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Una pagina al giorno: così muore un paese, di Alcide Paolini

di Francesco Lamendola - 08/04/2008

 

 

Dal romanzo Il paese abbandonato dello scrittore friulano Alcide Paolini (Firenze, Casa editrice Salani, 1980, cap. quattordicesimo, pp. 137-142):

 

"Il giorno dopo mio padre si è ammalato. Già durante la notte deve essere stato male, perché ho sentito che tossiva e che mia madre si alava per fargli qualcosa. Al mattino aveva la febbre alta, sui trentanove. Ma non ha voluto che andassi a chiamare il medico. Quando sono andato a trovarlo era tutto rosso, sudato, aveva una faccia tesa, mi sembrava perfino stravolto, e faticava a respirare.

"Mi ha domandato: - Non vai a scuola?

"Gli ho risposto: - Domani.

"Intanto il tempo era migliorato, e nel pomeriggio è comparso il sole. Ma nessuno è andato sul cantiere. E solo pochi hanno chiesto di papà. Quando però hanno saputo che era ammalato si sono come rilassati. Zulian è venuto a trovarlo. Gli ha detto di stare tranquillo, è stato su soltanto pochi minuti, non hanno parlato di niente.

"Sul cavalletto c'era un quadro non finito, ancora un albero, questo tuttavia più piccolo, al centro di una ampia vallata. Accanto al quadro c'era il rotolo che si era portato dietro dal cantiere. Non ho resistito e l'ho aperto, anche se  immaginavo già quello che c'era. Era infatti il tracciato completo della strada, un lavoro al quale avevo partecipato anch'io e che papà aveva completato e aggiustato man mano che i lavori avanzavano, con l'aiuto di Zulian e di Davide. Pensavo a quello che ava detto portandolo a casa. Aveva detto: «Questo, ormai, non serve più». Che avesse previsto la malattia? O dietro la sua ostinazione c'era, come aveva lasciato intuire in precedenza, la convinzione che ormai non ci fosse nulla da fare?

"la mamma era preoccupata per la tosse, a suo avviso si trattava di una broncopolmonite bella e buona, a suo avviso occorreva chiamare il medico. Così sono andato a Villa, contro il parere di papà, a cercarlo. È venuto il giorno dopo, lamentandosi che si era buscato tanta di quella umidità, che si sarebbe ammalato certamente anche lui.

"- Ma come fate a restare ancora qui? - ci ha domandato. E a me è venuto in mente quello che diceva papà: «Tutti ci domandano come facciamo a restare qui; e nessuno invece si meraviglia del fatto che non ci sia una strada». Aveva ragione lui naturalmente, perché se ci fosse stata una strada nessuno sarebbe mai passato per la testa di farci una domanda simile.

"Era proprio una broncopolmonite, e il medico aveva detto che qualche pericolo c'era, perché il papà  aveva un fisico già provato. Bisognava attendere qualche giorno. Intanto occorreva intervenire subito con alcuni medicamenti. Così l'ho riaccompagnato a Villa e sono andato in farmacia. Abbiamo fatto la strada insieme, mi ha chiesto cosa facevo, e quando ha saputo che studiavo mi ha detto: «Bravo, così ti togli da quel buco dove non si può neanche morire da cristiani». Non ero stato a polemizzare.

"Anna è voluta venire a trovare mio padre, che vedendola si è commosso. La febbre non accennava a diminuire, era sempre altissima, e la tosse lo tormentava.

"Una notte io e mia madre non siamo neanche andati a dormire, perché papà stava male più del solito, faceva sempre più fatica a respirare e la febbre gli era salita a quaranta. Poi la mattina dopo si è finalmente assopito e la febbre è scesa. Così io e la mamma ci siamo potuti riposare a turno.

"Diversi paesani erano venuti a chiedere se avevamo bisogno di aiuto, tra questi anche la Peppa. Ma  mia madre non aveva voluto nessuno tra i piedi.. All'improvviso sembrava che le fossero scomparsi tutti i mali, non stava ferma un momento, su e giù per le scale, era un'infermiera efficiente e premurosa. Mio padre, se aveva avuto tempo di riflettere su queste cose, doveva esserne meravigliato. Lo ero anch'io, e la cosa mi faceva piacere.

"Anna era spesso da noi. E la mamma non protestava. Si sedeva sulla sedia che era di papà e se ne stava lì tranquilla con i suoi libri. Mi aveva chiesto di farle vedere i quadri, e ne era rimasta affascinata. Diceva che era un grande pittore. Che prima o poi se ne sarebbero accorti.

