La storia manipolata dagli storici: meglio i divulgatori degli accademici
di Ennio Caretto - 04/04/2008
Dibattiti «Destra e sinistra rileggono il passato in modo ideologico». La replica: sei antiamericano
La storia manipolata dagli storici
Polemica in Usa. Gordon Wood: meglio i divulgatori degli accademici
Razza, sesso, classe per certi studiosi sono onnipresenti come la Santa Trinità Le origini
«La firma della Costituzione degli Stati Uniti nel 1787», dipinto di Junius Brutus Stearns del 1856. Nelle foto sotto, a partire dall'alto: lo storico Gordon Wood, autore di «The Purpose of the Past»; il suo collega David McCullough; la polemista neocon Ann Coulter; lo storico inglese Tony Judt
Pubblicando una raccolta di 21 saggi e recensioni sui più importanti libri di storia americana degli ultimi 25 anni, Gordon Wood ha riacceso un dibattito che periodicamente divide l'America: quello sulla manipolazione della storia, sul ruolo dello storico e sulla sua interpretazione dei più importanti eventi patri. Wood, di cui sono usciti in Italia Le origini degli Stati Uniti (Il Mulino, 1987), scritto con Bernard Bailyn, e i I figli della libertà: alle radici della democrazia americana (Giunti, 1996), è da molti giudicato il massimo storico statunitense. Il suo nuovo libro, Lo scopo del passato. Riflessioni sull'uso della storia, edito dalla Penguin, è una denuncia della «mancanza d'obbiettività degli storici postmoderni» del mondo accademico. Storici «esoterici», protesta, «chi strutturalista e chi relativista, chi ideologicamente schierato e chi apostolo del multiculturalismo». Wood conia per loro un termine spregiativo, «presentisti», perché, lamenta, leggono la storia non come fu, ma come vorrebbero che fosse stata secondo la odierna «Santa Trinità»: la razza, il sesso, la classe.
Per Wood, docente di storia alla prestigiosa Brown University, gli storici obiettivi, e non a caso più popolari, sono di solito quelli privi di una cattedra, divulgatori come Barbara Tuchman nella seconda metà del secolo passato, e come David McCullough oggi. Gli storici dell'Accademia, «che spesso scrivono l'uno per l'altro », sono invece propensi a manipolare la storia: «Essere uno storico significa sapere inquadrarne i protagonisti nel contesto del loro tempo e delle circostanze, e senza distorsioni anacronistiche ». A differenza della sociologia e della politica, continua Wood, «la storia è conservatrice, non nel senso attualmente attribuito a questo termine, ma nel senso che mette in evidenza quello che è possibile e quello che non lo è». E conclude: «Per la storia vale il saggio commento di Rebecca West: se la politica entra dalla porta, la verità scappa dalla finestra. Quegli storici che cercano di influenzare la politica contemporanea mancano al proprio compito, dovrebbero candidarsi al Parlamento». Un monito anche per l'Europa e l'Italia.
Richiamando gli storici al rigore della loro disciplina, Wood si è esposto a un'ondata di critiche. In America la Brown University è considerata un bastione liberal, sebbene Wood rifiuti l'etichetta, e i «neocon» gli si sono scagliati contro: la loro vestale Ann Coulter lo ha tacciato di «antiamericanismo». Ma lo hanno altresì contestato, rifacendosi alle sue opere più celebri, quelle tradotte in italiano, colleghi moderati come Steven Hayward e Mark Seidenfeld, sostenitori dell'«eccezionalità» della democrazia americana. Hayward ha ritorto le argomentazioni di Wood, rinfacciandogli in pratica di «vedere il fuscello nell'occhio altrui e non la trave nel proprio»: «Checché ne dica, Wood appartiene all'establishment liberal. Nei libri disconosce i meriti dell'individualismo e del capitalismo degli Usa, e sostiene che la rivoluzione anticoloniale fu comunitaria da un lato ed elitaria dell'altro». Seidenfeld lo ha rimproverato di promuovere «statalismo e assistenzialismo» con la tesi che l'America nacque come repubblica e solo più tardi divenne una democrazia.
Stando a Tony Judt, lo storico inglese della New York University, ha ragione Wood. In America, come in quasi tutti i Paesi, commenta Judt, la storia è stata ripetutamente strumentalizzata per inculcare patriottismo nel pubblico, per costruire un'identità nazionale e per trasformare gli immigrati in cittadini: ancora oggi, si crede che la Provvidenza abbia assegnato all'America uno speciale destino, l'«unicità» di Hayward, di Seidenfeld e altri. Non di rado, prosegue Judt, la moderna prospettiva diventa uno specchio deformante: è il caso del multiculturalismo, che tende a ingigantire la funzione dei neri e delle donne nella rivoluzione anticoloniale del Settecento.
Lo storico inglese è d'accordo con Wood sul fatto che considerare l'abolizionismo uno dei moventi dell'indipendenza americana è errato. Nella guerra, molti neri si schierarono con l'Inghilterra, perché aveva promesso di affrancarli: fu la successiva enfasi sulla libertà dei cittadini e la dignità dell'uomo a imporre l'abolizione della schiavitù alla nuova America, quasi un secolo più tardi.
Un altro storico, Walter McDougall, ritiene che quello che Wood propone sia revisionismo alla rovescia. La storia non può essere agiografia, rileva, ma nemmeno manipolazione, «che ultimamente si è fatta sempre più frequente». McDougall, che insegna all'Università della Pennsylvania, è al secondo volume di una massiccia trilogia sul XIX secolo, Throes of Democracy
(«Spasmi di democrazia»), sull'America dell'epoca della guerra civile, dal 1829 al 1877. Pensa che l'apporto del capitalismo e dell'individualismo alla democrazia americana non fu così fondamentale come proclamato da Hayward e da Seidenfeld: «È ingigantito dalla loro ideologia di destra». Come Woods scorge nella Costituzione un documento aristocratico disegnato in parte anche per contenere le spinte democratiche popolari, così McDougall vede nel «destino manifesto» dell'America un moralistico travestimento della sua politica militarista e mercantilista. Da quasi due secoli e mezzo l'America è al centro della storia, conclude. Ma non è detta l'ultima parola su come la sua storia sarà letta.