderno.

Arriviamo così al centro della discussione: come è stato possibile giungere a questa cesura netta? Come è stato possibile passare da una concezione della natura come un grembo avvolgente da cui l’uomo è stato tratto, ad una concezione della natura addirittura antagonista e matrigna?

Possiamo identificare con una certa precisione il momento in cui prende il via questo processo di distacco dell’uomo dalla natura, questo rifiutare la natura da parte dell’uomo. Questo momento è storicamente identificabile con l’irrompere sulla scena dell’umanità del giudeo-cristianesimo, cioè del cristianesimo a cui si somma l’intuizione dell’Antico Testamento, la costruzione di pensiero che da duemila anni condiziona, nel bene e nel male, il nostro essere. E’ un discorso duro a volte da digerire o da accettare perché si tende sempre ad attribuire al cattolicesimo una valenza assolutamente positiva, però se noi andiamo ad analizzare il cattolicesimo, più ancora che il cristianesimo, vediamo che nei monoteismi comunque è presente una percezione della centralità dell’uomo nel cosmo che sembra escludere la considerazione di tutti gli altri esseri viventi.

Per esempio vi leggo due passi che sono tratti… poi vi dirò da dove, ma vi prego di notare la consonanza di queste visioni.

Il primo passo: "Noi andiamo ricercando" - in riferimento alla terra, al pianeta terra - "ogni sua minima vena, e viviamo sopra la terra cavata, la quale talora non senza nostra meraviglia, veggiamo aprirsi o tremare. Sicché pure si può credere che sia questa un’espressione di sdegno di questa sacra madre". L’autore di questo passo pensa che i terremoti, la terra che trema, siano la risposta di sdegno della madre terra all’uomo che la scava, l’uomo che costruisce le miniere, che va nella viscere della terra per violarla e strapparle le sue ricchezze.

Adesso vi leggo un’altra frase: anche qui vi prego di notare la consonanza con quella che ho letto prima: " Mi chiedete di scavare alla ricerca di pietre. Devo scavare sotto la sua pelle per trarne fuori le sue ossa? (sempre in riferimento alla madre terra)." Qui l’autore si rifiuta di scavare, di costruire miniere. Quest’ultima frase è del capo indiano Smohalla e stiamo parlando dell’inizio del XIX secolo. La citazione precedente, quella relativa ai terremoti come moto di sdegno della madre terra, è una citazione di Plinio il Vecchio, I sec. d.C.. Visioni l’una (quella di Plinio) precristiana, la seconda (quella del capo Smohalla) del XIX secolo, e comunque non cristiana.

Non c’è differenza tra queste due concezioni: entrambe attribuiscono alla natura un valore sacrale e si esprimono con rispetto nei confronti di questa entità: rispetto che oggi come oggi è perso. Ma c’è dell’altro: queste visioni che io adesso ho cercato di tratteggiare brevemente non sono appannaggio esclusivo di un pensiero non-cristiano, non cattolico. Ho portato qui altre citazioni di un intellettuale cattolico, uno dei più raffinati, considerato per anni la punta di diamante del pensiero cattolico tomista italiano e che è stato mio docente universitario: il prof. Luigi Lombardi Vallauri. Partendo dalla sua formazione cattolica questo professore, nel corso degli anni, ha sviluppato una critica serratissima del pensiero cristiano sulle basi del diritto (era il mio docente di filosofia del diritto); questo gli è costato l’espulsione dall’Università Cattolica, la messa al bando dalle istituzioni cattoliche. Aveva scritto, tra le altre cose, in merito a quella che lui definisce la violenza istituzionale cristiana. Lui dice testualmente: "Per quanto riguarda il diritto alla vita, la prassi e la teoria della cristianità hanno legittimato tutti i tipi di inquisizione e di persecuzione. Il magistero della chiesa ben poco ha fatto per attenuare lo splendore dei supplizi, criticare la tortura giudiziaria. Lungo i secoli e quasi fino ad oggi, è rimasta indifferente ai massacri e alle sevizie degli esseri senzienti non umani." E riporta in nota un passo che io non conoscevo e che mi ha francamente agghiacciato. Scrive: "La cristianità è massicciamente vivisettrice e carnivora. Una sola citazione magisteriale tratta da un testo di Pio XII, pontefice recente. Il papa esortava le maestranze dei mattatoi a "non lasciarsi impressionare dai gemiti delle bestie più che dai colpi di maglio sui metalli roventi".

Unitamente a quello che ho potuto leggere e studiare su padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica, che era un fiero sostenitore della sperimentazione animale (chiamata volgarmente vivisezione) e che introdusse la pratica della devocalizzazione, cioè della recisione delle corde vocali per non essere disturbati dalle urla degli animali, voi capite che è difficile considerare l’atteggiamento della chiesa, del cattolicesimo, nei confronti della natura senza provare un minimo di fastidio.