"Mi piaceva avere Anna per casa. Sapere che c'era e sentire la sua voce così fresca, e vedere il suo viso splendente, e i suoi capelli biondi, soffici, lunghi. Aveva ripreso a muoversi con l'aiuto di un bastone. Il medico era tornato e aveva detto che papà andava migliorando, anche se non poteva ancora dichiararlo fuori pericolo. «Ma io credo che ce la farà» aveva detto andandosene. «Solo che dopo dovrà stare per un bel po' di tempo a riposo completo, anche con la testa. Ci siamo intesi?».

"Non so cosa avesse voluto dire con quella raccomandazione un po' sibillina, ma non ho avuto il coraggio di approfondire.

"Poi è arrivata un'altra lettera dall'Australia. Era ancora quell'Albert Ferrarino che offriva lavoro per venti-trenta famiglie. Ricordava che il termine massimo per accettare scadeva il 30 novembre, improrogabilmente. Di nuovo c'era stato un ritrovarsi di tutti da Damiano. Di nuovo erano stati ripetuti gli stesi discorsi contro l'offerta, ma questa volta con minore convinzione. Nei giorni successivi diverse famiglie si erano trovate a parlare della proposta non più in pubblico da Damiano, ma in casa propria o al massimo in casa di un amico. Il fermento cresceva e per quanto nessuno avesse voglia di parlarne, le notizie trapelavano. Una dopo l'altra le famiglie di Valverde stavano valutando in modo ben più disponibile di poche settimane prima quell'offerta. Intanto c'era di mezzo anche due cartoline arrivate per via aerea dall'Australia a firma di Angelo e Tite Fornar, entrambe con la scritta: «qui è bellissimo». Della strada non parlava più nessuno. Anzi si aveva ancora l'impressione che fosse ben presente a tutti, ma proprio per questo l'argomento venisse accuratamente ignorato.

"Solo Anna aveva ancora il coraggio di parlare.

""- E così - diceva - la strada è stata abbandonata da tutti. Pare impossibile che dopo tanti entusiasmi adesso tutti si facciano scrupolo di non parlarne, anche per dire che non si farà. E tuo padre ci ha rimesso la salute. Evidentemente hanno ragione quelli di Villa, siamo dei sottosviluppati, e la strada non ce la meritiamo. Meritiamo che si venga dispersi ai quattro venti per il mondo, e il paese sia dimenticato e distrutto.

"- Forse mio padre sapeva fin dall'inizio che la strada non si sarebbe mai fatta.

"- Può anche darsi, però nessuno se n'è mai accorto, e fino a poco tempo fa quasi tutti erano convinti al contrario che ce l'avremmo fatta.

"- Tranne mio padre e il maresciallo.

"- Perché il maresciallo?

"- Perché altrimenti sarebbe intervenuto. Come si può pensare che quattro carabinieri per quanto ingenui e forestieri, non si accorgano che si sta costruendo una strada?

"- E adesso sene andranno via tutti.

"- È probabile. Del resto come biasimarli? La vita qui diventerà sempre più insostenibile. Ormai vengono a fatica il medico, il postino, perfino don Menossi…

"- Resteremo in pochi. Io, tuo padre, tua madre e qualche altro…

"- Ho pensato un momento prima di rispondere, perché quella era chiaramente una domanda, e insieme una provocazione.

"- No, credo che qui non ci resterà nessuno, nemmeno tu e mio padre.  Quando un paese è ridotto a pochi abitanti la sopravvivenza è impossibile…

"- In quel momento mia made si è affacciata alle scale, allarmata.

"- Luca, vieni su, presto! - ha gridato.

"- Sono scattato su per le scale.

"Mio padre sembrava che non riuscisse a prendere aria, aveva il viso cianotico, mi sono spaventato, non sapevo cosa fare.

"- Aiutami - ha detto la mamma, e insieme abbiamo cercato di metterlo a sedere. Ma non accennava a star meglio. Sembrava quasi che non respirasse più.

"- Cosa succede?- ha gridata Anna di sotto.

"- Non riesce a respirare - le ho risposto con la voce rotta.

"- Prova a premergli il petto a intervalli regolari - ha suggerito - altrimenti fagli la respirazione bocca a bocca.

"- Mentre cercavo di mettere in atto i suoi consigli, sentivo che stava arrancando faticosamente per le scale. Ma non le ho detto di non salire. Anzi, non vedevo l'ora che arrivasse.

"Inaspettatamente mia madre è andata ad aiutarla, così è arrivata più in fretta. Anna si è messa quasi sopra il corpo di papà.

