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L'appello di Vandana Shiva per il bene della terra

di Ilaria Maccaroni - 31/03/2008

     
Nel suo ultimo libro "Il bene comune della Terra", l'autrice indiana Vandana Shiva riprende nuovamente le sue tesi sui disastri economici, sociali ed ambientali prodotti dal neoliberismo e i suoi effetti devastanti sulle comunità rurali del pianeta. vandana_shiva.jpgLa novità stavolta è che di queste tematiche Vandana Shiva ne ha fatto un vero e proprio manifesto d'azione articolato in 11 punti intitolati "I Principi della democrazia sulla terra" da proporre a tutte le donne e gli uomini di buona volontà impegnati a scongiurare la guerra, a lavorare per la giustizia e lo sviluppo sostenibile. La vita dei poveri, scrivere l'autrice, viene resa precaria e messa a rischio dagli effetti della privatizzazione dello spazio e delle terre, le cui origini risalgono alla politica dei commons , adottata dal governo inglese agli inizi del diciottesimo secolo mediante cui migliaia di contadini furono costretti ad abbandonare le proprie terre libere che vennero recitante e suddivise in appezzamenti di terra e trasformate in erba da pascolo per pecore la cui lana costituì la prima fonte di ricchezza commerciale del regno. Quei terreni vennero gestiti alla stregua dei possedimenti privati dimenticando che invece costruivano la fonte di sostentamento di migliaia di famiglie contadine che, di lì a poco, avrebbero ingrossato le fila degli emigrati bianchi, mano d'opera sottopagata in cerca di una vita dignitosa, lontano dalla povertà e dall'indigenza. I commons vennero successivamente venduti al miglior offerente desideroso di avviare i sui affari e aprire nuovi spiragli all'economia di mercato. È in questo modo che l'economia del sostentamento ha lasciato il posto a quella di mercato producendo, a dispetto di quanto propagandato da teorici ed economisti, benefici per alcuni ma non per tutti. Il guaio, scrive ancora Vandana Shiva, è che l'ottica liberista ha poi prodotto, con il suo perpetuarsi, un accostamento di vedute circa i suoi falsi vantaggi tanto da etichettare il processo di arricchimento di pochi a scapito di molti come il "progresso umano universale", oggi ampiamente imitato dalle nuove potenze emergenti.

raccolta-di-acqua.jpg La stessa politica è stata successivamente esportata nelle colonie, come ad esempio l'India. Qui l'agricoltura di sostentamento familiare o delle comunità locali ha subito lo stesso processo dei commons favorendo la divisione della terra e il suo impiego da parte delle multinazionali che hanno impiantato le monoculture sacrificando la biodiversità del territorio: è il caso della Monsanto, industria leader nella produzione degli OGM, Vivendi, Cola Cola e molte altre ancora. Ed è proprio la Coca Cola l'esempio forse più paradossale. Le lattine della bibita più famosa del mondo vengono prodotte impiegando le fonti di approvvigionamento idrico delle comunità locali indiane e sottraendo a queste la maggior parte di tali risorse a livello locale. Mediante le licenze utilizzate dall'impresa, i pozzi d'acqua vengono progressivamente impiegati e prosciugati. Nella comunità di Kerala, famosa per la vittoria ottenuta dalle donne per lo smantellamento di uno stabilimento d'imbottigliamento di proprietà della multinazionale, le quantità d'acqua estratte erano così elevate al punto che il livello freatico del sottosuolo si era abbassato fino 150 metri sotto terra prosciugando i pozzi d'acqua presenti nelle vicinanze e consumando l'acqua potabile disponibile per l'uso domestico e l'irrigazione dei campi. Alcuni rifiuti abbandonati all'interno dello stabilimento avevano tra l'altro inquinato i campi coltivati circostanti, rovinando i raccolti e inquinando i corsi d'acqua. A quel punto, le autorità locali avevano dichiarato l'acqua di Kerala non potabile, cosa di cui le donne erano perfettamente a conoscenza ma ci vollero anni di manifestazioni, petizioni e sit in di protesta per autorizzare la chiusura dello stabilimento. Quest'ultimo, dice Vandana Shiva, è solo uno dei 76 che la Coca Cola possiede disseminati in tutta l'India e chissà quanti altri ancora in giro per il mondo. L'esempio di Kerala è illustrativo degli effetti della globalizzazione: la trasformazione delle risorse e delle persone in mercanzia e il loro conseguente sfruttamento. Nella sua analisi l'autrice non tralascia neanche il genere, ponendolo anzi al centro del sistema di sfruttamento globalizzato. Così come le donne vengono asservite e rese dipendenti dagli uomini, allo stesso modo lavoratori, lavoratrici e risorse ambientali lo sono ad opera dei potenti. Il paradigma di assoggettamento donna-uomo non è niet'altro che l'anello originale di una catena che si perpetua al di fuori delle mura domestiche, investendo la sfera pubblica e, oggi, il pianeta intero.

da Rivistaonline.com