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Così muore Bagdad

di Barbara Schiavulli - 28/03/2008

Fonte: ilmessaggero

 

 

L'idea era di quella di scrivere una storia sull'orchestra sinfonica di Bagdad. Perché in un posto dove da anni si combatte, ci sono persone che lottano per una vita migliore. Ma fin dall'inizio è stato chiaro che non era la giornata giusta per parlare di sogni. Gli incessanti colpi di mortaio continuano a mirare verso la "zona verde", mentre in lontananza tra le strade deserte di Bagdad arriva l'eco che si perde di una battaglia a Sadr City. Solo in tarda serata si saprà che in due giorni di combattimento ci sono stati più di quaranta morti e centinaia di feriti.

 

La capitale è una città fantasma a parte i militari sguinzagliati ad ogni angolo e i quartieri sciiti traboccanti di gente che manifestano contro il premier al Maliki. Hanno costruito una bara e messo la sua foto che sfila tra la gente, bocche contorte dalla rabbia lo definiscono un "dittatore". Sono i ragazzi di Moqtada al Sadr, giovani arrabbiati, frustrati, che pendono dalle labbra dei leader religioso quasi fosse il "Messia" che gli sciiti aspettano nel giorno del giudizio. Per lui sono disposti a tutto. «Al Maliki a morte», urla un ragazzo con il volto coperto, sotto la maglietta il rigonfiamento di una pistola. Sui tetti cecchini, alle "finestre uomini che imbracciano rpg.

 

Il direttore dell'orchestra aspetta il nostro arrivo nella scuola di musica. In giacca e cravatta alla ricerca costante dei suoi sigari, contrasta con l'inferno che rumoreggia fuori. Arrivano notizie dal Sud, decine di morti a Kut. Sessanta a Hilla. un centinaio di chilometri da Bagdad. quasi duecento in tre giorni a Bassora dove tutto è cominciato. Il premier Al Maliki è lì da lunedì per dirigere un'operazione contro le milizie sciite che da mesi lottano per il controllo della città petrolifera. E' stato attaccato un oleodotto, ma il ministro del petrolio si è assicurato subito di informare che l'estrazione del greggio non verrà compromessa.

 

In un quartiere a nord della capitale gli scambi di fuoco e i colpi di mortaio si fanno più vicini. Salam, il traduttore sciita, scuote la testa, i suoi bambini sono a scuola ed è molto preoccupato. Mashkoor invece, autista sunnita, ha paura. Se venisse intercettato dai miliziani verrebbe giustiziato all'istante. E' questa Bagdad oggi, il luogo dove il presidente Bush dice che ci sono stati progressi. Gli iracheni si infuriano per le sue parole. «Pagliaccio», lo definiscono. Salam e Mashkoor vengono congedati, vanno a casa, mentre con il direttore racconta la sua vita vissuta all'estero per studiare musica e la scelta di tornare. «Si tratta di dare un contributo al proprio Paese, anche se può sembrare folle» dice, montando in macchina per cercare un posto più sicuro.

 

La battaglia si muove velocemente, è pericoloso ma non troppo, gli americani circondano ì quartieri, ma non intervengono, il premier promette di non fermarsi fino a quando i militanti non si saranno arresi. Deve provare a farcela da solo. Ma Al Sadr ha milioni di persone dalla sua parte, e il controllo di intere città. Dentro alla "zona verde" piovono razzi. Solo qualche ferito, ma la paura paralizza il cuore del potere costretto a trascorrere la giornata nei bunker e lontano dalle finestre.

 

Trema Bagdad come se ci fosse di nuovo quella guerra. Nell'aria l'odore acre della polvere da sparo, la gente chiusa in casa qui come nel Sud, dove c'era già il coprifuoco (che più tardi, in serata, verrà imposto per tre giorni anche nella capitale). Karim il direttore attraversa la città. Vicino al sedile ha una pistola.   «Lo   so, non si addice alia   musica, ma siamo in una giungla». Più ci si allontana dalla battaglia, più Bagdad sembra addormentata. Canta il muezzin in centro e invita alla preghiera, ma nessuno corre verso la moschea. Una telefonata spezza la quiete.

 

«Hanno rapito Tahseen Al Shaikhli, uomini armati sono entrati in casa, hanno ucciso le sue tre guardie del corpo e ferito la moglie e uno dei figli». Tahseen è il portavoce del piano per la sicurezza di Bagdad. Si occupa di negoziare con sciiti e sunniti, una sorta di riconciliazione sponsorizzata dagli americani. E' sunnita. Un professore. Due giorni fa eravamo andati con lui, scortati da dieci mezzi dell'esercito, a Mahmoudiya, nel triangolo della morte. «Non basta sradicare la militanza, bisogna riguadagnarsi la fiducia della gente», aveva detto con convinzione. I leader tribali .sunniti che era andato a visitare a sud di Bagdad, erano sconvolti. «Quell'uomo ha fatto molto per estirpare al Qaeda dai quartieri. Per questo morirà», aveva predetto lo sceicco Mizher al Hamdani, che controlla una tribù di 600 mila persone. Una tragedia, non fa che ripetere. Una tragedia per l'Iraq.