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Kosovo, l'ultimo miracolo della Nato (seconda parte)

di Diana Johnstone* - 27/03/2008







 

Zubin Potok, attualmente
Io non ho alcuna idea dove siano andati a finire Milomir, sua moglie, le sue due bambine, ed anche il suo amico. Zubin Potok è la municipalità più ad ovest nel Kosovo settentrionale, con una popolazione predominante Serba. Da Internet, ho appreso che la popolazione della municipalità di Zubin Potok (compresi i villaggi circostanti) è quasi raddoppiata dopo il mio passaggio.

Attualmente rasenta i 14.900 abitanti, compresi i 3.000 Serbi profughi interni (originari da altre regioni del Kosovo, dove la maggioranza Albanese li ha cacciati dopo l'arrivo della Nato), i 220 rifugiati Serbi provenienti dalla Croazia e 800 Albanesi. L'Assemblea locale è dominata da una maggioranza schiacciante del Partito Democratico di Serbia, di Kostunica, ma comprende anche due rappresentanti degli Albanesi del Kosovo.

Fino a questo momento, le scuole, gli ospedali, e gli altri servizi pubblici, e in definitiva tutta l'economia locale, hanno continuato a funzionare grazie in gran parte ai sussidi di Belgrado. La dichiarazione Albanese di indipendenza del Kosovo sta creando una crisi, vista la pretesa che sia posto un termine alla concessione vitale di questi aiuti, anche se un “Kosovo indipendente” si dimostra incapace di rimpiazzarli. Per di più, gruppi di nazionalisti Albanesi dichiarano che Zubin Potok “è Albanese” e che deve essere “liberato dalla presenza Serba”. Questo si può vedere su You Tube, e questi Albanesi utilizzano come simbolo la Statua della Libertà e minacciano i Serbi attraverso musiche rap in Albanese.

L'Unione Europea sta per intervenire in modo da imporre la legge e l'ordine. Ma l'“ordine” che pretende di assicurare è quello stesso che vorrebbero imporre i nazionalisti Albanesi.

Cosa potrà significate tutto questo per persone come Milomir e la sua piccola famiglia?

Per Roger Cohen, la risposta è facile: “Fate fagotto!”

La Serbia, comunque sia, ospita già il numero più imponente di rifugiati in Europa, le vittime delle “pulizie etniche” in Croazia e in Kosovo. E i Serbi non possono ottenere ne' visti ne' lo status di rifugiati nell'Europa occidentale. Sono stati etichettati come “cattivi soggetti”. Solo i loro nemici possono essere catalogati come “vittime”.

Prima e dopo

Prima della guerra e dell'occupazione della NATO, il Kosovo era tuttavia una società multietnica. L'accusa di “apartheid” era molto semplicemente un elemento della propaganda albanese, visto che i dirigenti Albanesi aveva scelto di utilizzare questo termine, pesante di significati, per descrivere l'effettivo loro boicottaggio dei Serbi e delle istituzioni Serbe. Qualsiasi azione di polizia nei confronti di un Albanese, qualsiasi fosse la ragione, che si trattasse di ribellione armata o di un reato ordinario, veniva descritta come una “violazione dei diritti dell'uomo” attraverso la rete di comunicazioni Albanesi sui diritti dell'uomo, finanziata dal governo degli Stati Uniti.

Si trattava di una situazione paradossale: i governi di Serbia e Jugoslavia consentivano ad un “governo del Kosovo”, separatista ed illegale, sotto la direzione di Ibrahim Rugova, di tenere banco nel centro di Pristina e di ricevere regolarmente i giornalisti stranieri per regalar loro sproloqui maligni sul modo in cui il Kosovo veniva oppresso da questi orribili Serbi.

Ma le leggi erano le stesse per tutti i cittadini, c'erano Albanesi in seno al governo locale e nella polizia e, se si verificavano casi di brutalità poliziesche (e qual'è il paese dove non ce ne sono?), gli Albanesi, quanto meno, non avevano nulla da temere dai loro vicini Serbi.

Invece, in quello stesso periodo, erano i Serbi che avevano paura degli Albanesi. Bisognava essere lontani dal Kosovo per credere seriamente che fossero gli Albanesi che vivevano sotto la minaccia di una “pulizia etnica” (o addirittura di un “genocidio”). Un progetto simile era molto semplicemente e manifestamente fuori di proposito. Erano i Serbi ad avere paura, che parlavano di inviare i loro bambini in posti sicuri, ammesso che ne avessero avuto i mezzi, o che si ripromettevano di restare coraggiosamente, “qualsiasi cosa fosse avvenuta”.

