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Signoraggio e medio-oriente: la causa della guerra?

di Manuel Zanarini - 02/04/2008

 

 

Come tutti sanno dal Marzo 2003 gli Stati Uniti ed i loro alleati sono impegnati nella sanguinosa guerra “preventiva” in Iraq. Altrettanto di dominio pubblico sono le giustificazioni che Bush ha usato per giustificarla: armi di distruzione di massa, che ovviamente non c’erano.

Dopo 5 anni di massacri ed insuccessi la storia sembra ripetersi , stavolta con l’Iran e la scusa, sempre più ridicola, è sempre quella di armi nucleari pericolosissime. Anche stavolta il pericolo non esiste, l’ha ammesso anche l’ONU. Cosa c’è veramente dietro questo accanimento USA contro i due paesi mussulmani? Normalmente si dice che la causa scatenante sia il controllo dei pozzi di petrolio. In realtà c’è molto di più, ma per capire meglio, dobbiamo parlare nuovamente di “moneta”.

Come abbiamo già scritto più volte, dopo gli accordi di Bretton Woods, il dollaro era rimasto l’unica moneta con copertura aurea. Questo garantiva agli investitori stranieri, sia privati che pubblici, una forte stabilità; infatti questo sistema impediva ai vari governi di adottare politiche finanziare troppo spregiudicate, quindi metteva un freno al debito pubblico, che comportassero un’emissione di denaro eccedente le riserve d’oro.

I problemi sorsero con il passare della “guerra fredda” e delle ingenti risorse finanziarie che comportava, si pensi alla guerra del Vietnam tanto per fare un esempio.

Così nel 1971 il Presidente Nixon decise di passare ad un sistema basato sul “dinamic money”. Il denaro non ha più nessun tipo di copertura “reale”, ma è basato solo sulla fiducia nelle infrastrutture dello Stato emittente; sostanzialmente sulla fiducia dei creditori che la moneta rappresenti un valore concreto.

Dato particolarmente importante è che nello stesso periodo il dollaro è anche diventata di fatto l’unica moneta accettata per acquistare il petrolio.

Infatti, il Governo di Washington, grazie alla Federal Reserve, poteva stampare migliaia di miliardi di dollari, adesso senza bisogno di alcuna copertura, coi quali comprava il petrolio dagli Stati appartenenti all’ OPEC ,l’organizzazione che raggruppa i paesi principali produttori di petrolio (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi, Iraq, Iran, Venezuela, Libia, Nigeria, Qatar, Algeria, Indonesia), i quali in cambio di aiuti militari ma soprattutto di tassi d’interesse elevatissimi li riversavano nelle banche di New York, facendo rientrare dalla finestra quello che usciva dalla porta.

Così facendo la Banca Centrale americana guadagnava miliardi e miliardi di signoraggio, i Paesi dell’OPEC avevano utili paurosi grazie ai tassi super convenienti, le banche commerciali newyorchesi muovevano una massa impressionante di soldi e Washington aveva il controllo politico su moltissimi paesi sparsi per il Mondo. Ovviamente a questi “signori” poco importa se a farne le spese erano i poveri cittadini da un lato del globo strangolati da tassi astronomici e dall’altro schiavi del nuovo imperialismo a stelle e strisce.

Nella stessa situazione si trovano i paesi terzi bisognosi di petrolio. Se la nazione “x”  ha necessità di petrolio e lo acquista dall’OPEC,  deve prima acquistare dollari dagli Usa perché il petrolio si compera solo in dollari e per fare questo cede agli Usa beni come auto, macchinari ecc.. Gli Usa non  fanno altro che emettere dollari e li danno alla nazione “x” in cambio  delle  merci, quindi l’OPEC riceve dollari da “x”  per il petrolio. E il giro ricomincia.

Come se non bastasse, controllando il mercato del petrolio, il dollaro era diventata anche la moneta del commercio internazionale. Quindi le banche centrali di moltissimi paesi erano costrette ad acquistare dollari per pagare il proprio debito estero e difendersi da eventuali attacchi speculativi sulla propria moneta nazionale, facendo ripartire il giochino.

Il risultato è che se nel 1971 l’oro  rappresentava  almeno il 50% delle riserve finanziarie mondiali, oggi al 95% è il dollaro, trasformando la divisa americana in “riserva” mondiale del denaro.

Oggi, però, il debito pubblico estero statunitense è fuori controllo e unito allo scoppio della bolla immobiliare sta facendo storcere la bocca ai ricchi venditori di petrolio. Tanto più che la Federal Reserve, per ridare fiato al mercato borsistico, si è vista costretta a tagliare i tassi, fino a 125 punti base, facendo così calare anche i guadagni sui “petroldollari” arabi, si parla di circa 1.000 miliardi di dollari d’investimenti in buoni del tesoro e titoli vari, creando instabilità ed insicurezza.

