Cara Delfina,

non so se la campagna elettorale in corso susciti in te un minimo d’interesse, o se la sera, davanti alla grande stufa che scalda il tuo soggiorno, preferisci sprofondare nella lettura di un libro invece di perdere tempo sfogliando un giornale, dato che l’alternativa di abbioccarti davanti alla televisione non l’hai mai presa in considerazione. Così ogni anno ti tocca sorbire una serie di lettere con cui la Rai tra blandizie e minacce ti comunica di aver scoperto che non paghi il canone e ti suggerisce di regolarizzare la tua posizione, se non vuoi subire le ispezioni previste da qualche regio decreto aggiornato e inasprito dalla legislazione repubblicana. Senza maggiorazioni prima della scadenza e con una piccola soprattassa dopo. Lettere che vanno regolarmente ad alimentare, per poco che sia, la fiamma della tua stufa, perché ti sei stancata di crocettare cartoline di risposta pre-stampate in cui tra le possibili cause del mancato pagamento non è contemplata la volontaria rinuncia alla splendida opportunità di lasciarsi rimbecillire da un bombardamento pubblicitario di automobili intervallato da spezzoni di banalità e idiozie.

Così non so se hai potuto sentire lo slogan con cui il fior fiore dell’intelligenza radunato attorno a sé dal candidato premier del partito democratico ha caratterizzato l’impostazione della sua politica ambientale: l’ambientalismo del fare. Che rappresenta un’innovazione del precedente slogan: l’ambientalismo del sì. In quel consesso pare che l’innovazione sia una sorta di necessità interiore. Più che un imperativo morale, la contrazione di un muscolo involontario come la peristalsi intestinale. Sicuramente da bambina ti hanno insegnato che ogni giorno occorre fare almeno un fioretto. Per essere inseriti nel gruppo dirigente del partito democratico occorre invece documentare di saper concepire almeno un pensiero innovativo al giorno. Comunque l’innovazione quanno ce vo’ ce vo’, direbbero a Roma, e in quel caso ce voleva, perché autodefinirsi ambientalisti del sì autorizzava a pensare che lo fossero a prescindere, avrebbe detto il mio illustre omonimo. Insomma delle marionette che a ogni proposta, prima ancora che venisse formulata, dicessero sì automaticamente, per definizione.

Io che non sono mai riuscito a diventare saggio come te, la televisione la guardo, anche se mi vergogno a dirtelo e, che lo voglia o no, la campagna elettorale me la devo sorbire perché è l’argomento a cui i telegiornali e i talk show (gli spettacoli-chiacchiere, pensa che spettacoli) dedicano più spazio. E così una sera in mezzo al profluvio delle parole è saltato fuori l’ambientalismo del fare, un’idea-forza contrapposta concettualmente all’ambientalismo del non fare che, secondo il fior fiore dell’intelligenza di cui sopra, caratterizzerebbe la politica della sinistra radicale e dei movimenti di opposizione alla realizzazione delle grandi opere. Mio figlio Gennarino che, come sai, ha appena compiuto sei anni, stava mangiando un piatto di maccheroni. Me la rivedo ancora la scena di quando ha sentito dire l’ambientalismo del fare. Ha alzato la testa dal piatto con le guance impiastricciate di sugo e ha detto soltanto: «Fare che cosa?».

Vabbè che, come dice sua madre, un’intelligenza come quella di Gennarino nostro è difficile da trovare e pochi arrivano a capire le cose con la sua stessa velocità, ma sai che m’ha fatto riflettere pure a me che sono suo padre? Ambientalismo del fare. Del fare cosa? Perché non tutto il fare è ambientalista. Qualche fare che rovina gli ambienti ci sarà pure. Ma se l’ambientalismo del fare lo coniughi con il cambiamento e l’innovazione, che sono il sole dell’avvenire (no, non come l’intendevano i vecchi socialisti, il sole a cui fanno riferimento gli ambientalisti del fare è il fotovoltaico, senza dimenticare il gas e il carbone, pulito però), ogni volta che si fa qualcosa d’innovativo si fa qualcosa d’ambientalista. Guarda il sindaco di Firenze. Secondo lui i promotori del referendum contro i jumbo tram che fanno la rasetta al Battistero sono dei conservatori contrari all’innovazione e al cambiamento. E chi è conservatore sta col vecchio e si oppone al nuovo. E il tram inquina meno delle automobili e degli autobus. E gli inceneritori sono una tecnologia moderna che inquina meno delle discariche.

Tu, forse, Delfina non sei così intelligente come Gennarino, ma cosa diresti a chi ti domandasse se dal punto di vista nutrizionale è meglio il digiuno o il veleno? Gennarino direbbe che è meglio un piatto di maccheroni al sugo di pomodoro e tu diresti lo stesso. Perché il digiuno e il veleno non sono le uniche alternative nutrizionali. Gennarino direbbe che tra le discariche e gli inceneritori è meglio la raccolta differenziata, che intorno al Battistero si può proibire la circolazione della automobili senza snaturare l’urbanistica rinascimentale con l’inserimento di un supertram, ma creando una zona pedonale come si è fatto in tanti altri centri storici di città europee meno significative artisticamente e architettonicamente. A piedi! Ma ti va di scherzare? Andare a piedi è un tale ritorno al passato che per sostenerlo non basta essere conservatori, bisogna essere reazionari. E se si va a piedi non bisogna fare nulla. Non si innova e il pil non cresce. Allora che senso ha l’ambientalismo del fare?

Quando ho fatto il militare a Cuneo e la domenica venivo a pranzo da voi, la buon’anima di tua madre tra gli agnolotti e il brasato ci raccomandava sempre di agire bene, di fare bene. A questi la connotazione qualitativa del fare non gli passa manco p’a capa. Basta fare. Una volta un famoso regista gli gridò di dire qualcosa di sinistra. Io non so cosa significhi dire qualcosa di sinistra e se lo sapessi forse non mi piacerebbe. Il consiglio che gli darei è di dire qualcosa, non pretendo d’intelligente perché non sono come a Gennarino mio, ma almeno di sensato.

Nel ricordo di mammà e della sua saggezza, ti abbraccio

tuo Totò