Cum grano salis prendiamo le pinze e cerchiamo di capire che cosa è potuto succedere.

Prendendo per buona questa considerazione della chiesa, del cattolicesimo e del giudeo-cristianesimo nei confronti della natura, vediamo che in questi duemila anni l’idea di natura che ci viene trasmessa dall’antico testamento è quella di un qualche cosa che va distaccato dall’uomo, che va oggettivizzato, cioè reso strumento, reso mezzo per l’uomo e non più fine; ci rendiamo conto di come pian piano questo processo abbia penetrato capillarmente tutta la nostra concezione dell’essere, la nostra civiltà. Mi riferisco alla civiltà europea prima e occidentale poi (perché prima c’è l’Europa e poi c’è l’Occidente, che è una costruzione ideologica che si sovrappone all’"idea" di Europa). Ora, togliersi dalla natura significa appunto fare un taglio netto con tutto ciò che essa comporta: significa quindi non considerare più le cose in natura come facenti parte del nostro panorama estetico (nel senso più ampio di questa parola, quindi non solo di percezione visiva orientata al bello ma proprio di percezione di sensibilità in generale), significa considerare la natura come un supermercato da cui attingere quello che ci serve. E la natura pian piano perde senso, perde significato e diventa un insieme di cose. Per esempio c’è un libro famoso, scritto molti anni fa dallo scrittore inglese Cronin (l'autore della Cittadella) che si intitola "Le Chiavi del regno": proprio quest’ultimo romanzo si chiude con il parroco del villaggio che porta un bambinetto a pescare con sé. Il bambino gli fa qualche domanda e la risposta, che non ricordo testualmente ma che suonava in questo modo, era: "Dio ha creato i pesci perché noi li potessimo pescare". Capite il sigillo di un certo tipo di mentalità? In ambito non cristiano non verrebbe in mente a nessuno di concepire un dio siffatto, che crea un essere vivente solo per il comodo dell'uomo. Il problema è che finché l’uomo pesca il pesce per sostentarsi non succede nulla; l’uomo è un predatore onnivoro e quindi ha bisogno di predare per mangiare. E fin qui il discorso potrebbe essere accettabile. Ma in realtà l’uomo finisce per predare anche per il lusso, per il lucro. Perché da quando economia e profitto hanno il primato sulle altre sfumature e percezioni dell’essere umano è chiaro che il discorso non può che peggiorare. Il cattolicesimo e il giudeo-cristianesimo, cioè i grandi monoteismi (quindi anche l’Islam) recano in sé una concezione lineare delle storia: si vede la storia come un percorso caratterizzato da un punto d’inizio e un punto finale. Ma il punto di arrivo sarà la fine, nel senso che ci sarà una fine dei tempi. E dopo che cosa ci sarà? E per arrivare a questa fine dei tempi, come si procede lungo questo percorso? Cosa ci lasciamo dietro? Stiamo andando verso un punto di non ritorno pratico, effettivo?

Sapete benissimo che di recente le conferenze sul clima hanno detto a chiare lettere che se non si limitano le emissioni di CFC nell’atmosfera entro il 2012 o al massimo al 2020 o 2025 la situazione sarà irrecuperabile: irrecuperabile significa che ci vorranno probabilmente milioni di anni per recuperare un’aria vivibile e non più malsana.

Vediamo un diverso approccio nella cultura dei pellerossa. Presso i nativi americani, in particolare presso gli indiani delle praterie, i gruppi umani si spostavano e piantavano gli accampamenti; ora, l’erba delle praterie è nota per essere piuttosto alta, spessa, dura. Non potevano quindi piantarci sopra le tende. Cosa facevano? C’era una cerimonia sacra: con un rito sacrale tutti i guerrieri della tribù danzavano tutta la notte con dei movimenti e dei passi precisi. Lo scopo era quello di appiattire, di schiacciare quest’erba senza tagliarla perché poi avrebbe ripreso il suo assetto naturale una volta che l’accampamento fosse stato smobilitato. Noi no: noi andiamo lì e falciamo direttamente, diamo fuoco alle praterie per spianare e poi ci vuole tempo per fare ricrescere ciò che distruggiamo, ammesso che possa ricrescere. Gli indiani d’America non lo facevano: era uno sfinimento - immaginatevi qualche centinaio di persone che danzano tutta la notte, immaginate la fatica - però alla fine di questa notte, alla fine di questo rito sacro officiato dagli sciamani, gli stregoni della tribù, c’era una bella estensione spianata. Ovvio: se servivano loro seicento metri quadri si limitavano a spianare seicento metri quadri, rispettando l’ecosistema che stava loro intorno. Oggi l’essere umano non lo fa. L’uomo dimostra - e ha dimostrato nel corso degli ultimi secoli - un calo verticale delle doti di consapevolezza e responsabilità. Perché prima si è consapevoli di qualche cosa e poi si valuta il proprio agire sulla base di quello che si sa e di quello che si conosce.

