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Iraq, In una strada di Baghdad, la disperazione è palpabile

di Sudarsan Raghavan - 02/04/2008


 
Domenica sera le granate di mortaio hanno attraversato il cielo e squarciato il tetto di lamiera ondulata del negozio di barbiere, mandando in frantumi muri di mattoni, distruggendo travi, e rovesciando sedie in pelle. La strada all’esterno era coperta di fumo, macerie, e vetri.

Abu Ghadir aveva la camicia macchiata di sangue. Aveva tirato fuori dalle macerie un ragazzo che era venuto a tagliarsi i capelli ma aveva era invece stato riempito di schegge. Venti minuti più tardi, dopo che un’ambulanza lo aveva portato via, Abu Ghadir faceva fatica a capire.

“Una settimana fa si viveva bene”, dice. “Adesso nessuno sa cosa succederà”.

Per gli iracheni, gli scontri estesi della settimana che è trascorsa hanno messo a nudo la fragilità del loro Paese. Dopo mesi di calma relativa e di violenza che stava diminuendo, in molti si chiudevano di nuovo dentro le proprie case e negozi, mentre miliziani sciiti combattevano le forze Usa e quelle irachene. Il coprifuoco limitava i loro movimenti, e tuttavia ancora non riuscivano a sfuggire al fuoco dei missili e dei mortai.

A Baghdad, nel quartiere di Karrada, domenica [ieri] la disperazione era palpabile. Nei vicoli e davanti ai negozi la gente parlava della propria frustrazione e della propria paura, e delle politiche sbagliate che incolpavano di avere mandato in malora l'Iraq. Molti dicevano di essere preoccupati non del conflitto confessionale ma della guerra che stava scoppiando all'improvviso proprio nella loro comunità.

Karrada, una enclave prevalentemente sciita che è considerata una delle zone più sicure della capitale, è una roccaforte del partito Da’wa del Primo Ministro Nuri al Maliki e del Consiglio Supremo islamico iracheno, un potente partito sciita che fa parte della coalizione di governo. Tuttavia, qui molti sciiti dicevano che l’offensiva del governo contro la città portuale di Bassora, che ha innescato la violenza in tutto il sud dell’Iraq e a Baghdad, mostra che ai politici importa più distruggere totalmente i rivali che occuparsi delle necessità dei loro elettori.

“Ogni partito politico vuole controllare la situazione ed essere al vertice”, diceva Adnan Radhi, 60 anni, un dipendente comunale di Baghdad. “Ed è la gente a pagare il prezzo”.

Domenica [ieri], poco prima di mezzogiorno, Radhi e due amici erano seduti in un vicolo sudicio nei pressi della principale strada commerciale di Karrada. La gente passava portando buste di pane, e alcune vecchie mendicavano chiedendo cibo. Era in atto un divieto di circolazione di 24 ore, che lasciava nelle strade solo i veicoli della polizia. Ovunque c’erano cumuli di immondizia.

Pochi minuti prima, un colpo di mortaio aveva tuonato nelle vicinanze. Nell’ultima settimana, tutti e tre gli uomini avevano sperimentato da vicino gli attacchi a colpi di mortaio.

Radhi aveva espresso dubbi sul perché Maliki avesse lanciato l’offensiva di Bassora. C’erano così tante altre priorità, diceva.

“Ci avevano promesso aumenti di stipendi e pensioni. Erano tutte bugie”, diceva, mentre gli amici annuivano. “C’è fame ovunque. Niente elettricità, niente acqua, niente gas, niente kerosene. Sono solo promesse, nessuna azione”.

Ha fatto una pausa, sospirando: “Ora c’è una crisi”.

Nell’ultima settimana gli attacchi contro Karrada sono aumentati. L’Esercito del Mahdi, fedele all’esponente religioso sciita Muqtada al Sadr, principale rivale di Maliki e del Consiglio Supremo, ha sparato colpi di mortaio e missili contro la Green Zone, dall’altra parte del Tigri. Ma molte granate e missili hanno colpito anche Karrada, una enclave piena di manifesti di Abdul Aziz al Hakim, il leader del Consiglio Supremo. I seguaci di Sadr dicono che i loro rivali stanno cercando di indebolirli politicamente in vista delle elezioni provinciali che si terranno più in là quest'anno.

E così, inevitabilmente, la conversazione è passata alla politica e al conflitto.

“Ha avuto fretta”, diceva Radhi, riferendosi alla decisione di Maliki di lanciare l’offensiva la settimana scorsa. “Si sarebbe dovuto sedere a un tavolo e negoziare, e risolvere la crisi”.

“E’ tutto per il petrolio di Bassora”, diceva Muthanna Hadhi, 46 anni, che vende verdura.

