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Semi, guerre e carestie - Capitolo V

di Romolo Gobbi - 08/04/2008

Autore: RomoloGobbi | Data: 07/04/2008 23.29.39
La religione dell'agricoltura

Una delle ragioni per cui Çatal Hüyük non è stata annoverata tra le prime città della preistoria è la supposta assenza in essa di una casta sacerdotale; eppure: "Ora, a un totale complessivo di 63 luoghi di culto, si contrapponevano solo 103 abitazioni. Ciò significava che a Çatal Hüyük una casa su due era una specie di tempio" (1). I locali dedicati al culto erano quelli con la maggior concentrazione di pitture e di teste del dio toro. Ma anche nelle cosiddette abitazioni private esistevano pitture parietali e corna di toro. Ora, data l'ubiquità del culto del toro in ogni casa, i locali dedicati al culto, costruiti peraltro come abitazioni comuni, avrebbero potuto essere riservati proprio a una casta sacerdotale per abitarvi o per celebrarvi dei riti. L'esistenza di una casta sacerdotale può essere desunta da vari elementi. Innanzitutto una città con un perimetro esterno ben delimitato dai muri delle case, non può essere il risultato di una giustapposizione casuale di una casa con le altre; deve essere stata pianificata, anche perché le case combaciassero perfettamente. Anche l'altezza dei tetti piani, che variava da casa a casa, non poteva essere frutto del caso, anche perché doveva esserci un sistema di displuvio dai tetti delle case più interne verso l'esterno. Dunque la città dovette essere progettata e costruita; queste due funzioni sono ancora oggi separate: da una parte i progettisti e dall'altra i costruttori. A Çatal, come esistevano le corporazioni di tessitori e dei fonditori di metalli, così doveva esserci una corporazione di muratori. I contadini non hanno le nozioni tecniche e l'esperienza per costruire case, e quasi sempre la corporazione dei muratori viene reclutata altrove. Ma a loro volta i muratori non hanno le conoscenze teoriche, geometriche, per costruire le case, o addirittura le città e le loro infrastrutture, anche se a Çatal Hüyük non esistevano strade e si passava da un tetto all'altro con un sistema di scale di legno per poter accedere dal tetto alle varie abitazioni sempre tramite una scala di legno. Tutta questa complessità di relazioni doveva essere regolata e governata da persone, che erano dispensate dai lavori manuali, e che erano in grado di fare calcoli e fare rispettare le regole con l'autorità che derivava dalla religione comune. Che l'elemento soprannaturale fosse presente fin dagli albori di homo è noto, così come è noto che la religione aveva la funzione di tenere insieme i primi gruppi umani. Re-ligo è una possibile etimologia della parola religione: tenere insieme. Anche il naturale culto dei morti praticato a Çatal Hüyük doveva richiedere una partecipazione collettiva, visto che i morti, prima di essere sepolti in casa, dovevano essere esposti agli avvoltoi: dovevano esserci dei luoghi dove la scarnificazione avveniva, e , anche se non sono state trovate "torri del silenzio", come tra i Parsi, il trasferimento dei morti in quei luoghi non poteva non essere fatto secondo regole precise e cerimonie adatte.
Anche l'agricoltura necessita di una cultura intellettuale prima di quella materiale: se la città aveva una struttura familiare, anche i campi intorno alla città dovevano appartenere alle famiglie ed essere delimitati da confini, che servivano anche in caso di assegnazione per la coltivazione. Se poi i campi andavano irrigati, anche in questo caso era necessario una programmazione complessa e un coordinamento dei lavori per le opere di canalizzazione: &"a Çatal Hüyük, nella pianura di Konya, in Anatolia, in un contesto in cui nessun tipo di irrigazione era realmente necessario, si coltivarono l'orzo a sei file e il lino come se l'unico obiettivo di una produzione migliore dal punto di vista del rendimento avesse portato alla scoperta di una tecnica di innaffiamento intensiva"(2).