Ho parlato di consapevolezza. Ora, io ho un "nemico" in casa nel senso che mia madre purtroppo acquista pellicce: il discorso che le faccio sempre è "tu non sei consapevole di quello che fai, perché se vedessi, come l’ho visto io, filmati di come vivono e muoiono gli animali da pelliccia, credo che ti passerebbe la voglia" e lo stesso vale per i macelli e per i mattatoi, per il trasporto di animali, per gli allevamenti intensivi, per la sperimentazione animale; lo stesso vale anche per tutto quello che viene perpetrato abitualmente nei confronti di quello che noi chiamiamo ambiente. Perché ambiente, come parola intendo, non ha la stessa forza evocativa, lo stesso impatto emotivo di natura: perché se noi pensiamo alla natura, alle cose che nascono, abbiamo un’idea di vita, di flusso che continua, di generazioni che si susseguono, un’idea viva di questa grande pancia della mamma da cui tutti usciamo e da cui tutto esce. Ambiente è una parolina molto fredda e asettica. L’ambiente viene arredato, ripulito, ossigenato, imbiancato, riscaldato. La natura no. La natura non è una cosa. L’ambiente è costruito, è fatto da noi, non è creato ( e con questo non voglio richiamarmi al creazionismo, ma voglio dire che è un qualche cosa che esiste prima di noi e su cui non c’è l’intervento dell’uomo). Ridurre la natura ad ambiente significa considerarla come uno spazio in cui si abita e ci si muove di passaggio.

Ed è proprio questa concezione di provvisorietà che denuncia l'assenza di consapevolezza: si vuole vedere il risultato immediato e non ci si pone il problema di che cosa potrà succedere tra venti o trent’anni. Al contrario se si riuscisse a recuperare un senso di progettualità, questo significherebbe già che siamo ritornati ad essere responsabili. Ed essere responsabili significa sviluppare quell’atteggiamento e abitudine mentale a farsi carico delle proprie scelte. Si può fare tutto, basta sapere che la risposta ad ogni azione può essere non solo, come in fisica, una reazione uguale e contraria, ma può anche innescare una serie di eventi concatenati che noi non possiamo prevedere. Ma siccome noi viviamo in un mondo che, pur snaturato, è comunque costituito da una serie infinita di elementi ad incastro che presenta una complessità impossibile da comprendere, non possiamo pensare che comportandoci in un certo modo adesso non avremo poi chissà quali risultati tra dieci, venti o trenta anni.

Quando prima ponevo la domanda se andiamo veramente verso la fine dei tempi e la fine della storia non ponevo tanto una domanda retorica: infatti mi piacerebbe sapere se limitando un certo tipo di inquinamento veramente riusciremmo a recuperare la situazione. Può darsi benissimo che si arrivi ad un punto in cui davvero l’essere umano dovrà fare i conti solo con il suo immediato presente, perché non vi sarà più un futuro, non ci sarà più uno spazio fisico o temporale in cui proiettarsi. Ora è chiaro che da duemila anni siamo in questa corrente, è chiaro che i problemi non sono cominciati come a volte si pensa con la rivoluzione industriale. La rivoluzione industriale è ieri. Anche se diciamo due secoli, è ieri. Oggi stiamo arrivando a un punto di non ritorno: l’appello che è stato lanciato all’ultima conferenza sul clima è chiaro e netto. Perché intanto qualcuno ci pensa, perché noi viviamo nell’epoca della delega e della rappresentanza. Oggi vi è assoluta mancanza di consapevolezza e quindi di responsabilità cui segue una mancanza di senso del limite. Limite che una volta era dato dal riconoscimento di una dimensione dell’essere superiore, una dimensione che travalicava il quotidiano. E’ celebre Dostojevski, che dice che "se Dio è morto, tutto è permesso". Per fare un altro esempio, presso i Greci la mancanza di limite era vista come una grave colpa, forse come l’unica colpa degna di questo nome; la hybris, la tracotanza, cioè lo sfidare gli dei. Ora rendersi conto dei limiti e dire "va bene, facciamo un compromesso, solo fino ad un certo punto posso arrivare", potrebbe essere una cosa buona. Il fatto di dire "non me ne frega niente di superare questo limite, tanto non sono io a pagare il conto adesso, lo pagherà qualchedun altro fra venti o trenta anni, tanto i fatti miei me li sono già fatti" è terribile, perché a fare questo discorso sono i grandi gruppi economici e le classi dirigenti. Quando si dice che anche la politica è morta e che ormai il primato è dell’economia si intende proprio questo: che non c’è più la concezione platonica del politico che si preoccupava del bene dei cittadini.

