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Cina: super-raffineria in casa, super-miniere all’estero, supermercati in Tibet

di redazionale - 07/04/2008

Secondo quanto scrive lo Shanghai Securities News, la Dalian Petrochemical, una filiale della China National Petroleum Corporation (Cnpc), sta per diventare la più grande raffineria di petrolio della Cina.
Con un investimento di 1,5 miliardi di dollari, entro il 2008 saranno realizzate sette infrastrutture dotate della tecnologia di punta già in uso nelle più moderne raffinerie della multinazionale Royal Dutch-Shell, 5 delle quali destinate a diventare le più grandi della Cina, la più grande della Dalian Petrochemical avrà una capacità di annua di trattamento di 20,5 milioni di tonnellate di petrolio.

Secondo quanto dice all’agenzia Xinhua Wang Zhen, dell´università del petrolio della Cina, «Questo potrà attenuare la penuria di petrolio in alcune parti del Paese, ma non può ridurre il problema di questa risorsa. Il rialzo sistematico del prezzo del petrolio raffinato deve essere attribuito alla mancanza di gasolio e di benzina». Il prezzo del greggio è fissato a livello internazionale, ma è il governo a fissare in Cina il costo dei prodotti petroliferi raffinati, una situazione sempre più difficile per un Paese che si trova a importare sempre più petrolio.

La Cina cerca quindi di sfondare all’estero con le proprie industrie, a partire da quelle di estrazione mineraria, che il ministero del territorio e delle risorse incoraggia a farsi quotare nelle Borse straniere, per raccogliere fondi per il loro sviluppo. Il primo piano di esplorazione geologica, pubblicato qualche giorno fa dal ministero, promette il sostegno del governo di Pechino alla quotazione all’estero delle imprese minerarie cinesi. «L’esplorazione sostenuta dal governo ha dominato il settore minerario - dice il direttore del dipartimento di pianificazione del ministero, Hu Cunzhi – che non si è adattato all’economia di mercato ed ha indebolito l’industria».

Secondo il Piano, «lo sfruttamento deve mettere l’accento sui progetti commercialmente percorribili, e il governo non dovrà, in principio, investire nei progetti a fine lucrativo». Saranno incoraggiati anche gli investimenti stranieri per le prospezioni minerarie in Cina e il governo sosterrà gli sforzi congiunti delle industrie di Stato e di quelle private per costituire gruppi di sfruttamento minerario con vantaggi competitivi internazionali. Ma Pechino guarda anche all’estero per quanto riguarda la produzione: «entro il 2010, la Cina punta a realizzare un gruppo di basi straniere per lo sfruttamento e la produzione di petrolio, gas naturale, carbone, ferro e rame». L’obiettivo che si da il Piano è quello di scoprire, entro il 2010, 10 campi petroliferi ognuno con una riserva di oltre 100 milioni di tonnellate metriche, e dagli 8 a 10 aree per l’estrazione di gas naturale da almeno 100 miliardi di metri cubi.

Intanto, mentre la torcia olimpica ha iniziato la via crucis verso Pechino, il governo Cinese cerca di placare gli animi in Tibet promettendo di costruire o rinnovare 200 supermercati nella turbolenta regione autonoma «al fine di fornire dei prodotti poco cari e di buona qualità agli agricoltori ed ai pastori». Evidentemente il problema non è solo culturale e religioso, ma anche di redistribuzione economica, e Pechino crede di cavarsela spargendo un po’ di briciole della rapida crescita anche nell’altipiano del Tibet. Shang Huinian, un funzionario dell’ufficio regionale del commercio del Tibet, ha detto a Xinhua che «Nelle regioni rurali molto poco popolate, gli agricoltori e i pastori devono percorrere una lunga distanza per raggiungere il supermercato più vicino».

I comunisti cinesi hanno imparato una cosa dai loro ex nemici ideologici: per secolarizzare una società religiosa il consumismo è molto più efficace e rapido dell’ideologia e dei libretti rossi di Mao, e il buddismo tibetano si può fiaccare con il bastone della repressione poliziesca e la carota dei supermarket pieni della paccottiglia di scarto che viene da Pechino e Shanghai. La “Chinese way of life” alla globalizzazione liberista-comunista verrà esportata nelle più remote valli tibetane a tappe ancora più forzate dal ministero del commercio, che ha lanciato un progetto e per incoraggiare i supermercati di grande e media dimensione ad aprire catene di negozi nelle regioni rurali più lontani.

«La misura conosce dei progressi rimarchevoli in Tibet – assicura Shang – Il Tibet ha costruito 379 supermercati l´anno scorso e 200 nuovi supermarket dovrebbero aprire le loro porte nella seconda metà dell’anno. Tutti I supermercati da costruire quest’anno saranno in prossimità delle abitazione di agricoltori e pastori».