Più tardi, nel marzo del 1999, quando la NATO cominciò a bombardare il Kosovo, gli Albanesi fuggirono a centinaia di migliaia e la loro fuga temporanea dal teatro della guerra fu presentata come la giustificazione dei bombardamenti che l'avevano provocata.

Allora, la stampa mondiale non si preoccupò minimamente di parlare anche dei Serbi e di tutti gli altri che ugualmente erano stati costretti a fuggire dai bombardamenti.

Nel 1987, in Kosovo, e in particolare a Pristina e a Pec, avevo potuto osservare un comportamento di gruppo curioso, che mi ricordo di avere visto solamente nei cortili per la ricreazione delle scuole del Maryland della mia infanzia. Una frotta di bambini si riunisce e, con l'aiuto di segni diversi e di un minimo di parole, fanno sapere ad altri esterni al gruppo di volerli escludere e dileggiare. Ho visto degli Albanesi comportarsi nello stesso modo con dei Serbi isolati, e specialmente con delle donne anziane. Questa sorte di vessazioni veniva praticata senza violenza, nel 1987, ma questo non fu più il caso dopo l'occupazione del territorio da parte della NATO. La violenza fu incoraggiata quando la NATO suggellò ufficialmente la sua approvazione dell'odio degli Albanesi nei confronti dei Serbi, e questa ufficialità, furono precisamente le bombe della NATO a fornirla, nella primavera del 1999.

Sicuramente, ci saranno ben stati dei Serbi che odiavano gli Albanesi! Ma nella mia esperienza limitata e data dal caso, quello che mi colpiva era l'assenza di odio verso gli Albanesi nei Serbi che ho incontrato. La presenza del timore, sì, ma non dell'odio. E molte considerazioni mi hanno lasciato perplessa. Ad esempio, suor Fotina, del monastero di Gracanica, aveva una spiegazione molto cristiana della cosa. “Noi cerchiamo di aiutare gli Albanesi nel prendersi cura dei loro numerosi bambini, e purtroppo loro si rivoltano contro di noi. Deve essere il modo con cui Dio punisce noi Serbi per il fatto che ci siamo scostati dal cristianesimo all'epoca del comunismo.” La suora biasimava i suoi concittadini Serbi piuttosto che gli Albanesi.

Comunque, il… castigo divino non si è limitato solo ai cristiani. Nel punto più meridionale del Kosovo vive una antica popolazione denominata i Gorani, gli uomini delle montagne, che sotto l'Impero Ottonano, come la maggior parte degli Albanesi, si erano convertiti all'Islam. Ma la loro lingua è il Serbo, e questo, per gli Albanesi, è inaccettabile. Le valutazioni variano, ma tutti sono concordi nel dire che per lo meno due terzi dei Gorani sono dovuti scappare dopo “la liberazione” del Kosovo da parte della NATO.

Le pressioni e le intimidazioni sono state esercitate in forme diverse.

Certi Albanesi si sono installati nelle case temporaneamente abbandonate dai Gorani, che erano emigrati in Austria e in Germania per guadagnare il denaro che avrebbe loro assicurato una pensione di vecchiaia.

Le autorità Albanesi, con la protezione della NATO, si sono inventati i modi per privare i bambini Gorani dell'insegnamento in lingua Serba.

Nella principale cittadina Gorani di Dragash, una banda di Albanesi ha attaccato il centro sanitario e ha costretto gli operatori medici alla fuga.

In seguito, lo scorso 5 gennaio, una potente esplosione ha distrutta la banca di Dragash. Si trattava dell'ultima banca Serba ancora autorizzata ad operare nel Kosovo meridionale, che serviva soprattutto a trasferire le pensioni che consentivano ai Gorani del posto di sopravvivere.

Come di abitudine, il crimine rimane impunito

Nel novembre 2007, David Binder, che scriveva sulla Jugoslavia per conto del New York Times, prima di farsi espellere in quanto sapeva e parlava troppo a riguardo, ha redatto un articolo (**) su una lunga inchiesta commissionata dalla Bundeswehr, l'esercito Tedesco, sulle condizioni nel Kosovo.

L'esistenza di questo rapporto prova che, per quanto si pretenda pubblicamente che il Kosovo sia “pronto per l'indipendenza”, i governi Occidentali sono assolutamente consapevoli che questo non è il caso. Fra le altre cose, Binder scrive:

“Gli autori ufficiali dell'inchiesta, Mathias Jopp e Sammi Sandawi, hanno passato sei mesi ad intervistare 70 esperti e a studiare sodo sulla letteratura attualmente disponibile relativa al Kosovo per preparare il loro lavoro. Secondo la loro analisi, le agitazioni politiche e gli attacchi della guerriglia degli anni Novanta sono sfociati in cambiamenti fondamentali che vengono individuati nel ‘mutamento delle strutture sociali degli Albanesi Kosovari'. Ne è derivata una ‘società da guerra civile', in cui le persone sono inclini alla violenza, senza grande istruzione e facilmente influenzabili, dove è possibile fare enormi salti sociali nell'ambito di una soldataglia raccogliticcia su due piedi.