E’ logico, infatti, che quando si vanno a toccare gli interessi economici, che ormai sono gli unici che reggono il pianeta, diventa difficile essere ascoltati. Non ho ovviamente soluzioni da dare. Penso comunque che un’analisi sul come si è arrivati ad un certo tipo di mentalità potrebbe forse indurre le persone a rivedere certi comportamenti nel proprio piccolo, sempre per sviluppare quella famosa consapevolezza. Non so se può servire a qualcosa, forse potrebbe alleggerire almeno in parte l’impronta "ecologica" che noi lasciamo sul pianeta. Sono cose che vanno fatte in tempi ormai ristretti.

Un ultimo inciso a nostro sfavore: noi viviamo in Italia, abbiamo il Vaticano, la religione cattolica è stata religione di Stato fino a poco tempo fa, quindi si cresce con un certo spirito, si cresce in una certa temperie culturale e sociale che come abbiamo visto ha contribuito a creare tutto questo. E’ doloroso prenderne atto ma è una cosa che va fatta. E se non si comincia a farla da privati, credo che sia difficile aspettarsi che lo possano fare le istituzioni, questo è purtroppo la conclusione.

Ho finito: mi scuso per avervi tediato con qualche volo pindarico ma sapete che l’argomento mi prende quindi ogni tanto capita. Grazie.

Alessandra Colla

Domande all’intervento:

Francesco Bevilacqua : Ringraziamo la Dottoressa Colla per l’intervento molto chiaro. Penso che abbia delineato in maniera esemplare la posizione concettuale per lo meno da cui partiamo. In particolare ho apprezzato molto il riferimento ai nativi americani, tema che noi comunque abbiamo già trattato come Associazione Culturale, perché penso che sia assolutamente esemplificativo per quanto riguarda il rapporto fra due visioni del mondo decisamente contrapposte: quella appunto ancestrale, spirituale, ovviamente appartenente ai nativi e quella basata sulla concezione utilitaristica dell’attuale società americana. Io mi chiedo a questo punto, forse un po’ ingenuamente, se è veramente possibile un cambio di direzione nel momento in cui siamo, nelle mani di queste istituzioni o enti.

Mi chiedo quindi se è veramente possibile credere in un’inversione di rotta e ad un miglioramento delle condizioni - dal punto di vista di questo legame, di questo rapporto tra uomo e natura - anche attraverso una revisione di quello che è lo stile di vita occidentale, quindi uno stile di vita basato sul consumismo e sul materialismo. Quindi ripensare il nostro stile di vita in un’ottica più ampia di quella strettamente legata alla questione ambientale potrebbe essere funzionale e utile per cambiare l’approccio alla natura in cui ci troviamo e che stiamo velocemente dilapidando.

Alessandra Colla:

Adesso dico delle banalità vergognose, però quando si dice che siamo in una società che ha una crisi di valori, è anche quello, nel senso che c’è uno svuotamento di senso generalizzato e non si pensa mai abbastanza che noi viviamo in quella che è stata definita la società 20-80, cioè la società in cui un 20% della popolazione mondiale vive con l’80% delle risorse del pianeta e c’è invece l’80% della popolazione mondiale, che sono tantissimi, che deve arrangiarsi rosicando il 20% delle briciole di quegli altri.

Io penso che in fondo basterebbe limitare, per cominciare, certi consumi. Faccio un esempio molto terra-terra: il consumo di carne del primo e del secondo mondo è spropositato rispetto ai nostri bisogni: non c’è bisogno di mangiare carne tutti i giorni e non c’è bisogno che tutti mangino carne tutti i giorni, indipendentemente dal fatto che piaccia, faccia bene o male, non mi interessa. Basterebbe che tutti limitassero il consumo di carne, per esempio, ad una volta alla settimana e già il problema degli allevamenti intensivi e dello sfruttamento delle foreste dell’Amazzonia verrebbe drasticamente abbattuto. Provate a pensare se diecimila consumatori di carne in Italia invece di mangiare carne tutti i giorni una volta al giorno - ma c’è chi ne mangia gioiosamente due volte al giorno - mangiassero tutti una volta alla settimana la carne. Fate un po’ un conto e vedete di quanto si abbattono questi consumi. Non sono diecimila per sette, cioè settantamila razioni di carne alla settimana ma sono diecimila razioni di carne alla settimana: guardate in che proporzioni cala. Fate questo discorso a tappeto, fatelo per il pesce, per gli indumenti di pelle.