A questo si aggiunga la situazione dell’Euro. Oltre ad essersi notevolmente rivalutato sul dollaro, diventando una moneta molte forte, all’interno della UE esistono accordi che fanno sì che il debito pubblico di uno Stato non debba superare il 3% rispetto al PIL, cosa che agli occhi degli investitori arabi tranquillizza molto.

A questo punto, diversi sceicchi e ministri delle finanze si sono lamentati per la caduta del dollaro e hanno minacciato di rompere con la famosa «indicizzazione con il dollaro» e di optare per un paniere di divise monetarie. Se questo dovesse succedere, la già provata economia a stelle e strisce subirebbe un colpo probabilmente mortale. Infatti il dollaro non sarebbe più la riserva monetaria globale, Washington dovrebbe pensare di risanare il proprio debito estero e perderebbe il controllo politico del Medio Oriente, la banca centrale perderebbe i guadagni del signoraggio e le banca d’investimenti di Wall Strett vedrebbero migliaia di miliardi di petroldollari uscire dai propri forzieri destinazione Bruxelles.

Come si ricollegano queste valutazioni con l’Iraq e l’Iran?

Nell’ottobre del 2000 Saddam prese la decisione di convertire in euro il fondo  che l’Iraq aveva presso l’Onu come finanziamento per acquistare cibo in cambio di petrolio (Oil for Food). Numerosi furono i problemi durante la gestione di questo fondo, molti gli scandali che  videro coinvolti funzionari delle Nazioni Unite, ma il detonatore contro il dollaro era stato innescato, attraverso un conto aperto presso la banca francese Bnp Paribas in euro, l’Iraq di fatto convogliava i soldi ricavati  dalla vendita del petrolio,dal fondo Onu alla banca francese creando così i primi “petroeuro”. Appena invasa Baghdad, gli USA si affrettarono a far chiudere il fondo e cambiare gli euro ancora una volta in dollari.

Circa un anno dopo ci furono gli “attentati” dell’ 11 Settembre e poi l’invasione dell’Iraq!

Per quanto riguarda l’Iran, la minaccia all’ “impero” dello Zio Sam è ancora virtuale, quindi gli attacchi sono solo economici, per ora! (si veda l’articolo sulla FinCEN a riguardo).

Durante la campagna elettorale presidenziale del 2005, Ahmadinejad annunciò che se fosse stato eletto avrebbe dato vita ad una nuova borsa degli idrocarburi iraniana.

 Già dal 2007, l’Iran ha iniziato ad accettare il pagamento in yen delle forniture petrolifere da parte del Giappone.

 Da dicembre scorso, Teheran ha annunciato che in futuro avrebbe accettato pagamenti in altre monete che non fossero il dollaro statunitense, suscitando entusiastiche reazioni da parte di molti Paesi: Venezuela e Norvegia hanno già annunciato di essere disposte a passare all’euro, con la Russia il governo di Teheran sta già trattando per utilizzare il rublo ( “Russia e Iran sono due dei più grandi produttori mondiali di energia dovrebbero incoraggiare l'impiego di valute diverse dal dollaro per i loro scambi di gas e petrolio così da liberare il mondo dalla schiavitù del dollaro”, dichiarazione dell’ambasciatore iraniano in Russia), e sono avviate trattative con Qatar ed Emirati Arabi per usare il “ryal” (moneta nazionale iraniana).

Come se non bastasse tutto questo per irritare Bush, il 17 Febbraio, sull’isola di Kirsh, è stata inaugurata la “Iranian International Petroleum Exchang”, la promessa borsa iraniana. I proprietari azionisti sono la National Iranian Oil Refing and Distribution, la National Iranian Oil, l’Iran Oil Industry Pension ad Deposit Fund, la Theran Stock Exchange, la Mostazafan Foundation e la Kish Free Zone, ciò darebbe all’Iran il controllo totale sull’operazione, ponendosi in alternativa alle due piazze che ora hanno il monopolio sulla vendita dell’oro nero: la International Petroleum Exchange di Londra e la statunitense New York Mercantile Exchange, entrambe controllate da capitale Usa. Per il momento i prodotti del Ministero Iraniano del Petrolio saranno commerciati nella borsa in due forme, tramite la borsa del petrolio greggio e la borsa dei prodotti del petroliferi e petrolchimici, e come moneta verrà utilizzata il “ryal”.

I vantaggi di questa svolta epocale sono evidenti: i paesi produttori si libererebbero dai guadagni speculativi degli intermediari e riacquisterebbero indipendenza politica, mentre ai paesi importatori conviene usare altre monete più forti e che comunque non li costringono a passare da New York (lo dimostra il fatto che le banche centrali dei loro rispettivi paesi stanno già differenziando le loro riserve).

Se fino ad oggi la potenza economico-militare di Washington ha costretto tanti paesi alla sudditanza, ovviamente con l’Italia in prima fila, oggi esistono gli strumenti per riacquistare la libertà.

Siamo sicuri che scegliere tra Berlusconi e Veltroni possa essere utile alla causa della libertà?