"- Lascia - ha detto, allontanandomi. E ha cominciato a  soffiare e aspirare sulla sua bocca. Il viso di mio padre era sempre cianotico, ma adesso sembrava che diventasse dello stesso colore anche quello di Anna. La cosa è andata avanti così per un tempo infinitamente lungo, insopportabile, non smetteva più.

"Io e mia madre eravamo in piedi, ai lati del letto, come paralizzati.

"Nella stanza si sentiva soltanto il drammatico e monotono soffiare dei polmoni di Anna.

"Mio pareva di non poter resistere oltre.

"Quanto sarebbe potuto durare ancora?

"Poi si è sentito uno strano 'flop', come se si fosse strappato qualcosa, e da quel momento, dapprima impercettibilmente, poi sempre più distintamente, il petto di mio padre ha incominciato ad alzarsi e abbassarsi, il viso è andato schiarendosi, e anche quello di Anna che però non accennava a smettere quella sua respirazione. Ma alla fine se Dio vuole ha smesso, si è sollevata, ha guardato lungamente mio padre che respirava da solo sempre più regolarmente, ha fatto per alzarsi, , ma è scivolata giù quasi di peso, tanto che sono riuscito a evitare appena in tempo che crollasse sul pavimento mettendole un braccio sotto la vita.

"L'ho quindi adagiata dall'altra parte del letto impaurito, ma subito lei ha aperto gli occhi.

"- Non è niente - ha detto con un filo di voce, e si è voltata a guardare mio padre, che adesso respirava regolarmente. E ha sorriso. E poi mia madre è andata dalla sua parte, si è chinata e l'ha abbracciata.

"- Grazie - le ha detto semplicemente.

"Più tardi io e Anna siamo scesi giù in cucina, e io ho preparato un caffè.

"Mio padre si era ripreso. Fuori c'era il sole che stava tramontando.

"- È  passata anche questa - ha detto mia madre scendendo. - Adesso accompagna Anna a casa, avrà bisogno di riposarsi pure lei.

"Da Anna abbiamo trovato Dante. Era venuto a cercare me, ma quando gli hanno detto che lì non c'ero, non se l'è sentita di venire fino a casa mia. Era chiaramente imbarazzato. E io ho capito subito di che si trattava.

"- Ve ne andate anche voi - l'ho prevenuto, senza malizia.

"- Sì - ha risposto, e non ha detto più altro.

"Il giorno dopo abbiamo saputo che altre dodici famiglie avevano deciso di accettare l'offerta dell'Australiano. In paese ormai restavamo proprio in pochi. Dovevamo andarcene per forza anche noi, e prima del previsto.

"E così di lì a poco il paese è stato abbandonato da tutti."

 

Abbiamo scelto uno dei libri meno conosciuti del friulano Alcide Paolini, scrittore che ha conosciuto un momento di discreta notorietà negli anni Settanta, grazie alla pubblicazione di  romanzi come Paura di Anna, La gatta e La bellezza. Oltre che meno conosciuto, Il paese abbandonato, pubblicato nel 1980, è stato immediatamente relegato in quella particolare nicchia che è considerata, quanto meno in Italia, la letteratura cosiddetta per l'infanzia. Come se un romanzo come Pinocchio, per fare un esempio, o anche uno come Cuore, si potessero restringere negli angusti confini del genere dei libri per ragazzi!

Oltre a Il paese abbandonato, Paolini ha dedicato altri volumi a un pubblico giovanile, come Pablo e il cane Dik Dik (1979) e anche La donna del nemico (1985); romanzo, quest'ultimo, che avuto il merito di affrontare, con semplicità e onestà intellettuale, il tema scabroso della sorte toccata a quelle ragazze italiane che, durante la seconda guerra mondiale, ebbero il destino di innamorarsi di un soldato tedesco. Ma di tutti, a nostro parere, Il paese abbandonato è il più riuscito, perché pervaso da una poeticità struggente anche se sobria, o forse proprio per questo. Tali sono gli uomini e le donne che lo popolano: persone di poche parole e non use a esternare facilmente i propri sentimenti; ma capaci di grandi slanci di generosità, come è nell'indole friulana.

Paolini ha descritto un paese immaginario, Valverde, ma la vicenda del romanzo gli è stata ispirata dalla visita a uno dei non pochi paesi realmente esistiti e poi abbandonati, sulle montagne della Carnia e delle Prealpi Carniche: Palcoda, che ancora nei primi decenni del Novecento viveva in condizioni di isolamento inverosimili e quasi disumane, senza neppure una strada per arrivarvi. Il problema dell'abbandono di questi paesi era legato, immancabilmente, proprio a quello della mancanza di una via di comunicazione.

