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Buono e cattivo insieme: i ceti operai divorziano dalla tradizionale rappresentanza politica

di Gianfranco La Grassa - 01/04/2008

 
 

 

Un recente sondaggio, che sembra molto serio, ha rivelato una verità già in fondo nota: i gruppi o ceti operai (non parliamo per favore più di classe; del resto, nessuno ricorda più che cosa questo termine significhi realmente in termini marxisti) intendono votare in maggioranza per il centro-destra (il 47% per il Pdl, il 31% per il Pd e l'11% per la Sinistra Arcobaleno); se ci si riferisse solo al nord, troveremmo sicuramente una maggioranza assoluta. Un altro sondaggio, relativo ai “giovani” (immagino quelli che votano solo alla Camera), indica che anche la quota più consistente d'essi sceglierebbe lo stesso schieramento politico. In questo caso, molto interessante l'orientamento messo in risalto: la parte nettamente più numerosa dei giovani (anche di quelli che esprimono l'intenzione di votare a sinistra) non è entusiasta dell'attuale antimeritocrazia, del livellamento salariale e, perciò, della tendenza (tipica della sinistra) a non riconoscere la qualità del lavoro, l'impegno messo nella propria prestazione, ecc.

  La scelta di operai e giovani per il centro-destra è, innanzitutto, cattiva perché questa forza politica è particolarmente reazionaria in politica estera; un filo-americanismo e filo-israelismo veramente da forsennati, un servilismo senza se e senza ma. E' vero che poi, quando si tratta di problemi d'affari, bisogna ben dire che Berlusconi li ha più volte ampiamente affrontati con la Russia, dichiarandosi perfino “amico” di Putin; ma questo non cancella, ad esempio, le aspre campagne anticinesi (anche adesso sulla questione tibetana, sulla quale però, non dimentichiamolo, si schiera in posizione di stupida reazionarietà il fior fiore dei “piccolo-borghesi” ignoranti della “sinistra”, quella ottusamente buonista). In ogni caso, l'orientamento generale della destra è, lo ripeto, accesamente “filoatlantico”, tutto teso a dimostrare di essere il migliore stuoino su cui gli americani possano strusciarsi i piedi.

  Il centro-destra è anche però quello della precarietà del lavoro, ecc. Eppure, non sembra che operai e giovani si lascino impressionare da questi indirizzi. D'altra parte, a riprova dell'orientamento di quelli che lavorano realmente e rappresentano il futuro del paese (non invece un semplice “distaccamento di zombies”, particolarmente ampio in questo disastrato paese), gli stessi sondaggi sopra indicati segnalano come l'unico settore di lavoro dipendente (e di certi “specialismi professionali”), in cui il Pd sia in netta maggioranza, è quello dell'apparato pubblico, dove di fatto esiste massima garanzia contro i licenziamenti, il posto è “fisso” e i salari sono livellati (e i finanziamenti ad associazioni di incolta cultura e di peseudoricerca “dell'acqua calda” sono a pioggia e indifferenziati), indipendentemente dalle capacità e dai ritmi di lavoro (spesso fa ridere anche solo usare il termine “ritmi”). Sarebbe bene appurare meglio quindi se il tema del “posto fisso”, del “lavoro sicuro”, ecc. sia ancora enfatizzato, in specie dalle più giovani generazioni, come si continua a sostenere - non vorrei fosse solo per coazione a ripetere stereotipi - da parte del ceto politico-sindacale di sinistra. Quanto meno, c'è motivo di pensarci sopra un poco prima di continuare a blaterare come trent'anni fa. La netta sensazione è che questa sinistra (italiana in specie) viva tuttora nell'“era dei dinosauri”.

  In ogni caso, il lato buono dell'orientamento di operai e giovani, per quanto è emerso nei sondaggi di cui sopra, è che hanno capito di dover mandare a spasso la sinistra; e non solo la moderata (di gran lunga comunque la più votata tra le due) ma anche quella radicale, che si picca di essere la “rappresentante dei lavoratori”, di essere l'unica a coltivare il conflitto capitale/lavoro. Su questo conflitto sarà necessario riflettere un po' di più, anche tenendo conto che più di cent'anni fa Lenin parlava già di mentalità tradunionistica (cioè meramente sindacale) di quella che allora era ancora chiamata classe (e Lenin si riferiva soprattutto al caso inglese). Oggi si deve fare “un passino in più” e discutere di ceti lavoratori, soltanto interessati al conflitto sindacale in tutti i paesi del capitalismo sviluppato.

