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Roma, quando il potere amava la frugalità

di Philippe Daverio - 27/03/2008

  
Prendendo spunto dall’apertura di una parte della casa di Augusto, Philippe Daverio descrive l’evoluzione compiuta dalla ricerca archeologica dal XVIII secolo ad oggi e il decisivo contributo datoci da questa disciplina per la comprensione del passato romano.
Secondo Daverio l’archeologia, partendo dalla ricerca antiquaria del bello, dell’opera d’arte, della cultura materiale, passando attraverso l’analisi scientifica e il metodo stratigrafico, è oggi giunta a porsi anche questioni di antropologia culturale. Grazie ai nuovi scavi, sappiamo che il palazzo di Augusto sul Campidoglio effettivamente si sviluppò, come affermava Svetonio, da una modesta casa privata, quella dell’oratore Ortensio. Secondo Daverio, la struttura si ingrandì non per l’ostentazione di Augusto, bensì per accogliere parte dell’amministrazione pubblica della repubblica trasformata in impero.


L’archeologia nel XVIII secolo era una miniera vergine dove si scavava alla ricerca del bello, del capolavoro che permettesse di rendere visibile il mito greco-latino così come era stato assunto dalla letteratura. I cocci meno importanti si buttavano e il prezioso tessuto dell’indagine veniva immediatamente dimenticato. Carlo III di Borbone era felice di vendere sul mercato antiquariale una parte dei tesori rinvenuti esattamente come fece tre generazioni dopo Luciano Bonaparte, quando organizzava intere spedizioni di ‘roba’ da vendere all’asta a Londra. Sono oggi diventati reperti di cui ammiriamo la bellezza ma ignoriamo la provenienza.
Ci vuole in realtà un secolo e mezzo prima di capire la necessità di documentare lo scavo e di arrivare lentamente a prestare attenzione ai dettagli minimi, al coccio marginale, al seme conservato per ricostruire i mondi. Conobbi all’inizio della sua carriera Andrea Carandini, quando operava con dovizia a Settefinestre, in Maremma, dei carotaggi dall’aspetto cervellotico, che si rivelarono invece, e lui già lo sapeva, strumenti fondamentali per l’indagine socio economica. Siamo ora in una terza fase della ricerca, quella nella quale prende diritto al rispetto anche l’antropologia culturale. È esempio molto coinvolgente in questo senso il lungo percorso di scavi che nel cuore di Roma stanno per consentire una nuova comprensione dell’Urbe da Romolo ad Augusto.
L’anno scorso Carandini, ormai signore maturo, ha pubblicato un suo testo geniale sui primi anni della città individuando i reperti corrispondenti. In questi giorni, ad opera della Soprintendenza di Roma, si riapre negli stessi luoghi capitolini una parte della casa di Augusto. [...] Aveva ragione Svetonio quando parla della modesta abitazione dell’oratore Ortenzio, che diventa la casa comprata da Cesare Ottaviano nella quale l’uomo che trasformerà la repubblica in impero abiterà per 40 anni. La casa diventa palazzo non per soddisfare la sua vana gloria, ma perché vi verranno aggiunti gli edifici che accoglieranno la trasmigrazione dell’amministrazione dalla vecchia funzione pubblica alla nuova gestione imperiale.
E così vi nasce de solido marmore affecto il tempio di Apollo-Latona-Artemide. Ma lui ormai imperatore non cambia dimensioni, sicché l’Augusto mantiene le locula anguste e il cortile frugale in tufo. Il palazzo intero avrà inglobato già alcune delle ville preesistenti in quel Palatino che era luogo ambitissimo per gli ultimi della repubblica e dove tenevano casa sia Cicerone che Antonio e Germanico e dove Emilio Scauro possedeva un atrio nel quale poteva adunare anche 2500 clientes.
Lui, però, se rinuncia all’esaltazione privata non neglette invece l’eleganza anzi la stimola. Le decorazioni parietali sono un documento eccellente del suo modo di vivere. Prospettive intelligenti a trompe l’oeil, salto onirico oltre il naturalismo delle ex rebus finitis imagines certae verso quelle di piccoli monstra che ammiccano da dietro i muretti, poi vetri e argenti barocchetti dipinti in encausto, in un tripudio di colori. [...]