Il problema è che anche questo discorso dei consumi è difficile da far passare. Già è difficile far passare il discorso della raccolta differenziata dei rifiuti. Tra l’altro butto lì la provocazione. In Europa la raccolta differenziata non è una trovata dei Verdi italiani degli anni ottanta, il primo a promuovere la raccolta dei rifiuti fu il sistema nazionalsocialista negli anni trenta: c’erano i ragazzini delle organizzazioni giovanili, quelli con la divisa, che andavano in giro casa per casa e facevano loro la raccolta differenziata dei rifiuti, separando il vetro, la carta eccetera; e lo facevano tutti i giorni, non una volta alla settimana o due come dobbiamo farlo noi.

Quindi un certo tipo di sensibilità nei confronti di quello che ci circonda - vogliamo chiamarlo natura, vogliamo chiamarlo ambiente, chiamatelo come volete voi - è sempre possibile da promuovere, da sensibilizzare. Basterebbe limitare il consumo di alcuni generi alimentari e di abbigliamento per ridimensionare la cosa. Ma chi glielo dice ad un allevatore di pellicce che deve riconvertire il suo allevamento? Chi glielo dice all’allevatore di bovini che deve riconvertire e che non deve più macellare così tanti animali? E lo stesso vale per le uova, per le galline e per tutti gli animali di allevamento. Pensate all’indotto, pensate quando andate a comprare una pelliccia (non andateci!) a tutto quello che c’è dietro. Perché per fare un giaccone di pelliccia - mettiamo di opossum - ci vogliono dalle trentaquattro alle quarantadue pelli, che vuol dire che sono una quarantina di animaletti per ogni singola pelliccia.

Poi ci sono quelle che arrivano dalla Cina che sono fatte coi cani e coi gatti e noi facciamo finta tutti di non saperlo, purtroppo. Girava qualche giorno fa, e adesso faccio del puro terrorismo, un filmato terribile - che ovviamente non ho visto ma chi l’ha visto me l’ha raccontato e mi ha detto che è una cosa allucinante - dove si vedeva come in Cina, per risparmiare sui tempi del pellame con cui si fanno le borse e le scarpe (perché non è che le borse vengono fatte con le pelli di vitello e bovini che vengono uccisi già per altre cose), scuoiano vivi i cani perché così si risparmia sulla lavorazione. Pensate un attimo a questo, cercate di farlo capire alla massaia che va a fare la spesa, provate a dire questo. Vedete un po’ come vi guarda. Provate ad andare in un supermercato o in un negozio e dire ad alta voce che vi rifiutate di comprare i pompelmi che vengono da Israele perché gli israeliani ammazzano i palestinesi, che non comprate questa giacca perché ha le guarnizioni di pelliccia che sicuramente vengono dalla Cina e che saranno di cane e di gatto che vengono scuoiati vivi. Vedete come vi guardano. Andate in profumeria e dite che vi rifiutate di comprare questo prodotto della Shisheido piuttosto che della L’Oreal perché praticano la sperimentazione animale. Se lo facessero cinquanta consumatori al giorno in ogni punto vendita forse qualcosa si muoverebbe. Ma la gente tace perché non vuole sapere queste cose. Perché se la gente dovesse andare a macellarsi da sola l’animale, cambierebbe idea. Il famoso discorso della consapevolezza.

Quindi, venendo alla domanda, io non lo so se è possibile incidere in qualche modo; penso che tutto quello che si può fare è cercare di mantenere vivo il dibattito perché la gente sappia, perché il messaggio passi, cioè perché non vi sia un tipo di approccio alla natura e a quello che ci sta dentro (che poi siamo noi) al di là di tutto, che non venga messo in sott’ordine, non venga tacitato dalla cultura dominate; questa è l’unica cosa che si può fare.