  In realtà, come le persone sensate pensavano da tempo, la sinistra (in particolare l'estrema) difende soprattutto ceti sociali, in qualche modo legati al settore pubblico, più sacche (ormai minime) di quello che - in società meno ricche di quelle odierne (nell'ottocento, ad esempio) - era il sottoproletariato disprezzato  e odiato da Marx. Oggi, in queste sacche, i miserabili sono una netta minoranza; gli altri sono i “signorini”, figli del ceto “piccolo-borghese” che si crede progressista e colto, vivendo quasi del tutto, direttamente o indirettamente, sui finanziamenti dello Stato assistenziale, i cui mezzi provengono dal salasso a carico di tutti quelli che sgobbano a ritmi lavorativi sempre più intensi. I padri sono con il Pd, i figli con il “movimento”.

  Va detto con estrema chiarezza che non si tratta di progressisti, ma di reazionari radicali; solo pieni di (finti) “buoni sentimenti”, cattocomunisti spesso senza nemmeno esserne consapevoli, gente esiziale che con il suo permissivismo e antimeritocrazia - indispensabili per vivere a sbafo su chi lavora e produce - ha creato una società marcia, pericolosa, sfatta, in effettiva decrescita. Si tratta di un cancro della società; e sono ancora tanti, purtroppo, anche per la vischiosità dell'ideologia (pur morta ormai da tanti anni, ma gli zombies restano a lungo). In ogni caso, la notizia che emergerebbe dai sondaggi è buona; sembra che i ceti popolari (e i giovani) inizino ad accorgersi di quanto nefasti siano i reazionari di “sinistra”. Nell'attuale frangente sono i più pericolosi; rischiano di trascinarci verso quella strada che, mutatis mutandis, fu del “socialismo reale”.

  Non è qui possibile affrontare un argomento come quest'ultimo; anche per formulare solo poche ipotesi in merito, sarebbero necessarie molte pagine (che andrebbero dunque inserite nel sito). Resta il fatto che - un po' per la già indicata vischiosità di certe ideologie, un po' per il predominio che in questo paese esercitano settori finanziari e industriali, sia arretrati e parassitari che subordinati agli Usa - esiste in Italia un ammasso piuttosto ampio di “gruppazzi” sociali che vivono o di vera rendita finanziaria (non quella dei Bot ed obbligazioni che i sinistri vogliono tassare per alimentare l'attuale vasto parassitismo politico-finanziario) o di lavoro “pubblico” (o finanziato dal “pubblico”), dove si fatica molto meno della metà rispetto al lavoro autonomo o a quello dipendente del “privato”.

  Non allungo il discorso per indicare gli altri difetti di questa sinistra, ancora troppo numerosa: in particolare il suo preteso buonismo (che non è bontà, ma vera cattiveria, perfida e ipocrita) e il permissivismo, ultima spiaggia per creare un tale caos e dissesto sociali da consentire ai parassiti di sguazzarvi con perfetto adattamento, mentre si trovano in grossa difficoltà tutti quelli che intendono impegnarsi seriamente nel loro lavoro. Quindi, se i sondaggi di cui si sta parlando indicassero tendenze reali (non ne sono sicuro, non voglio essere troppo ottimista), si tratterebbe di un buon segnale per il futuro, magari non vicinissimo. In ogni caso, la prima forza politica da abbattere è proprio la sinistra (ripeto: in tutti i suoi settori), vera diga che si oppone all'ammodernamento del paese e all'efficacia di una politica a ciò indirizzata.

  Dopo resterebbe sempre la destra, la cui politica estera - di totale servilismo al monocentrismo statunitense - è pessima e deleteria per l'Italia, e per l'intera area europea. Anche in politica interna, essa non sarà minimamente in grado di affrontare la crisi che avanza; e non mi riferisco tanto a quella economico-finanziaria che si profila all'orizzonte, quanto al complesso della situazione critica che verrà a crearsi con la prossima entrata nel policentrismo (cui la destra appunto si oppone assieme agli Usa; ma questo servilismo si riflette anche all'interno, sulla nostra economia, sulle nostre strutture sociali). Tuttavia, il primo passo da compiere sarebbe (il condizionale è d'obbligo in un paese dell'area europea, uno dei più arretrati politicamente) quello di almeno combattere e sbattere “fuori della Storia” una sinistra, che risente ancora di alcuni sintomi della malattia denominata “socialismo reale”. Poi si dovrebbe riprendere, con una politica tutt'affatto diversa e radicale, l'attacco al centro-destra attuale.

