Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Yukio Mishima, il "samurai del ventesimo secolo"

Yukio Mishima, il "samurai del ventesimo secolo"

di Luigi Carlo Schiavone - 01/04/2008

 

 
Yukio Mishima, il



“In tempo di pace il guerriero si scaglia contro sé stesso”, questo breve ma significativo aforisma contenuto nell’opera nietzschiana Al di là del bene e del male può, a mio parere, essere considerato come la più esaustiva sintesi in cui racchiudere la vita del romanziere geniale nonché “samurai” Yukio Mishima, che fece del Giappone e della difesa del suo retaggio culturale l’obiettivo della propria esistenza.
Nato il 14 gennaio 1925, anno XIV dell’epoca Taisho, a Tokyo nel quartiere Yotsuya, da Azusa, alto funzionario del ministero dell’Agricoltura, e da Shizue, secondogenita di un professore di lettere, Kimitake Hiraoka (vero nome di Yukio Mishima) sembrava a prima vista un bambino fragile, cosa che mai avrebbe fatto presagire il suo ardimentoso futuro. Figura di spicco nella formazione di Kimitake fu la nonna paterna Natsuko, discendente di una stirpe di guerrieri e nipote di Naomune Nagai ministro degli Esteri e della Marina nel governo feudale dei Togukawa, che oltre ad esercitare una vasta influenza sul nipote lo avvicinò al teatro Kabuki designandolo suo accompagnatore alle rappresentazioni cui era solito recarsi.
Nel 1931 il giovane Hiraoka venne ammesso alla scuola elementare del prestigioso istituto Gakushuin frequentato dai rampolli dell’alta borghesia e della aristocrazia giapponese. Deriso per la scarsa prestanza fisica, che non gli permetteva di sopportare degnamente le ferree e secolari regole spartane su cui si reggeva l’istituto, e per le sue origini, il giovane Kimitake decise di concentrare tutto il suo impegno nello studio e, sotto consiglio della madre, iniziò a scrivere poesie ben presto raccolte nel giornale studentesco Kozakura (Piccolo ciliegio).
Il 1944 risultò essere per Yukio Mishima un anno denso di significato: nel maggio, infatti, venne dichiarato idoneo al servizio militare e nel settembre ottenne la licenza liceale con il massimo dei voti, cosa che gli fruì, tra l’altro, il premio dell’Imperatore, rappresentato da un orologio d’argento, e la rivalsa verso coloro che l’avevano negli anni deriso. Quest’idillio, però, non era destinato a durare; nel febbraio del 1945 si sottopose alla visita per l’arruolamento e a causa di un sospetto di tubercolosi venne dichiarato inabile al servizio militare, non potendo così seguire i suoi amici sul campo di battaglia e tentar con loro di ottenere quella che i giapponesi consideravano la più onorevole delle dipartite. Questo rifiuto, inaccettabile per un giovane cresciuto all’ombra dei samurai, rappresentò una tappa fondamentale per la vita di Yukio Mishima; l’impossibilità di fornire un servizio attivo alla patria in un momento cruciale della guerra, infatti, portò Mishima a considerare per la prima volta l’ipotesi del suicidio, destinata a divenire una costante della sua esistenza, supportata dalla redazione di un opportuno testamento.
Superata la crisi dovuta al mancato arruolamento, Yukio Mishima si trovò, al pari di tutti gli altri giapponesi, a vivere l’amara esperienza della sconfitta; la resa del Giappone, firmata il 2 settembre del 1945, rappresentò l’inizio di una nuova storia per il paese del Sol Levante, la cui prima pagina può essere ritrovata nell’abiura pubblica dell’Imperatore Hirohito, nel gennaio del 1946, della sua origine divina. Per la maggior parte dei giapponesi una simile affermazione, che metteva in discussione la discendenza del Mikado dalla dea del sole Amaterasu e che lo rendeva, di fatto, uguale a tutti gli altri uomini, era da considerarsi inaccettabile; tra di loro si colloca anche Yukio Mishima e non è inesatto collegare a tale evento, il sorgere nel suo animo delle prime tendenze antimoderniste e antiamericane collegate alla volontà di una riscoperta delle antiche radici spirituali del Giappone. Nel 1955, infatti, mentre la sua produzione letteraria, che lo portò ad essere considerato, nel 1970, come “l’Hemingway giapponese”, cresceva vistosamente al pari della sua fama, Yukio Mishima iniziò ad adoprarsi per dare finalmente il via ad una nuova fase della sua vita. L’inizio della pratica del body building e della boxe per rafforzare quel corpo fragile che non gli aveva permesso di andare in guerra si collegarono di lì a tre anni alla volontà di contrarre matrimonio con Yoko Sugiyama, da cui ebbe due figli.