Le mura della città dovevano poi essere dipinte ogni anno, per preservare lo strato esterno di mattoni dal dilavamento delle piogge: anche questo lavoro doveva essere coordinato e dovevano essere assegnate le quote di muro da dipingere ad ogni nucleo familiare. Ciò serve non solo a ribadire che Çatal Hüyük non era semplicemente un villaggio, e che 5000 abitanti non potevano vivere l'uno accanto all'altro senza un'autorità, religiosa in questo caso, che li tenesse insieme, ma anche a collegare la civiltà di Çatal Hüyük con quelle che vennero dopo, anche in località lontane. Per la verità dovettero trascorrere migliaia di anni e l'agricoltura dovette estendersi ad est per più di mille chilometri, prima di trovare nuclei abitativi di dimensioni paragonabili a quelli di Çatal Hüyük con i suoi tredici ettari. Infatti solo tra il 4500 e il 3800 a.C., nella Mesopotamia meridionale, nel secondo periodo della cultura Ubaid, comparvero insediamenti di dimensioni paragonabili: "Contemporaneamente nella zona di Uruk compaiono siti di circa quattro ettari, mentre alcune località costiere meridionali, come Ur e Eridu, raggiungono dimensioni ancora maggiori"(3). Rispetto a Çatal Hüyük questi insediamenti avevano un aspetto innovativo: "La comparsa di strutture monumentali. Le più note sono quelle scavate a Eridu dove, fino alla fase Ubaid 2, ci sono testimonianze di una grande piattaforma in mattoni, su cui saranno ricostruiti più vole una serie di edifici che riprendono la tradizionale struttura tripartita delle abitazioni, ma con l'ampliamento della sala centrale ..."(4). Strutture simili esistevano anche in altre località come Uruk, Tell Uqquair, Susa, Tell Oueili e Tell Abbada, nella Mesopotamia centrale. In quest'ultimo sito sono stati trovati due edifici monumentali, uno dei quali "(le cui dimensioni sono tre volte superiori a quelle di altre abitazioni) mostra muri decorati, rinforzati, manca di attrezzature di tipo domestico. Sono numerosi invece, i recipienti di ceramica e sono presenti anche gruppi di contatori di argilla che sembrano indicare funzioni di annotazione e registrazione dei movimenti dei beni. Sotto il pavimento di questa struttura inoltre, sono state trovate 57 sepolture di bambini, probabilmente quelli dell'intera comunità"(5). In un'altra località, a Gawra è stata trovata un'altra struttura più grande delle altre case del sito, e anche sotto il pavimento di questo edificio, intonacato di bianco, sono state trovate molte sepolture di bambini. E'chiaro dunque che questi edifici monumentali delle culture Ubaid avevano una connotazione religiosa, in connessione con il culto dei morti, ma svolgevano anche altre funzioni, quali la gestione degli affari pubblici, la progettazione di edifici di pubblica utilità quali le mura e i granai, e prime forme di irrigazione. Come a Çatal Hüyük la casta sacerdotale aveva la funzione di casta dirigente della comunità, anche se gli edifici di culto erano diventati dei veri templi e "i templi avrebbero avuto una funzione essenzialmente religiosa e i sacerdoti che ne sarebbero stati depositari, a parte la gestione delle attività rituali, avrebbero condotto una vita non dissimile da quella delle altre persone. Il lavoro per la costruzione dei templi sarebbe stato volontario e sarebbe nato da sforzi cooperativi motivati da credenze religiose."(6). Quest'ipotesi della funzione dei templi nelle società Ubaid è stata contestata dicendo che i sacerdoti non avrebbero accettato condizioni di vita uguali ai semplici cittadini; essi comunque non lavoravano i campi; la mancanza di tracce esplicite dell'esistenza di una classe sacerdotale a Çatal Hüyük troverebbero invece una conferma in questa interpretazione egualitaria.
Dunque nel Vicino Oriente tra il 6.000 e il 4.000 a.C. si sarebbe diffusa l'agricoltura verso Est, e con essa sarebbe stata trasmessa anche la "religione dell'agricoltura". La lunghezza dei tempi e la lentezza della diffusione sono le caratteristiche dei fenomeni complessi: "il ritmo della loro evoluzione è piuttosto caratterizzato da balzi improvvisi, inframmezzati da periodi di stasi relativamente lunghi"(7). La funzione della religione è fondamentalmente quella di garantire la conservazione dei sistemi, ma in questa sua opera può anche assumere una funzione attiva nel mobilitare le forze e le risorse per riprodurre il sistema esistente: "Proprio questa capacità di mobilitazione della forza lavoro avrebbe richiesto un'elaborazione ideologica e rituale tale da giustificare la produzione e la cessione di un certo surplus. La presenza dei templi avrebbe potuto rappresentare un elemento di grande importanza a questo scopo. Si sarebbe trattato, infatti, di un'istituzione in grado di tagliare trasversalmente le linee di parentela per estendersi all'intera comunità. La più ampia mobilitazione del lavoro avrebbe tratto la sua forza da una convalida di tipo religioso, che avrebbe consentito anche una raccolta di surplus su base regionale. Ciò spiegherebbe perché i villaggi del tardo Ubaid fossero tutti disposti vicino ai corsi d'acqua o a canali che li collegavano ai grandi centri religiosi."(8).