  E' del tutto sintomatico che, ancora adesso, Corriere e Stampa (de La Repubblica è perfino inutile parlare, è quasi come L'Unità) appoggino toto corde il Pd; a dimostrazione che, in Italia, il blocco sociale dominante (a somiglianza, mutatis mutandis, di quello esistente in Urss; prima o poi ne parleremo) è costituito: da una parte, dal capitalismo “maturo”, quello tipico della precedente fase dell'industrializzazione (metalmeccanico, ecc.) - assistito con ampi finanziamenti (diretti e indiretti) dal settore “pubblico” (statale, regionale, enti locali ecc.) - unito ad una finanza che si subordina ai fini strategici del paese predominante; dall'altra, dai vertici di “apparati ideologici di Stato” quali i sindacati, che controllano quote sempre meno ampie di lavoratori dipendenti (e con oltre il 50% di pensionati fra gli iscritti, a loro volta una parte sempre minore dei lavoratori in questione). Tuttavia, questi sindacati, foraggiati ampiamente dallo Stato (e con le mani in pasta in non so quanti istituti pubblici, a partire dagli Enti previdenziali), hanno ancora la possibilità di portare “in manifestazione” una massa di individui (di età media sempre maggiore).

  Come ben si sa, 2+2=4. Bene: il “2+2” è precisamente l'alleanza (assomigliante a quella del “socialismo reale”, se si supera la stupida contrapposizione, meramente ideologica, tra pubblico e privato) della GFeID (grande finanza e industria decotta) con i ceti operai (quelli minoritari, sindacalizzati e pensionati); alleanza di cui sono simbolo espressivo le candidature nel Pd di Colaninno e Calearo, da una parte, e dell'operaio sopravvissuto al rogo Thiessen-Krupp, dall'altra. Il “=4” è precisamente l'acceso filo-americanismo (e filo-sionismo) della destra, che la sinistra - sempre meno del resto - può mascherare, ponendo semplicemente la base di questa subordinazione alla potenza centrale (base costituita appunto dall'alleanza tra la presunta “Classe”, cioè i corrottissimi e putrefatti vertici sindacali, e la GFeID), mentre la destra vi costruisce poi sopra la più smaccata sovrastruttura politica e ideologica.

  Abbiamo anche qui, insomma, il solito “gioco degli specchi” (o, se preferite, la “divisione delle parti in commedia”) tra uno schieramento e l'altro. Qualche volta, lo smascheramento della sinistra è completo, come quando D'Alema aggredì la Jugoslavia quale supino e particolarmente disgustoso “valletto” di Clinton. Poi, però, l'inganno riprende; il solito D'Alema si fa magari fotografare a braccetto con un Hezbollah (nel mentre il suo entourage fa ridicolmente trapelare un “bye-bye Condy” al telefono con la Rice), e allora la destra si scatena in tutto il suo razzismo antiarabo e il suo viscido strisciare ai piedi di Usa e Israele (e candida la Nirenstein; peccato non sia riuscita a reclutare Allam; nel prossimo Parlamento si sarebbe così fatto l'en plein dei “mostri”, ma comunque ce ne sarà una bella schiera!).

  Non partecipiamo dunque a queste continue “messe in scena” di un gioco meschino e ignobile; non mi stancherò però di ripetere che bisogna, innanzitutto, sgombrare il campo dalla “sinistra”, una palla di piombo al piede, un vero ritardo nel prendere coscienza dei compiti che spetterebbero ad una forza politica che capisca infine in quale fase storica ci stiamo addentrando. I sondaggi sui ceti popolari (gli “operai”) e i giovani sembrano dare un (assai timido) segnale di uscita dal tunnel di questa infame sinistra. Non enfatizzerei però tale segnale; è ancora poco. Il lavoro da fare è grande, giacché la maggior parte della “gente” è comunque ancora invischiata in questo giochetto del contrasto tra destra e sinistra. Bisogna spaccare “gli specchi”; e il primo deve essere quello chiamato “sinistra”, quello che più deforma le immagini, che più presenta graffiature di tale larghezza e lunghezza da nascondere in parte la laida immagine di queste cosche della GFeID (con i vari media a disposizione), e dei loro scherani politici più fidati e sdraiati ai loro piedi. Abbattiamo la sinistra e poniamo in piena visibilità la laida immagine in questione, che è poi, in ultima analisi, quella del predominante capitalismo yankee! La destra non nasconde né deforma questa immagine; la sinistra, almeno in parte, si!!