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E in Romagna il falò è un rito. La grande festa tradizionale, tra sacro e profano

di Quinto Cappelli - 28/03/2008



 F
ra gli antichissimi riti che salutavano la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera, quelli legati al fuoco sono ancora radicati nella tradizione di vari luoghi italiani. A Rocca San Casciano, un’accogliente cittadina sulle colline forlivesi che per due secoli fu capoluogo della Romagna Toscana fino al 1923, la tradizione della Festa del Falò si rinnova ogni anno l’ultimo sabato di marzo, con la sfida fra i due rioni Borgo e Mercato che dividono in due non solo il paese, ma anche la popolazione. Per ammirare la suggestiva gara fra due fuochi alti decine di metri, accesi alle 21.30 di sabato 29 marzo sulle rive del fiume Montone, accorrono diecimila persone non solo dalla Romagna e regioni vicine, ma perfino dal Veneto e dalla Lombardia, con pullman anche da Milano, Cremona e Bergamo. La sfida, un tempo con tanto di giuria per proclamare il vincitore (ma ora soppressa per motivi di ordine pubblico), si basa su quale pagliaio brucia meglio, sulla durata e sullo spettacolo di fuochi d’artificio che ogni rione presenta al termine dei falò, nonché sul secondo atto della sfida: la sfilata in piazza dei carri allegorici. Per gli abitanti però la sera dei falò è solo il culmine, perché la vera sfida inizia mesi prima, con la preparazione, che consiste nella raccolta degli 'spini' sulle colline circostanti, quando decine e decine di volontari di ciascun rione dedicano tutto il tempo libero per tagliare centinaia di quintali di ginestre, portati in paese in mezzo ad un tripudio festante, manifestazioni gastronomiche e musica per le strade e sulle rive del fiume, che si animano le ultime settimane di bambini, giovani, adulti e vecchi, per innalzare i pagliai: quello del Borgo alla romagnola (a forma di cilindro sormontato da un cono) e quello del Mercato alla toscana (a forma di cono).
  La sera della festa, prima dell’accensione, si vive sul luogo un clima di grande tensione, in attesa che le campane della chiesa parrocchiale diano il segnale a festa che nella pieve è avvenuta la benedizione delle fiaccole che, portate di corsa da due tedofori, accenderanno altre dodici fiaccole per ogni rione da appiccare il fuoco alle pire, mentre il campanone della torre civica dà il segnale del via. L’accensione dei pagliai, le cui fiamme si rispecchiano nelle acque del fiume Montone-Acquacheta, che Dante ha cantato nel XVI canto dell’Inferno, è accompagnato da un immenso boato delle tifoserie del Borgo (rosso-blu, sulla riva sinistra del fiume) e del Mercato (bianco-rosso, sulla riva opposta), mentre tutt’attorno gli spettatori si godono uno spettacolo unico nel suo genere, dove protagonisti sono appunto il fuoco e l’acqua del fiume, due fra i quattro elementi che alcuni filosofi greci ritenevano a fondamento della realtà e che sono ancora alla base di tante culture. Cosa che capirono anche i frati
francescani giunti in paese alla fine del XVII secolo, quando trasformarono la Festa del Falò, probabilmente di antichissima origine pagana, in 'Fuochi di San Giuseppe', da accendere la sera della vigilia del santo, cioè la sera del 18 marzo. Da quest’anno il Comitato promotore, formato da Comune, Pro Loco e Rioni, sta tentando di trasformare la manifestazione locale in evento nazionale, con due iniziative: programmare eventi culturali collaterali legati al tema del fuoco, creare una rete di gemellaggi con città e paesi italiani che mantengono le stesse tradizioni, per fare di Rocca San Casciano la capitale italiana dei falò. A questo proposito la domenica mattina 30 marzo sarà firmato in piazza il gemellaggio col rione toscano San Geminiano di Pontremoli.
 La sfida è tra i quartieri di Borgo e Mercato a Rocca San Casciano, a partire da domani.
  Un gioco di colori cui partecipa tutta la popolazione
Ma la contesa inizia settimane prima, quando si portano in paese le ginestre per preparare i due pagliai che bruceranno, ognuno dei due di forma diversa