“Quattro giorni fa, un colpo di mortaio ha ucciso una ragazzina qui vicino”, diceva Ahmed Mahmud, 45 anni, un pescivendolo.

Radhi ascoltava i suoi amici. Per tutta la settimana li aveva sentiti lamentarsi. Si è alzato, ha detto arrivederci, e se n’è andato, passando davanti a due carretti vuoti.

I carretti appartenevano a Hadhi e a Mahmud. Da una settimana non andavano ai mercati generali a causa delle battaglie nei distretti sciiti di Baghdad.

“Non possiamo lasciare Karrada”, diceva Hadhi, un uomo magro con una barbetta.

I mercati sono nel quartiere di Dora, un tempo un rifugio per gli estremisti sunniti, spiegava. Un anno fa, gli sciiti come lui avevano paura ad andarci. Ora lui ha paura di andare in determinate zone sciite, dove essere percepiti come parte del partito politico sbagliato può portare alla morte. “Adesso Dora è più sicuro dei quartieri sciiti”, diceva.

Il coprifuoco imposto venerdì [tre giorni fa] sarebbe dovuto finire la mattina di domenica [ieri mattina]. Hadhi si era svegliato alle 5 del mattino per andare ai mercati generali. Ma, mentre cercava di uscire da Karrada, un poliziotto lo aveva fermato e gli aveva detto che il coprifuoco era stato prorogato. “Ero così frustrato”, dice l’uomo.

“Quando impongono un coprifuoco, questo mostra che non c’è un governo efficace”, diceva Mahmud.

“Tutto sta andando a rotoli, giorno dopo giorno”, concordava Mahmud.

I leader iracheni, diceva, hanno trascorso troppi anni in esilio prima che l’invasione guidata dagli Usa del 2003 gli permettesse di tornare e assumere il potere; sono scollegati dalla gente.

“Sono venuti per la vendetta, non per aiutare le persone”, aggiungeva.

Mahmud, che ha un viso rotondo, pieno di rughe, e una barba brizzolata di grigio, sottolineava quanto velocemente le loro vite si erano capovolte in una settimana. “All’improvviso è scoppiata una guerra di guerriglia”, diceva. “Non è facile controllare combattimenti di strada”.

“La situazione è come il Libano degli anni ‘70”, diceva Hadhi, riferendosi alla guerra civile in quel Paese. “Per stabilizzarsi ci sono voluti anni”.

Tuttavia, Mahmud faceva notare che il conflitto che sta esplodendo all'improvviso in tutto l’Iraq oggi è molto diverso dalla violenza fra sunniti e sciiti del 2006.

“Adesso, c'è più odio reciproco fra le persone”, diceva. “Non è confessionale, è all’interno della stessa confessione”.

Entrambi gli uomini dicevano di sentirsi sicuri a Karrada, perché la Brigata Badr, l’ala armata del Consiglio Supremo, ha difeso la zona.

“Se la Badr non fosse qui, ci sarebbe un problema”, dice Mahmud. “I sadristi entrerebbero a Karrada”.

In un negozio di animali più avanti, nella stessa strada, Abu Zainab, un fabbro di 48 anni, si chiedeva a voce alta perché aveva votato per la coalizione sciita di governo guidata da Maliki.

“Do la colpa al governo. Perché sono andati a Bassora?”, diceva. “La situazione della sicurezza è peggiore nella provincia di Diyala e a Mosul. E’ lì che dovrebbero mandare i soldati”.

Abu Zainab diceva di credere che Maliki stesse rispondendo a pressioni Usa perché desse la caccia a Sadr. “Questo governo sta prendendo ordini dagli americani”, diceva, scuotendo la testa disgustato.

“Sono cinque giorni. Stanno ancora combattendo le milizie. E se dovranno combattere un Paese? Il giorno dopo i soldati stranieri entreranno nelle nostre case”, diceva.

Mentre parlava, su Karrada si abbattevano granate di mortaio.

Anche se Abu Zainab è sciita, ricordava quasi con nostalgia la vita sotto Saddam Hussein, che favoriva i sunniti. Allora, c’era elettricità 22 ore al giorno. Abu Zainab diceva di non avere elettricità da otto giorni.

Più giù lungo la strada, tuttavia, Hadhi Fadhil, un negoziante, era in una situazione peggiore. Lui non abita a Karrada, e da giovedì [da quattro giorni] dorme sul pavimento del suo negozio a causa del coprifuoco. “Piano piano la vita stava migliorando”, diceva. “Poi le cose sono cambiate dalla sera alla mattina. Adesso sono bloccato qui. La prossima volta, non voterò per nessuno. Non mi piace più nessuno”.

Washington Post,

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)