Ci si trova in presenza di una società mafiosa, che poggia sull'occupazione dello Stato da parte di elementi criminali.”

Secondo la definizione degli autori, “le attività criminali in Kosovo sono gestite da organizzazioni messe in piedi a colpi di pacchetti di milioni di euro, che sono dotate di esperienza di guerriglia e di capacità esecutive in campo spionistico.” Essi citano un rapporto dei servizi di intelligence Tedeschi in cui si prendeva atto dei “collegamenti molto stretti fra i dirigenti di punta della classe politica e quelli della classe criminale”; e fanno i nomi di Ramush Haradinaj, Hashim Thaci e Xhavit Haliti come dirigenti compromessi, “protetti sul piano interno dall'immunità parlamentare e su quello estero dalle legislazioni internazionali”.

Gli autori parlano anche, non senza disprezzo, del Comandante dell'UNMIK, (la Missione delle Nazioni Unite per il Kosovo), dal 2004 al 2006, Søren Jessen-Petersen, che tratta Haradinaj come un “amico stretto e personale”. Lo studio critica severamente gli Stati Uniti per avere “incoraggiato l'evasione di criminali” in Kosovo e di “impedire agli inquirenti Europei di operare”.

L'inchiesta fa nello stesso modo il punto sui “centri di detenzione segreti della CIA” a Camp Bondsteel e denuncia l'addestramento di natura militare, alla Statunitense, che la famigerata agenzia DynCorp impone alla polizia Albanese del Kosovo, con l'autorizzazione del Pentagono.

In una nota annessa, si cita un ufficiale non identificato che avrebbe detto del Comandante Aggiunto (Statunitense) dell'UNMIK: “Il compito principale di Steve Schook consiste nell'ubriacarsi una volta alla settimana con Ramusj Haradinaj”.

Chi se ne va e chi resta

Schook è stato trasferito dall'UNMIK, i cui compiti stanno tuttavia per essere ripresi arbitrariamente dall'Unione Europea. La “missione” dell'UE consiste in una sorta di governo coloniale che, in compagnia della NATO, prevede di governare un territorio Albanese di fatto ingovernabile. Ed infatti, movimenti di patrioti Albanesi armati stanno già preparando la loro prossima “guerra di liberazione” contro gli Europei.

Quindi, dopo i Serbi, i Rom, i Gorani, anche gli Europei saranno obbligati a “fare fagotto”? Solo gli Americani sembrano sicuri di restare ! Installati con tutti i comfort nella loro gigantesca base di Camp Bondsteel, gli Statunitensi controllano le vie di comunicazione strategiche dalla Serbia alla Grecia e, incidentalmente, forniscono alla massa di Albanesi Kosovari disoccupati delle opportunità di lavoro, in particolare in impieghi subalterni e pericolosi al servizio delle forze americane in Iraq o in Afghanistan.

La realtà di questa sfacciata occupazione di un territorio è sotto gli occhi di tutto il mondo. Su questo argomento ho scritto io, ha scritto Binder, ha scritto Szamuely e ugualmente l'hanno fatto tanti giornalisti e scrittori Tedeschi. Anche i Russi, i Greci, i Rumeni, gli Slovacchi e tanti altri sanno di che si tratta. Ma, in questo che è il migliore dei mondi possibili, come viene presentato dal Nuovo Ordine Mondiale, questa realtà non esiste in via assoluta. La gente non sa nulla !

Lascio l'ultima parola a Aldous Huxley: “Molto spesso, è possibile venire a capo dell'ignoranza. Noi non sappiamo, perché noi non vogliamo sapere!”

*Diane Johnstone è l'autrice di “Fools' Crusade: Jugoslavia, Nato, and Western Delusions – La Crociata degli Inganni: Jugoslavia, Nato e Allucinazioni Occidentali” pubblicato da Monthly Review Press.

** Il contenuto dell'articolo di Binder può essere letto su http://www.balkanalysis.com /

Il testo originale in inglese, “Independence in the Brave New World Order.  NATO's Kosovo Colony, Il Kosovo: una Colonia della NATO nello Splendido Nuovo Ordine Mondiale”, a http://www.counterpunch.org/johnstone02182008.html ) traduzione ed adattamento in francese di Jean-Marie Flémal per Investig'Action

 

da www.michelcollon.info. Traduzione dal francese per Megachip di Curzio Bettio (leggi la prima parte)