Questi duemila anni di storia della chiesa, tanto per dire, la storia della repressione delle eresie, la storia della caccia alle streghe, è tutta la storia di una repressione di culture alternative a quella dominante. Eresia significa "scelta", è una possibile etimologia dal greco. Scelgo di essere critico, scelgo qualche cosa di diverso da quello che viene imposto. La scelta è frutto di consapevolezza e responsabilità. Se non si batte su questo, se non si insegna ai bambini che quello che conta è essere responsabili di sé stessi e delle proprie azioni e non a fare le cose perché qualche un altro dice che devi farlo o perché è bene così, ma andare a veder bene con i tuoi occhi come stanno le cose; se non si punta su questo è molto difficile riuscire a far passare questo tipo di messaggio. Figuriamoci poi quando stiamo parlando, come si diceva prima, di grandi gruppi di potere che badano esclusivamente al discorso economico, perché qui si smuovono delle cifre enormi (per esempio nell’industria e nel business del cancro). Per esempio le case farmaceutiche prendono in tutti i paesi i soldi dallo stato per sperimentare sugli animali, indipendentemente da quello che sperimentano. Ancora adesso se voi andate a comprare la vernice - una che magari è sul mercato da sessant’anni - fanno i test su quella vernice prima di metterla in commercio. La legge vuole così. In cosa consiste la sperimentazione? Facciamo ingerire a questo animale tot dosi di vernice. Certo che gli fa male! Certo che se gli butti giù una bottiglia di candeggina sta male! Però si continua a fare. E le ditte farmaceutiche, o comunque tutte le ditte che mettono in circolazione prodotti che entrano in contatto con l’uomo (smalti per le unghie, cosmetici, vernici, deodoranti, liquidi per lenti a contatto, prodotti per la cosmesi, detersivi per uso umano, industriale) sperimentano sempre tutto sugli animali. Questo porta un giro di soldi allucinante. Stiamo parlando di cifre che veramente sono difficili da quantificare. Ecco perché è complesso il discorso anche delle immissioni di CFC, perché lo stesso vale per la produzione di elettrodomestici, di frigoriferi: oggi tutti gli elettrodomestici sono tarati per durare un tot di utilizzi o tot anni, poniamo dieci; quindi dopo dieci anni voi prendete l’elettrodomestico e lo buttate. Laddove la cultura di una volta, la cultura così detta contadina, o ancora la cultura ancora prima del boom economico, quindi la cultura ancora nostra degli anni cinquanta e primissimi anni sessanta, era ancora quella delle cose che si buttano solo quando non sono riparabili.

Oggi che viviamo come in un meccanismo completamente diverso il fatto di buttar via le cose che si sono rotte è stato esteso anche alle cose vive: non si curano più gli esseri umani se non c’è dietro un discorso economico e men che meno ci si cura degli animali.

Francesco Bevilacqua: E’ chiaro che questa dismissione continua dei prodotti è tipica del consumismo anche se pensiamo all’esempio che aveva fatto prima del giaccone di pelle che magari non si usura, ma per il quale viene creata una moda o una tendenza di mercato che lo rende comunque obsoleto e quindi bisogna comunque cambiarlo.

Domanda: Volevo fare un brevissimo intervento partendo dal cristianesimo per arrivare all’ambientalismo di matrice moderna. Almeno all’interno della chiesa si è tentato, attraverso San Francesco, di negare una visione decisamente sovversiva della natura propria del cristianesimo. Ma è ovvio che già andando alla radice, un Dio trascendentale, trascendente, crea dei rapporti di gerarchia, ed è sempre il creatore, quindi la natura può al massimo essere l’idea di Dio ma non è Dio contenuto in essa stessa. Quindi essendoci una gerarchia ed essendo l’uomo l’essere a immagine e somiglianza di Dio è ovviamente il deputato di Dio sulla terra e qui c’è un rapporto di sovversione della natura. Tantoché è vero che inizialmente la teologia cristiana vedeva in tutti quelli che erano i luoghi di culti del paganesimo, le montagne per esempio, non il luogo dell’espressione di Dio, ma il luogo della reincarnazione del Diavolo. I monti, per esempio, della Germania del Medioevo, erano i luoghi frequentati dal demonio secondo la teologia, invece nella paganità non abbiamo mai l’idea, e basta prendere due esempi, degli dei che creano il cosmo nella cosmogonia. Platone diceva che il cosmos nasce dall’incontro del pathos con il logos e quindi il cosmos è qualcosa che è prima degli dei e sarà dopo gli dei, e così anche nella mitologia scandinava, che da molti è ritenuta più rozza, dove un grande caos cosmico dà l’origine al mondo e quindi non attraverso la creazione degli dei, che sono essi stessi soggetti al fato e quindi descrive una situazione della natura come anche superiore agli dei stessi. Da questo punto di vista io ritengo che l’ambientalismo non possa essere vincente, nemmeno quello di matrice verde, perché alla fine non sovverte il dato della sacralità dell’immanenza della natura. E’ sicuramente apprezzabile che in mezzo al nulla qualcuno si preoccupi del fatto che ci sono meno alberi, ma fin quando nella comunità non si instilla l’idea che la natura non è il prodotto dell’idea di Dio ma il luogo in cui agiscono le forze cosmiche del divino stesso, e che quindi non c’è un rapporto di gerarchia con l’uomo che è superiore alla natura, l’ambientalismo è destinato a perdere. Il materialismo dialettico di molte di queste forme li porta a trattare l’ambiente sempre come un oggetto, e questo materialismo non riesce a rovesciare e far sentire dentro il rispetto della natura.

