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So? (Sullo stato della guerra di occupazione americana in Iraq)

di Gianluca Freda - 28/03/2008

Dick CheneyBuona parte dei giornali internazionali, compresi quelli italiani, hanno dato un paio di notizie interessanti sullo stato della guerra americana in Iraq. La prima notizia è che fra le truppe americane sarebbe stato raggiunto il quattromillesimo morto ammazzato; cifra che ha evidentemente per gli alchimisti dei media un qualche valore esoterico, da me non immediatamente percettibile, che li spinge a dare alla faccenda un rilievo assai più vasto del modesto “e chi se ne frega” con cui personalmente l’avrei commentata.

Del resto, molti avranno ormai capito che le cifre fornite dal Pentagono sui caduti americani per essere minimamente credibili devono essere moltiplicate almeno per tre o per quattro, se non per dieci (mettendo nel numero anche i morti per effetto dell’uranio impoverito), il che...

non rende comunque il mio commento sulla vicenda molto diverso dal precedente.

Abbiamo anche appreso che la cosiddetta Zona Verde, l’unica miserabile porzione di Iraq su cui gli americani potevano vantarsi di avere un qualche controllo, è ormai anch’essa un tirassegno in cui i soldati statunitensi svolgono la vitale funzione di paperelle di compensato. Per la verità non si tratta di una scoperta rivoluzionaria. Ne avevano già dato notizia i blogger di mezzo mondo, compreso il modesto sottoscritto, per esempio in questo articolo tratto da TBR News in cui un anonimo che lavora all’interno della Green Zone scriveva tra l’altro: “Sono fortunato ad avere una stanza le cui finestre non siano rivolte verso Baghdad. Gli insorti hanno fucili da cecchino, di solito americani, calibro 50, situati in edifici da cui si può controllare la zona da lontano; più di una volta, membri del personale che si stavano radendo davanti alla finestra del bagno si sono ritrovati col cervello spiaccicato sui muri dopo che il cecchino li aveva presi di mira. Il suono degli spari arriva dopo e mai, neppure una volta, gli uomini della nostra sicurezza sono riusciti a individuare le postazioni dei cecchini”. Gli attacchi con razzi e colpi di mortaio contro l’installazione americana a Baghdad sono piuttosto frequenti, e da tempo, ma fa comunque un certo effetto vedere che per una volta perfino i media mainstream abbiano dato notevole risalto alla faccenda. I casi sono due: o questa volta l’attacco è stato più pesante del solito (e avrei qualche dubbio) oppure, per motivi a me ignoti, qualcuno ha deciso che è ora di sollevare almeno parzialmente il velo di silenzio sulla reale entità del disastro americano in Iraq.

Sia come sia, quello che mi interessa sottolineare è la perfetta concordanza di opinioni esistente – per una volta – tra me e Dick Cheney riguardo lo spinoso problema dei soldati USA che la resistenza irachena costringe, di tanto in tanto, a far prendere aria alle budella.

Intervistato dalla giornalista Martha Raddatz nel programma della ABC “Good Morning America”, Cheney, detto “the Dick”, si è così espresso riguardo gli attacchi alla Green Zone e all’effetto che questa carneficina può avere sul pubblico americano:

CHENEY: Dal punto di vista della sicurezza, credo sia opinione generale che abbiamo fatto grandi progressi [!], che l’incremento di truppe ha funzionato. E’ stato un enorme successo. [!!]

RADDATZ: Due terzi degli americani pensano che non valga la pena di combattere questa guerra.

CHENEY: Embè?

RADDATZ: Embè? Non le interessa cosa pensa il popolo americano?

CHENEY: No. Non credo che si possa abbandonare la rotta solo a causa delle fluttuazioni nei sondaggi d’opinione.

[Questo spezzone è visibile nel video in fondo] 

Ora, Cheney “the Dick” dice alcune cose che non sono del tutto esatte. Per esempio l’avversione alla guerra in Iraq non è una “fluttuazione” dell’opinione pubblica americana, dato che il consenso alla guerra è andato scemando in modo perfettamente lineare nel corso degli anni, passando dal 68% di favorevoli nel 2003 al 36% di oggi. Lo stesso Cheney, il mese scorso, aveva dichiarato: “Il popolo americano non accetterà mai un ritiro dall’Iraq”, confondendo – comprensibilmente, del resto – il popolo americano con le fantasie senili aleggianti nella sua crapaccia vuota e pelata.

Ma a parte queste osservazioni, tutto sommato trascurabili, vorrei fare mio, da ora in poi, il mirabile motto con cui The Dick ha deciso di andare incontro alla catastrofe.

L’America ha perso la guerra. Embè?

I suoi bambocci da campo sono carne da macello alla mercè di forze ben più ardite e determinate di loro. Embè? Schiattano come mosche. Embè? La guerra in Iraq ha portato al definitivo discredito internazionale degli Stati Uniti, per non parlare della rovinosa crisi economica che i suoi costi hanno contribuito a peggiorare. E a noi che ce frega? Il popolo americano vorrebbe che la guerra finisse. Tanto piacere. Se la tengano e godano fino in fondo della gloria imperitura che i loro valorosi condottieri da salotto hanno procurato al paese. Le pareti dei bagni di trincea imperiali, decorate con frammenti d’encefalo di babbeo, non sono poi così inadeguate all’arredamento da campo fornito dal Ministero della Guerra.

Lo ha detto Dick Cheney, l’uomo con più bypass che neuroni, che potrebbe stirare le zampe da un momento all’altro dopo aver condotto il proprio paese ad una rovina ignominiosa e irrimediabile.

Embè? E’ il commento più ovvio e razionale. Sarebbe bello che lo ripetessimo tutti in coro.