Consapevole della scarsa considerazione di cui godevano le arti marziali, soprattutto a causa dell’assenza di spiritualità che aveva accompagnato il loro affermarsi nei Paesi Occidentali, Mishima decise di perseguire questa strada nella consapevolezza che in esse si realizzasse il vero spirito dell’Hagakure. In una condizione che lo vedeva costantemente diviso tra Oriente e Occidente (Mishima, infatti, abitava in una casa coloniale circondato da oggetti occidentali e vestiva all’europea) egli cercò, attraverso il Kendo e il rispetto dei suoi principi di gerarchia, abnegazione, disciplina, generosità e lealtà, di giungere a quell’ideale di perfezione tipico della Via della Spada che per molti secoli aveva guidato la vita dei samurai, trasformandoli in una macchina da guerra invincibile.
Ottenuto in dieci anni il grado di quinto Dan decise di dedicarsi anche al Karate e allo Iai-do, l’antica arte di estrazione della spada giapponese. Proprio per non relegare questa pratica all’azione individuale, Mishima tentò di infondere questa volontà di rinascita alle forze armate. Nel 1968, decise di partecipare a diverse esercitazioni dell’Esercito Nazionale, destreggiandosi anche nella guida di carri armati. Fu in quest’anno, inoltre, che, dopo essersi reso conto che le sue idee erano invise agli altri gradi militari, Mishima decise, insieme ad altri giovani conosciuti al corso di Karate e che condividevano le sue idee in merito al ritorno dei poteri nelle mani del Mikado, di dar vita al Tate-no-Kai (Associazioni degli Scudi), la cui istituzione venne formalizzata con una cerimonia il 5 ottobre dello stesso anno.
Il Tate-no-Kai può esser considerato, in sostanza, come l’ultimo tentativo di Yukio Mishima di infondere nuovamente nel Giappone il suo antico spirito guerriero dando dimostrazione pratica di quanto nel corso degli anni aveva tentato di trasmettere attraverso le sue opere letterarie e le rappresentazioni teatrali delle sue compagnie. Nel 1970, infatti, fedele alla sua immagine di eroe romantico, decise di fornire un epilogo tragico alla sua esistenza perseguendo la strada della morte più onorevole, come descritto nell’Hagakure, come monito per il Giappone moderno ormai avviato sulla strada della decadenza. Dirà, infatti, Mishima parlando dell’Hagakure “Ho scoperto che la via del samurai è la morte […] Per essere un perfetto samurai, è necessario prepararsi alla morte dal mattino alla sera, giorno dopo giorno” .
Il 25 novembre, infatti, pochi giorni dopo aver ricevuto gli ultimi premi della sua carriera, il “samurai del ventesimo secolo” decise, insieme ai suoi quattro più fidati cadetti con cui s’era fatto immortalare in una foto il 19 ottobre, di occupare il quartiere generale Ichigaya. Dopo aver sequestrato il generale Mashita riuscirono ad ottenere che alla lettura del proclama redatto da Mishima partecipassero, oltre ai giornalisti, anche i militari. Il testo invitava i membri dell’Esercito a sollevarsi permettendo allo spirito nipponico di rialzarsi e di infondere, grazie alle sue tradizioni e combattività, nuova dignità al Giappone, sconfitto e umiliato nella Seconda Guerra Mondiale, e ridonando così all’Imperatore il suo legittimo ruolo. Deriso dall’assise accorsa all’evento, Mishima rientrò nell’ufficio per prepararsi al seppuku. Assunta la posizione rituale del seiza, prese la spada corta e fece harakiri, procurandosi un taglio all’addome secondo la tradizione dei samurai. Kaishaku, ossia colui che gli doveva tagliare la testa di netto per lenire le pene dell’harakiri fu nominato Morita, suo allievo più fidato nonché presunto amante. Costui dopo aver sbagliato, per tre volte, il taglio della testa lasciò a Koga, altro adepto, il compito di completare il rituale.
“Non posso continuare a nutrire speranze per il Giappone futuro. Ogni giorno si acuisce in me la certezza che, se nulla cambierà, il “Giappone” è destinato a scomparire. Al suo posto rimarrà, in un lembo dell’Asia estremo-orientale, un grande paese produttore, inorganico, vuoto, neutrale e neutro, prospero e cauto. Con quanti ritengono che questo sia tollerabile, io non intendo parlare”; queste parole, segno della volontà di un uomo non disposto a piegarsi al tentativo livellatore dei vincitori che mira grazie “[…]alle abitudini di stile americano che si sono ovunque diffuse” ad eliminare ogni specificità nazionale, oltre a fornirci l’impressione di vivere in un tempo dove la vasta libertà e gli estesi diritti individuali mascherano il vero volto di un’epoca più oscurantista di altre, devono porsi quale giusto monito per quanti hanno la consapevolezza che una corretta visione della propria storia è fondamentale per creare un robusto “trampolino di lancio” su cui una nazione può contare per affrontare il futuro in maniera adeguata. Un concetto questo che trova nell’esempio di uomini come Yukio Mishima validi fondamenti.