L’unico modo che può essere vincente è far tornare l’uomo ad una visione dell’immanenza della natura. Altrimenti qualsiasi forma dell’ecologismo, che non abbia questa Weltanschauung alla base, non può riuscire a cambiare l’incidenza sulla mentalità pubblica. Tanto è vero che, anche se sotto forma diversa, il nazionalsocialismo parte dallo stesso rapporto, dove l’uomo fa parte della natura, perché esso stesso è divino in se stesso, è microcosmo nel macrocosmo e quindi non ci può essere un rapporto di gerarchia dominante, ma è ovvio che il "Dio padrone" e il "Dio degli eserciti" del giudeo-cristianesimo, è in rapporto di forza rispetto alla natura che ha creato. Quindi anche lì c’era un sommovimento popolare perché a livello quasi esoterico, nel senso etimologico del termine, si instilla nel popolo l’idea che l’uomo e la natura sono essi stessi divini, e o sono in simbiosi o sono destinati a scontrarsi. Quindi volevo sapere se ritiene anche lei, da questo punto di vista, per quanto ammirevole, che l’ecologismo è portato ad essere sconfitto comunque, se non altro dal rapporto di forze tra chi possiede i mass-media e ha interesse a utilizzare la natura per produrre e chi cerca ammirevolmente, ma senza una forte Weltanschauung alternativa, di cambiare le cose.

Alessandra Colla: Sicuramente l’ecologia e l’ecologismo sono perdenti. C’è uno studioso norvegese che è pressoché sconosciuto in Italia, che si chiama Arne Naess ed è il fondatore della cosiddetta ecologia profonda, la deep ecology, che pone proprio il termine "ecologia" come un qualche cosa da mettere al bando perché dice che "ecologia" sostanzialmente, etimologicamente, significa studio dell’ambiente e questo suffisso - logia, questo studio, significa già proprio porre una distanza fra il soggetto che studia e quello che sta fuori da lui. Propone invece il termine di ecosofia, cioè un sapere intimo e profondo dell’ambiente, inteso però come un qualche cosa in cui ci compenetriamo. In effetti l’ecologia con questo discorso del mettere fuori da sé e del rendere la natura come un qualche cosa da studiare - quindi da oggettivizzare, come sotto la lente di un microscopio - è un fallimento a priori. Comunque quando si va a impattare sull’interrogativo "perché l’essere umano deve portare rispetto a ciò che non è umano" se manca una percezione di spiritualità o di trascendenza ovviamente il discorso finisce. E il discorso finisce perché è logico che se io non ho un qualche cosa dentro, una molla mia di sensibilità, di spiritualità, che può essere anche semplicemente una sensibilità di tipo culturale che mi porta a vedere l’altro da me come degno comunque di rispetto perché portatore di un valore intrinseco a prescindere, il discorso cade. Per me l’ecologismo ha già fatto il suo tempo, l’ecologia pure; è diventata quella che io chiamo pornografia della natura, nel senso che c’è questa proposizione estetica su carta patinata di tante cose meravigliose della natura, si dice"sì che bello, piantiamo un albero", si indicono le giornate per l’ambiente, ma proprio in quel momento, in cui facciamo la giornata dell’ambiente pulito e abbiamo pulito il parco qui di fronte, nello stesso momento vengono disboscati innumerevoli ettari in Amazzonia e muoiono migliaia di cavie nei laboratori di tutto il mondo. Secondo me l’ecologismo sta fallendo ed è diventato un business già da tempo immemorabile, e non è questo che servirà a portare avanti certe battaglie. Su questo sono assolutamente d’accordo. Si ritorna a quello che si diceva, anche se banale: c’è una perdita di valori e finché non si ritorna a capire che quello in cui viviamo e tutto ciò che ne è al di fuori di noi ha comunque un valore, indipendentemente dal fatto che ci sia un qualcuno che glielo attribuisce, non si va da nessuna parte. Questo è un discorso di un autore che io personalmente non condivido, apprezzabile sotto altri punti di vista, che è Max Stirner, che dice che dal momento che lui può distruggere un albero, vuol dire che l’albero è suo. Cioè se una cosa è di mia proprietà io la distruggo. Questo è un pensiero deleterio. A me non verrebbe neanche in mente di distruggere quella sedia, se anche fosse di mia proprietà. Semplicemente perché trovo che abbia una funzione e un valore e non vedo perché dovrei distruggerla a prescindere, solo per affermare il mio potere. Ripeto però che quando si parla di valori si vanno a toccare dei piani molto delicati perché il valore implica comunque un approccio al trascendente e molte persone non hanno questo approccio, soprattutto nel mondo di oggi, ed è difficile fare distinzione fra le religione - intesa come costruzione gerarchica istituzionale, che può essere un monoteismo o altre forme simili - e il senso di religiosità, cioè la reverenza sacrale che si dovrebbe avere nei confronti di altre forme di vita. Sono discorsi veramente molto difficili, però l’ecologismo così com’è è già fallito e già fatto il suo tempo e infatti non se lo fila più nessuno. Non c’è più questa esplosione di riviste, conferenze, iniziative strettamente ecologiche, dal punto di vista proprio dei Verdi.

