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Una sovrana indifferenza elettorale

di Roberto Zavaglia - 05/04/2008

Quella in corso è forse la campagna elettorale più soporifera della storia italiana. Tra i politici e gli osservatori circola il timore che il torpore possa provocare un forte aumento dell’astensione. Secondo alcuni sondaggi, la percentuale di coloro che pensano di non recarsi alle urne si aggirerebbe intorno al 30%, che è un dato elevatissimo per un Paese nel quale la partecipazione alle elezioni è sempre stata fra le più alte dell’Occidente. Si pensi che, nel 1.976, un anno di grande mobilitazione politica, le astensioni si fermarono al 6,6%.

  Giovanni Sartori, si è lamentato, sul Corriere della Sera, dei toni troppo morbidi del confronto, invocando “più grinta e mordente a una campagna elettorale troppo flaccida”. Secondo il noto politologo, la colpa è di Veltroni che, rinunciando ad incalzare con veemenza il proprio avversario, non riesce a scaldare i cittadini. A noi pare, invece, che l’assenza dei consueti attacchi personali contro Berlusconi e il rifiuto della rissa da parte del capo del Partito Democratico siano fra i pochi elementi positivi di questa contesa elettorale. A non essere credibile, agli occhi degli italiani, è tutto il resto, a cominciare dall’identità dei due principali partiti che si disputano la guida del Paese. Se molti cittadini non trovano ragioni convincenti per votare non è perché i leader politici non sanno recitare bene la loro parte, ma perché appare più o meno chiaro che l’esito elettorale non inciderà più di tanto sui destini della nazione. Una campagna elettorale non può che risultare noiosa quando a disputarsi la vittoria sono due cordate di potere che non si distinguono nelle scelte di fondo.  

   In Italia, più che in qualsiasi altro Paese europeo, il ruolo di un partito fortemente ideologico, come il Pci, mobilitava gli elettori, dividendoli, in buona sostanza, tra suoi sostenitori e suoi irriducibili avversari. Dopo il crollo della Prima Repubblica, il fattore mobilitante, anche se meno efficace numericamente, è stato il continuo referendum su Berlusconi. Oggi, il fondatore di Forza Italia è ancora in lizza, ma la sua presenza si è in qualche modo “sdrammatizzata”. Non perché egli abbia risolto le questioni che ne inficiavano il ruolo politico, come il conflitto di interessi, o perché il sistema dell’alternanza sia stato ormai serenamente interiorizzato dall’elettorato, ma in quanto un numero sempre più grande di cittadini ha compreso che la sua vittoria o la sua sconfitta pesano  meno di come appariva precedentemente. Il fascino innovativo di Berlusconi è progressivamente svanito tra i suoi simpatizzanti e, nel contempo, i suoi detrattori hanno verificato che tra il suo governo e quelli di centrosinistra non ci sono differenze così drastiche.

  Gli elettori si stanno rendendo conto che i loro problemi maggiori non possono essere risolti né da Berlusconi né da Veltroni. Prendiamo, ad esempio, per rimanere a fatti recenti, la crisi dei mutui subprime che inquieta anche chi ha messo i propri risparmi in fondi obbligazionari o, addirittura, nei fondi pensione. A un tranquillo cittadino che vede minacciato il proprio avvenire, perché nell’Illinois o in Arkansas o in chissà quale altro posto, sono stati concessi prestiti ormai inesigibili, non passa per la mente che la politica italiana possa risolvergli il problema. L’intera popolazione viene informata del fatto che siamo in piena recessione più o meno per gli stessi motivi, ma dai leader politici non ascolta alcunché contro i danni della finanza impazzita. Il tema della prevalenza della finanza sull’economia reale è bello tosto, quasi una questione “ideologica”, e non sta bene parlarne in una campagna elettorale che deve essere  pragmatica, affinché anche noi si diventi un Paese normale come quelli anglosassoni. Certo, si tratta di un problema globale, che travalica la  sovranità dei singoli Stati, ma dei partiti che rinunciano ad esprimere, almeno in linea di principio, una posizione netta su questioni tanto rilevanti, non possono aspettarsi di riscuotere un consenso caloroso. O forse si crede che l’aumento delle pensioni proposto da Veltroni, da 8,33 a 33 euri al mese in proporzione all’importo dell’assegno ricevuto, possa essere ritenuto fondamentale da chi pena per arrivare a fine mese?

  E’ un luogo comune che le elezioni si vincono conquistando il centro, ma la corsa verso questa terra di tutti e di nessuno porta a una progressiva spoliticizzazione dei partiti. Il centro, così inteso, non è una posizione intermedia tra destra e sinistra, ma il punto di incontro per ogni trasformismo, privato di identità in modo da accogliere tutti senza convincere davvero nessuno. Si ribatterà che, nei confronti politici in televisione, si ascoltano candidati che illustrano puntigliosamente i programmi dei propri partiti su quasi ogni argomento. Il problema è che una competizione politica non equivale alla scelta dell’amministratore di uno stabile. Invece, è come se i politici parlassero solo del costo della portineria o della manutenzione dell’ascensore, disinteressandosi dell’architettura del palazzo in cui viviamo. I loro discorsi suscitano quindi nei cittadini il medesimo entusiasmo che si riserva a una riunione condominiale. D’altra parte, i leader di Pd e Pdl si rimpallano l’accusa di avere copiato i propri programmi e la cosa, al di là di alcune differenze in politica estera, potrebbe sembrare vera se osserviamo come i loro punti di riferimento siano gli stessi. Le prese di posizione di Confindustria hanno valore oracolare per Berlusconi e Veltroni, convinti come sono entrambi che i “tecnici” dell’economia debbano indicare la via, mentre alla politica spetti solo l’amministrazione corrente.

  Da due anni, uno dei libri più venduti in Italia è “Gomorra”, nel quale Roberto Saviano racconta la sua Campania tradita dallo Stato e piagata dalla camorra. Il successo del volume dimostra l’interesse verso una gravissima questione che angustia anche altre regioni italiane. Eppure, l’autore si è giustamente lamentato dell’assenza di un dibattito serio, in campagna elettorale, sull’emergenza della criminalità organizzata, ricordando che “Pci e Msi stavano dalla stessa parte contro la camorra”. La medesima passione civile non si può certo riscontrare nei “contenitori politici” in cui sono confluiti quei due vecchi partiti. Nemmeno un tema reso ancora più attuale dalla vergognosa crisi dei rifiuti in Campania è dunque degno di attenzione da parte della nostra classe politica. Parlando delle mafie che hanno quasi esautorato lo Stato in vasti territori del Paese, bisognerebbe discutere di modelli di sviluppo, di intrecci tra finanza e criminalità, di scelte economiche di vasto respiro: ancora una volta, quindi, di argomenti che esulano dal pragmatismo liberale di cui si vantano i partiti candidati a governare. Non sarebbe poi male che la nostra classe politica, in cambio del disinteresse per i temi cruciali, ricevesse da un bel po’ di italiani una sovrana indifferenza verso le sue beghe di bottega.