La differenza sostanziale tra Çatal Hüyük e le culture di Ubaid non è tanto l'esistenza di un tempio monumentale, quanto nel fatto che i centri urbani estendessero il loro potere su intere regioni. Anche a Çatal Hüyük esistevano corsi d'acqua e si organizzava l'irrigazione dei campi, ma questi erano lavorati dai cittadini stessi. Nella fase successiva invece i lavori di irrigazione riguardavano un'intera regione e gli abitanti dei villaggi minori; quindi l'irrigazione dovette fare un salto qualitativo. A progettare e gestire queste imprese di vaste proporzioni fu la casta sacerdotale: "E' il tempio che gestisce questa rivoluzione, assicurando la sua copertura ideologica alla dolorosa operazione di sottrarre l'eccedenza ai consumi dei produttori, per convogliarla verso un'utilizzazione comune."(9). La rivoluzione tecnologica nell'irrigazione avvenne nel primo periodo della città sumera di Uruk, tra il 4.000 e il 3.500 a.C., nella bassa valle dell'Eufrate, e fu il cosiddetto "campo lungo". Mentre prima e più a nord l'irrigazione dei campo avveniva per allagamento: "Questi campi sono necessariamente di modeste dimensioni e perfettamente orizzontali (altrimenti la sommersione non sarebbe omogenea), e possono essere sistemati anche individualmente, a livello familiare, e con modesta necessità di coordinamento coi campi contigui [...]. Invece l'irrigazione a solco viene praticata in campi lunghi, sottili strisce parallele tra di loro , che si estendono in lunghezza per molte centinaia di metri, in leggera e regolare pendenza, e che hanno una "testa alta" adiacente al canale da cui ricavano l'acqua, e una "testa bassa" verso acquitrini o bacini di drenaggio. L'acqua non inonda i solchi e il terreno è imbevuto per percolazione orizzontale."(10). Per permettere un'irrigazione di questo tipo non era necessaria solo una canalizzazione sopraelevata, ma anche i campi dovevano essere inclinati nella misura giusta per permettere il deflusso non troppo rapido dell'acqua nei solchi. Apparentemente questo sistema consentiva semplicemente il risparmio dell'acqua, ma, se accompagnati da una semina nel solco e non a spaglio, consentiva anche un risparmio notevole di sementi e una loro più mirata irrigazione e quindi una maggiore produttività. Tutto questo però dovette essere progettato, realizzato e controllato dalla casta sacerdotale: "I campi lunghi dunque richiedevano per l'impianto e la gestione la presenza di un'agenzia centrale di coordinamento."(11).
Il lavoro di scavo dei solchi inizialmente veniva fatto con la zappa e richiedeva un grande impegno di mano d'opera e dava risultati non molto soddisfacenti in quanto è impossibile tracciare a mano dei solchi perfettamente paralleli. Ma ad un certo punto venne introdotto l'aratro a trazione animale, che solo può consentire di scavare solchi rettilinei di molte centinaia di metri [...]. Al momento della semina, poi, l'aratro a trazione animale si trasforma in aratro seminatore, mediante l'installazione di un imbuto a cannello che consente di mettere a dimora i semi - uno per uno - ben addentro nel solco."(12). Queste innovazioni permisero un balzo nella produttività del lavoro "in un ordine di grandezza stimabile tra il cinque a uno e il dieci a uno."(13). L'aumento della produttività del lavoro consentì anche di nutrire un maggior numero di persone, soprattutto tra quelle che dovevano dirigere e controllare il lavoro degli altri. Tutto questo portò a una notevole crescita della città di Uruk, che dai dieci ettari di estensione nella fase di Ubaid, passò prima a settanta e poi a cento ettari. Indubbiamente queste dimensioni consentono di definire Uruk più propriamente una città: "Ciò nonostante non si può affermare, come sostengono alcuni studiosi, che Uruk sia stata effettivamente la prima città, quella delle origini. D'altra parte la pretesa di individuare la città più antica risulta di per sé vana e utopica, poiché nessuna precisa data di nascita può essere fissata per questo fenomeno."(14).
