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Mozzarelle di bufala e dintorni il nostro veleno quotidiano

di Sabina Morandi - 01/04/2008

 
La Francia prima blocca il prodotto campano, poi fa marcia indietro. Dall'Ue un via libera che spegne le polemiche. Ma la realtà...

L'agricoltura industriale ormai è satura di tantissime sostanze chimiche, che il Mercato riconosce come legittime.
E tutti fanno finta di nulla...



Mentre la crisi della mozzarella registra anche oggi i suoi alti e bassi - il Giappone riapre le frontiere mentre la Francia prima le chiude e poi le riapre - e i giornalisti di casa nostra intingono la penna nello spirito di campanile, i consumatori scoprono che la diossina «è entro i limiti consentiti» ovvero che la sua presenza è prevista e considerata ammissibile al di sotto di certe quantità. Il perché è presto detto: come altri contaminanti di origine industriale la diossina è ovunque, perfino nel latte delle mamme. Come ha dichiarato ad APCom il dottor Gaetano Rivezzi, neonatologo dell'ospedale di Caserta: «i valori che abbiamo riscontrato non impediscono assolutamente l'allattamento» e comunque «probabilmente non c'è più diossina nel latte materno che in quello di mucca». Se il dottor Rivezzi voleva essere rassicurante non c'è riuscito: la diossina sarà pure presente in tutti i paesi industrializzati, ma certo andare a seppellire rifiuti tossici per vent'anni in una regione che campa di allevamento, agricoltura e prodotti alimentari pregiati, non è certo una buona idea. Insomma, se alle distorsioni dell'attuale modello di produzione e di consumo aggiungiamo l'illegalità diffusa di casa nostra, abbiamo fatto tombola.

Detto questo non si può ignorare che l'intera industria della produzione e della trasformazione alimentare è attraversata da crisi ricorrenti che non sono legate soltanto a comportamenti criminali ma sono, come dire, fisiologiche. E' inevitabile sottoporre gli animali da allevamento a massicce dosi di antibiotici, perché tanti animali ammassati tutti insieme si ammalano e vanno preventivamente trattati. Peccato che gli antibiotici dopo un po' smettano di fare effetto, sia negli animali che negli umani che di quelle carni si nutrono, e che quindi sia necessaria altra chimica per tenere sotto controllo l'intera faccenda. La stessa succede con il pesce d'allevamento, una delle produzioni più devastanti dal punto di vista ambientale proprio per l'ampio impiego della chimica. Il problema è che se non riusciamo ad aspettare che il pesce di mare si rinnovi da solo - perché, come con la carne, ne mangiamo decisamente troppo - ecco che antibiotici, disinfettanti, ormoni e altre diavolerie entrano nella catena alimentare, e presto o tardi chiedono il saldo del conto.

La complicità fra produttori spinti al ribasso dall'agguerrita competizione del mercato globale e i consumatori che si possono consentire cibo pregiato a basso costo, ha spianato la strada allo sbarco dei polli alla diossina, dei vitelli agli ormoni e del pesce al mercurio, tutte crisi strumentalizzate per le solite guerre commerciali - come oggi la mozzarella - che nascondono però la normale amministrazione, ovvero il massiccio e quotidiano impiego della chimica in ogni settore produttivo.

Già nel 2003, ad esempio, Legambiente aveva dedicato un apposito dossier alla chimica nel piatto. Gli ambientalisti fecero fare le loro analisi e trovarono ben tre tipi di pesticidi (paration, clorpirifos e metidation), su di una singola ciliegia proveniente dalla Calabria. Ma i pesticidi vennero trovati anche nel 25% dei peperoni e nel 77% delle mele prelevate nei mercati dell'Emilia Romagna. In Trentino-Alto Adige il 50% dell'uva analizzata risultò contenere sostanze vietate in Italia, e l'Arpa di Trieste trovò tracce di Ddt in ciliegie, mele e carote; in Liguria il Ddt venne trovato nella salvia, nell'origano e nel sesamo.

