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L’ozio creativo della Roma imperiale

di Sergio Frau - 07/04/2008

    
Sergio Frau dialoga con Carlo Bertelli, curatore della mostra Otium: l’arte di vivere nelle domus romane di età imperiale - inaugurata al Complesso di San Nicolò a Ravenna - sul rapporto fra l’otium tardoantico e la nascita del monachesimo occidentale.
Secondo Bertelli le riflessioni filosofiche e le dispute culturali a cui si dedicava l’aristocrazia romana durante i ritiri nelle ville in campagna costituiscono il momento e la forma culturale che portò alla nascita del monachesimo occidentale.
Frau ricorda due esempi principali: sant’Agostino, che proprio durante il soggiorno in una villa presso Milano maturò la sua conversione alla vita ecclesiastica e Cassiodoro, che trasformò la sua villa in Calabria in monastero, dove potersi dedicare alla vita religiosa e al «salvataggio della cultura classica» attraverso l’attività di copiatura e traduzione di opere greco-romane.


«Ozio, padre dei vizi? Ma neanche per idea: l’otium dei Romani, era un periodo denso, intenso, di acculturazione, riflessione e distacco dal mondo frenetico del negotium. Dia retta: se l’ozio è stato mai padre di qualcosa, lo è stato del primo monachesimo. Sono molte le antiche ville che, trasformandosi appena un po’, divennero i primissimi monasteri. Qui, nell’esposizione, abbiamo cercato di dimostrare questa genesi, tappa per tappa». Se una revisione così - con l’ozio rivisto, corretto, riabilitato, quasi santificato - te la fa il professor Carlo Bertelli, l’ex direttore di Brera, uno dei nostri massimi storici dell’arte, mentre si sta percorrendo la “sua” mostra Otium: l’arte di vivere nelle domus romane di età imperiale, appena aperta al Complesso di San Nicolò a Ravenna, allora non c’è altro da fare che crederci. Ed è proprio illustrando i cento reperti esposti - statue, arredi, affreschi, mosaici: tutta roba che faceva dolcissima la vita campestre di quei cittadini romani che potevano permettersela - che il professore più parla e più ti convince: «Senza quell’otium - e la concentrazione produttiva che regalava - non avremmo mai avuto Cicerone, Seneca, Plinio. Neppure Agostino ci sarebbe stato». La storia di Agostino che nel 386 si concede un periodo di riflessione durante le feriae vendemmiales, le vacanze di settembre, in una villa a Cassago, appena fuori Milano, il professore la sintetizza bene [...]: «Agostino ricorda il continuo stimolo mentale di quei giorni. La tranquillità della villa, lontana dal clamore della vita in città, gli fa venire in mente il paradiso, che è l’ultima meta a cui tende il monaco». Dovette riflettere assai, comunque, Agostino in quei giorni...Rientrato a Milano rivoluzionò la sua vita: lasciò la moglie e se ne tornò in Africa per diventare vescovo d’Ippona e iniziare la carriera di santo. Quasi due secoli dopo, nel 554, un altro brav’uomo, Flavio Magno Aurelio Cassiodoro - calabrese, primo ministro di Teodorico - ritiratosi dalla politica, decise di trasformare la villa del padre a Squillace: vi creò Vivarium, un centro di cultura - un po’ monastero, un po’ collegio - che con frenesia si dedicò a quello che Bertelli definisce «un accanito salvataggio della cultura antica». Copiarono e tradussero un po’ di tutto quei primissimi monaci del Vivarium: sacri testi e antichi ricettari, tanto che i loro lavori fecero il giro d’Europa. Il loro Codex Grandior arrivò in Inghilterra, lì fu copiato tale e quale: per quella copia - il Codice Amiatino - 2060 pagine, 34 chili il peso, ci fu bisogno della pelle di 1550 vitelli.
«Un’attenzione alla saggezza degli Antichi che già a Roma, nelle ville imperiali, trova precedenti illustri. Proprio quelle residenze aristocratiche si prestavano alle nuove forme di spiritualità», spiega il professore. E, per aiutarti nel percorso verso il Cristianesimo, ti cita non solo gli ozii di Piazza Armerina (il cui vero nome era «la Tenuta del Filosofo»), ma anche la villa romana dei Valeri [...], e pure la «domus dei tappeti di pietra», un edificio ravennate lastricato di mosaici - ora musealizzato - dove gli ultimi padroni di casa in una sala vollero la Danza delle Stagioni e in un’altra, però, un Buon Pastore assai cristiano, che sembra proprio benedire una vasca termale trasformata in battesimale. La vasca è esposta in mostra, ma come a rompere a metà il percorso. Arriva dopo distese di mosaici appena restaurati e dopo reperti vari di serenissimo paganesimo: ci sono le tabulae che servivano a ricordare le vicende di Troia; un Sofocle d’argento miniaturizzato (in prestito dall’Archeologico di Ancona); una trimurti di quei filosofi - Epicuro, Ermarco e Carneade - che un tempo facevano seri atrii e ninfei, invitando a riflettere. C’è anche un orologio solare, quasi a scandire ore di pietra, diverse dalle nostre. Ed esplode, lungo il percorso, il lieto vivere di Pompei - con gli affreschi che la facevano variopinta - prima che il Vesuvio sigillasse tutto, per sempre. [...] Orfeo con la sua cetra, piazzato lì, appartato e ben illuminato, sembrerebbe spassarsela. Ma non è così: con le sue armonie ha l’impegnativo compito di tenerci in ordine il mondo. E i giochi, allora? Dadi, astragali pedine? Altro che ozio! Erano tutti strumenti per tenere sveglio e vigile il cervello. Così come lo strigile in bronzo esposto qui, che raschiava via il sudore degli atleti: deve ricordare ai visitatori che, forse, lo slogan mens sana in corpore sano deve esser nato proprio in una di queste antiche ville che la mostra ravennate fa conoscere fino al 5 ottobre. Quelli della Fondazione Ravennantica che hanno organizzato la mostra (curata da Bertelli e dall’etruscologo Luigi Malnati, soprindendente di Emilia-Romagna e Lombardia), lo sanno bene che, comunque, appena fuori dall’expo, c’è la loro Ravenna: uno dei posti più evocativi del mondo. Così se le possono pure permettere esposizioni così - parziali: raffinatissime zoomate su sfaccettature insolite del mondo antico - ché tanto, poi, con pochi passi sei al Battistero degli Ariani o al Mausoleo di Teodorico. [...]