Certamente ad Uruk si verificò un cambiamento nella composizione della popolazione urbana: "Già nella fase di Uruk circa la metà della popolazione locale poteva essere classificata come urbana, in una percentuale tra il quaranta e il settanta per cento [...]. Le persone che si concentravano nella città erano essenzialmente quelle non dedite alla produzione del cibo: esse dovevano dunque essere mantenute da un'eccedenza resa possibile da un consistente aumento di produttività agricola."(15). La maggior parte di questa popolazione urbana era addetta alle attività del tempio, per organizzare la produzione agricola, immagazzinarne i prodotti e ridistribuirli ai lavoratori: "Di qui 'ipotesi che le terre appartenessero a un'agenzia centralizzata, che viene identificata con il tempio. Esso, come già nella fase Ubaid, avrebbe non solo avuto una funzione di organizzazione e di coordinamento centrale, ma vi avrebbe fornito quella copertura ideologico-religiosa in grado di fare più facilmente accettare un sistema di vita non facile per le comunità contadine. Il tempio avrebbe incamerato il raccolto direttamente, provvedendo alla preparazione del terreno, alla semina e alla mietitura attraverso pochi dipendenti fissi e il massiccio ricorso a corvées imposte alla popolazione dei villaggi."(16).
Il rapporto città campagna così delineato non era però uguale per tutta la Mesopotamia; infatti: "In zone di vallata (paese di Akkad e valle di Diyala) lo sviluppo delle città si accompagnò a un'analoga crescita degli insediamenti minori, sicchè i centri urbani rimasero sempre inseriti in un tessuto di villaggi numerosi e vitali, dall'età tardo-Uruk attraverso tutto il proto-dinastico e fino all'età neo-sumerica e paleo babilonese. Invece, nelle zone di delta, l'esplosione dimensionale di Uruk e poi di altri centri urbani comportò una vistosa crisi degli insediamenti minori."(17). Dunque nella città di Uruk affluirono anche abitanti dalle campagne circostanti, il che portò sia alla crescita della città sia a una riduzione delle unità abitative, che passarono da cento-centocinquanta metri quadrati del periodo precedente, ad alloggi più piccoli, che potevano ospitare solo un nucleo familiare, e non più una famiglia estesa. In città abitavano anche un certo numero di artigiani, con attività attinenti al tempio, o comunque controllate dal tempio, come quella degli orefici e gioiellieri. Le altre attività artigianali si svolgevano invece nei villaggi vicino alle materie prime, metalli, creta e lana. La produzione di quest'ultima era la seconda entrata del tempio dopo l'orzo: "Le agenzie centrali debbono pertanto curare anche la produzione di lana e tessuti in grandi quantitativi. Inoltre una produzione di tessuti a costi convenienti fornisce alle stesse agenzie centrali una risorsa particolarmente adatta all'esportazione nell'ambito del commercio amministrato."(18). Per procurarsi la lana gli amministratori del tempio affidavano ai pastori dei greggi di cento o duecento pecore, fissando in anticipo la resa in lana e latticini che essi dovevano dare a fine anno. Era anche fissato il tasso di accrescimento dei greggi: normalmente un nuovo nato ogni due pecore femmine. Per le varie fasi della lavorazione della lana, dalla tosatura alla cardatura al lavaggio, si ricorreva a braccianti pagati con razioni di cibo. Invece per la tessitura si ricorreva: "a lavoro schiavile, con concentrazione di mano d'opera soprattutto femminile, o anche minorile, considerata più adatta, per consuetudine domestica, e soprattutto meno costosa per l'agenzia centrale [...]. Le razioni femminili sono sui 2/3 di quelle maschili per le donne adulte, e quelle per bambini sono ancora minori, circa la metà. Questa mano d'opera schiavile nell'ordine delle centinaia di persone, viene concentrata in edifici appositi, a metà tra prigioni e laboratori tessili, e il suo rendimento lavorativo può essere facilmente controllato da sorveglianti e guardie [...]. Lo stesso reclutamento della mano d'opera schiavile avviene senza esborso diretto, trattandosi di prigioniere di guerra e di 'oblate' (sumerico: a.ru.a) offerte al tempio dalle comunità dei fedeli. Più tardi (specialmente col II millennio) la fonte principale sarà costituita dalla schiavitù per debiti."(19). Come si vede, la civiltà sumerica di Uruk fu anticipatrice anche delle invenzioni "progressive" del capitalismo manifatturiero dell'Inghilterra del XIX secolo. Anche a questo proposito si potrebbe ragionare sulla uniformità delle risposte ai problemi che il nostro grande cervello dà a distanza di millenni e senza alcuna trasmissione per via culturale!