Tre anni dopo, sull'onda dello scandalo dell'Itx, una sostanza impiegata nelle confezioni di latte per bambini che poi è finita nel prodotto, il Wwf ha commissionato un analogo studio sugli imballaggi. Venne fuori che, per impacchettare e trattare il cibo che acquistiamo e mangiamo tutti i giorni, veniva impiegata ogni sorta di diavoleria: refrigeranti, fragranze artificiali, lubrificanti, ritardanti di fiamma, conservanti e perfino pesticidi, per un totale di oltre 140 diverse sostanze chimiche potenzialmente dannose per gli organismi umani, animali e vegetali. Alcune di queste sostanze hanno proprietà di "distruttori endocrini" cioè simulano l'azione degli ormoni normalmente prodotti dall'organismo, interferendo con il sistema endocrino e costituendo quindi un serio fattore di rischio per la salute umana. Tra le patologie più gravi ci sono l'obesità, varie forme di cancro e di diabete, e una consistente riduzione della fertilità. Da notare che, nel migliore dei mondi possibili non si butta mai niente: cancro, diabete e infertilità costituiscono infatti i settori più promettenti per il mercato dei farmaci e dei prodotti sanitari in genere...
La dimensione del problema non deve far dimenticare però che siamo al punto in cui siamo perché i decisori politici hanno deciso di non decidere, mentre la mano invisibile del mercato spinge, da anni, verso la totale deregolamentazione anche in questo campo. Basti pensare al tortuoso percorso del Reach, il nuovo regolamento europeo sulle sostanze chimiche chiamato a sostituire una normativa vecchia di quarant'anni. Quarant'anni durante i quali sono state commercializzate più di 30 mila sostanze chimiche in un'infinità di prodotti - dagli alimenti alle vernici passando per l'abbigliamento, i cosmetici, i detersivi e via dicendo - per la maggior parte non testate. Peccato però che, mentre gli operatori sanitari diventavano sempre più consapevoli degli effetti della chimica sulla nostra salute, ogni tentativo di costringere le aziende a testare i nuovi prodotti, fornire informazioni e sostituire i più tossici, si è scontrato con la ferma resistenza della lobby chimica europea e statunitense. Anni di battaglia parlamentare e di campagne ambientaliste per arrivare all'"accordicchio" del 2006, senza il quale il piano sarebbe stato definitivamente silurato.

Con il decollo del Reach, se non altro, la circolazione di sostanze non registrate e prive di documentazione sui rischi per la salute e l'ambiente non sarà più consentita in Europa, almeno fin quando non superino la soglia di 10 tonnellate l'anno. Il problema è che più della metà delle sostanze chimiche in commercio sono prodotte o importante in quantità inferiore, e saranno quindi esentate dal rispetto del Reach. Un altro problema riguarda il dispositivo ideato per sostituire alcune categorie di sostanze particolarmente pericolose - le cosiddette PBT (persistenti, bioaccumulative e tossiche) e le CMR (cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione) - con alternative più sicure. Le aziende saranno costrette a fornire "informazioni di sicurezza" sull'intero ciclo di vita della sostanza, informazioni che lavoratori e comuni cittadini potranno richiedere, ma solo quando si sospetti la presenza di sostanze molto rischiose, come appunto le due categorie summenzionate. Però, nel testo approvato a Strasburgo, per le aziende chimiche c'è la possibilità di ottenere l'autorizzazione per continuare a vendere le sostanze CMR previo "adeguato controllo" per garantire che l'esposizione rimanga al di sotto del valore soglia di sicurezza. Peccato che per la comunità scientifica non esista un livello di esposizione privo di conseguenze per alcune sostanze particolarmente tossiche e, visto che sono ancora sconosciuti gli effetti delle miscele di sostanze sulle delicate funzioni ormonali e sullo sviluppo nei primi stadi di vita, l'unica misura in grado di tutelare la salute è appunto l'obbligo di sostituzione, come richiesto dalle associazioni di medici e ricercatori oltre che, naturalmente, dagli ambientalisti e dai sindacati dei lavoratori chimici che sono, ovviamente, i più esposti.

Le scappatoie e le norme di auto-regolamentazione dei produttori introdotte nel Reach lo rendono facilmente aggirabile mentre, al contempo, sono stati respinti alcuni emendamenti che aprivano al controllo indipendente della società civile. Per i politici di Bruxelles si apre una partita decisiva: dovranno vegliare sulla costituzione dell'Agenzia europea delle sostanze chimiche che avrà sede a Helsinki, in Finlandia, mentre i loro colleghi dei Parlamenti nazionali dovranno curare l'attuazione del regolamento Reach nei rispettivi paesi che, per mettersi in regola, avranno tempo fino al… 2018! Rassegnatevi alla diossina nel piatto, dunque, nel frattempo Bruxelles avrà cura di controllare accuratamente che ognuno si mangi la propria.