E così, Paolini ha descritto le speranze, le lotte, le amarezze e l'insuccesso finale degli abitanti di Valverde che,  animati dal padre del ragazzo protagonista della storia, Luca Modolo, un pittore senza un braccio ma con un animo grande, tentano di costruire da sé la strada che li colleghi al resto del mondo, negli anni Cinquanta, quando già una eco del boom economico sfiora perfino le vallate alpine. Tentano, senza l'aiuto della pubblica amministrazione e, anzi, contro le disposizioni di legge, affrontando perfino momenti di tensione con i carabinieri: perché lo Stato e gli enti locali - e questa sembra proprio storia di oggi -, che, nonostante le molte promesse, non sanno o non possono garantire agli abitanti di quel borgo sperduto nemmeno qualche chilometro di strada che consenta di arrivare al medico condotto, al postino e al prete che viene, la domenica, per celebrare le funzioni religiose, nemmeno sono disposti a tollerare che essi facciano da sé, senza i necessari permessi e le autorizzazioni di rito…

Pertanto, la vicenda descritta ne Il paese abbandonato è la malinconica agonia di un piccolo borgo che, nel risveglio generale del secondo dopoguerra, si trova ancora intollerabilmente tagliato fuori dal "progresso" e perfino dal paese più vicino (Villa Santina: per cui è chiaro che Paolini ha collocato Valverde in qualche luogo della Carnia, probabilmente all'imbocco del Canale di Gorto; mentre Palcoda si trova al di là della cresta delle Prealpi Carniche, nei pressi della Val Tramontina, oltre il torrente Chiarzò). Nello scoraggiamento crescente di quelle povere famiglie, abituate da generazioni al destino dell'emigrazione, l'invito di un australiano che esorta le famiglie di Valverde a emigrare in quel lontanissimo Paese, giunge come un doloroso, ma inevitabile scioglimento del dramma. Una dopo l'altra, le case si svuotano dei loro abitanti, dei loro pochi animali, della vita che, bene o male, per generazioni vi era rimasta tenacemente legata; finché non rimane più nessuno, e il borgo verrà lentamente invaso dalla vegetazione spontanea.

Luca, che ha avuto modo di frequentare il liceo di Tolmezzo, potrà ancora costruirsi un avvenire, puntando sulle sue capacità di scrittura, ma sempre animato dal desiderio di far conoscere e testimoniare la vita del suo paese. Antonio, suo padre, che è rimasto invalido in un incidente sul lavoro e che porta in sé il dramma di una vita da emigrante, è invece la figura più dolente del romanzo, insieme a quella di Anna, ragazza bella, intelligente e sensibile, ma dalla salute minata dalla ereditarietà (l'alcolismo e i matrimoni fra consanguinei, frequenti nelle zone isolate di montagna). Sono loro i grandi sconfitti: l'uno perché invalido, l'altra perché gravemente malata, sanno che l'aver perduto la battaglia per la costruzione della strada significa, per loro, aver perduto la possibilità di continuare a vivere a Valverde e quindi, in definitiva, di poter guardare all'avvenire con un minimo di speranza.

La pagina che abbiamo scelto di riportare descrive l'ultimo atto del dramma del minuscolo paese, aggravato da una malattia di Antonio che, prostrando la sua forte fibra, infrange anche la volontà di lottare dei suoi compaesani, sempre più pessimisti e scoraggiati circa l'esito dei loro sforzi per salvare l'ultima speranza di realizzare la strada.

Vi si notano, nel taglio dei caratteri, le virtù migliori della gente carnica e friulana: il profondo senso del dovere; l'estrema frugalità, frutto di un abito mentale derivante da una vita dura e difficile, fatta di continue rinunce se non, addirittura, di stenti; l'eroica rassegnazione davanti al destino, senza recriminazioni e inutili rivolte.

 

Alcide Paolini è nato a Udine nel 1928. Ha esordito come poeta nel 1952, con la raccolta Cadono i venti, cui ha fatto seguito,  nel 1959, Ballata per un uomo. Ha poi collaborato a diverse riviste quali Comunità, Belfagor, La fiera letteraria e a giornali come Il giorno e il  Corriere della Sera e Il Messaggero Veneto. Oltre ad alcuni studi sociologici, dai quali emerge un particolare interesse per il problema dell'emigrazione, ha scritto un certo numero di romanzi, nei quali ha affrontato specialmente i temi dell'angoscia, della gelosia e della solitudine.

Tra le sue opere più significative  ricordiamo Controveglia (1967), Verbale d'amore (1969), Lezione di tiro (1971), Paura di Anna (1976), La bellezza (1979),  L'eterna finzione (1983), Una strana signora (1993).