Domanda: Il merito dell’ecologia è stato quello di portare un insieme di ideali anche giusti che però sono rimasti al di fuori di quello che è il contesto sociale.

Riferendomi all’intervento di prima, che diceva come il cristianesimo tende a dominare la natura, mi viene in mente come i santuari vengano costruiti in cima ad una montagna perché io li devo dominare; i celti invece non li costruivano: potevano scegliere una quercia in un punto particolare del bosco e lì costruivano il santuario perché la divinità lì si manifestava più che in altri punti.

Alessandra Colla: Non si viene educati alla sensibilità.

Non solo i santuari venivano costruiti in cima alle montagne ma in genere tutte le chiese cristiane - non adesso, ma quelle del passato - sono state costruite su luoghi sacri pagani.

Comunque c’è un famoso passo della Genesi (1,28-29) in cui Jahvè consegna ad Adamo il dominio e la facoltà di disporre a suo piacimento di tutto ciò che è sulla terra: può disporre a piacimento di animali, delle acque, di tutto ciò che si muove e vive su questa terra. Quindi gli consegna il pianeta, non per tutelarlo o per esserne il garante responsabile ma per farne ciò che vuole. Ed è questa la mancanza di sensibilità che noi vediamo. Il bambino di oggi può sentire magari delle cose in casa o a scuola, poi va per strada e si accorge che invece il mondo che lo circonda è completamente un’altra cosa. Manca l’inveramento nella realtà di tutti i giorni di questi principi e di questa sensibilità che invece gli può esser insegnata a scuola, oppure inculcata dai genitori. E’ gravissima questa cosa, me ne rendo conto. Ecco perché dicevo prima che la sensibilità andrebbe coltivata anche attraverso testimonianze, presenze come potrebbe essere anche quella di questi piccoli incontri. Però si può parlare con le scuole, chi ha figli magari potrebbe proporre un determinato percorso educativo, invitare a certi approcci, invece di portare i bambini al museo, magari insegnar loro un approccio diverso per quello che riguarda la natura, portarli al parco e fargli vedere come si muovono le formiche, senza pensare che siano solo da schiacciare per divertirsi.

Le amministrazioni locali, per stare nel piccolo, in genere non badano a queste cose. Per loro l’ecologia o il rispetto dell’ambiente sono i sacchetti dell’immondizia per strada - che è una cosa bellissima, ma non è tutto qua. Purtroppo me ne rendo conto.

Introduzione al secondo intervento

Diamo inizio alla seconda parte del convegno. Io sono Michele Franceschelli, presidente dell’Associazione Culturale Edera, accanto a me l’amico Eduardo Zarelli. Pubblicista e professore di Storia e Filosofia a Bologna, fondatore e direttore della rivista «Frontiere. Identità, comunità, etnie», e attualmente dirige la Casa Editrice Arianna. Il suo primo libro Un mondo di differenze. Il localismo tra comunità e società2 condensa i risultati dei suoi studi e delle sue ricerche. Risultati che avremo sicuramente modo di sentire esposti nel corso del suo intervento.

Collabora e scrive articoli per diverse riviste, in particolar modo sui temi dell’ecologia e di proposizione di modelli culturali alternativi a quello dominante.

A già collaborato con la nostra associazione in veste di moderatore della conferenza svoltasi lo scorso anno con la partecipazione di Massimo Fini e Stefano Bonaga, nonché, nella veste di editore, alla presentazione del libro Euroschiavi edito dalla suddetta Editrice Arianna.

Detto questo passo subito la parola all’amico Eduardo Zarelli.

Michele Franceschelli

Associazione Culturale Edera

2 Un mondo di differenze. Il localismo tra comunità e società, Arianna editrice, Bologna, 1998.

"La natura come paradigma critico della civilizzazione occidentale" Dott. Eduardo Zarelli

Vi ringrazio per avermi invitato anche perché l’argomento che avete deciso di trattare questa sera è particolarmente legato al mio impegno culturale, metapolitico, che si è sviluppato in tutti questi anni e che a tutt’oggi, e con la casa editrice che citavate, si prova a portare avanti. Si prova, perché è molto difficile rispetto "al piccolo è bello" che rivendico, relativamente ad una dimensione macro, così come quella della società dei consumi, poi non è così facile da portare avanti. Proprio in questo si cerca di dimostrare un minimo di coerenza.

La dottoressa Colla ha introdotto in una maniera assolutamente appropriata l’argomento e di conseguenza io mi metto in scia alle modalità con cui ha trattato il tema della natura.

E’ chiaro che cercherò di dare un respiro un attimo più filosofico, anc