Altre produzioni artigianali che richiedevano una vasta produzione, come quella dei vasi di ceramica, venivano affidate dal tempio a singoli lavoratori fissi: "e l'amministrazione pretenda la consegna di determinati quantitativi di vasi calcolando i tempi di lavorazione necessari (a seconda del tipo e del formato)"(20). Con ogni probabilità vivevano in città anche i lavoratori addetti alle necessità del tempio: "schiere di donne tessitrici e molitrici, e di gruppi numericamente più ridotti di addetti alla cucina, alla panificazione, alla gestione della casa [al] servizio permanente di guardia al palazzo, ai magazzini, alle porte urbiche, che deve essere assicurato quotidianamente (notte e giorno) da personale specializzato (guardie)..."(21). Lavoravano per il tempio anche i primi lavoratori intellettuali della storia: gli scribi, che dovevano garantire il controllo di tutte le attività economiche e far quadrare il bilancio delle entrate e delle uscite delle merci dai grandi magazzini centrali. Le prime forme di scrittura vennero appunto usate dagli addetti sumeri: "per la gestione dei magazzini centrali e i detentori della capacità di scrivere (un'attività che rapidamente si complica al punto di richiedere un addestramento difficile), gli scribi, coincidono con gli amministratori."(22) Risiedeva naturalmente nella città l'élite dello stato: "élite che di fatto costituisce la dirigenza politica, considera il proprio ruolo come quello di gestori di una 'grande fattoria' il cui proprietario è il dio. All'interno della fattoria ci sono gli alloggi padronali, cioè il tempio vero e proprio, che è la residenza terrena del dio, ci sono gli alloggi dei servi (i gestori e gli addetti di vario ordine e grado), ci sono i magazzini dei materiali e delle riserve di cibo, ci sono le botteghe e gli ambienti di lavoro..."(23). Inoltre: "Fra la moltitudine dei membri del clero bisogna menzionare innanzitutto il grande sacerdote, poi i vicari del culto quotidiano, quelli addetti ai sacrifici, gli amministratori o scribi, gli indovini, gli esorcisti, i cantori, i musici, i lamentatori, i lavatori, a volte alcuni eunuchi, ma anche le sacerdotesse, sotto l'autorità di una grande sacerdotessa, le prostitute sacre che, con la loro attività, dovevano provocare i matrimoni del mondo divino da cui dipendeva la prosperità del paese; infine gli artigiani e tutto il personale più o meno umile, portieri, cuochi, barbieri..."(24)
La religione praticata dai sumeri di Uruk era politeista ed, essendo nata con l'agricoltura, aveva una stretta attinenza con questa, che era l'ttività su cui si reggeva l'intera economia, e quindi c'erano un dio dell'agricoltura, e uno della pastorizia. Ma vi erano anche divinità per ogni altra attività importante: un dio della scrittura, chiaramente venerato dagli scribi, e un dio per la medicina. A tutte queste divinità venivano fatti dei sacrifici che erano correlati con quanto richiesto: "Si offrono dunque agli dei alcuni esemplari dei prodotti per indurli o stimolarli (o, se vogliamo, per 'costringerli', secondo le norme dello scambio) a reciprocare con abbondanti raccolti e filiazioni" (25). Anche i miti connessi alle singole divinità avevano un'attinenza con l'agricoltura:"Si pensi al mito di Ninurta, che prospetta l'intera Mesopotamia come un campo agricolo, col Tigri e l'Eufrate a fungere da canali di irrigazione e le catene montane circostanti a fungere da argini per trattenere le piene altrimenti rovinose. Oppure si pensi alla lista reale di Lagash, che immagina il genere umano germinato dalla terra dopo il diluvio, proprio come le pianticelle dopo l'irrigazione."(26).
Sull'agricoltura era anche basata la guerra, che normalmente si faceva d'estate dopo il raccolto, in modo che fossero disponibili sia gli uomini che il loro vettovagliamento: "si ricorre perciò a un esercito di corvée, con gli stessi meccanismi già visti per altre concentrazioni di mano d'opera stagionali in agricoltura e in edilizia. L'agenzia centrale paga il mantenimento (razioni) e fornisce gli strumenti di lavoro (in questo caso le armi); mentre i costi sociali (e in caso anche fisici: morti e invalidi) ricadono sulle comunità di provenienza."(27). Da questo momento l'agricoltura e la guerra entrano in un rapporto simbiotico: l'agricoltura nutre la guerra con i suoi prodotti e i suoi uomini, e la guerra viene fatta per difendere gli uomini e i prodotti dell'agricoltura e, da un certo punto in poi, anche per procurare nuovi campi per le città-stato, per soddisfare i loro crescenti bisogni. Così, nel 2370 a.C., cominciò la rapida espansione dell'impero di Akkad sotto il regno di Sargon: "dopo aver assoggettato Sumer e l'Elan, si impossessò del resto della Mesopotamia, della valle del Diyala, della valle dell'Eufrate (compresa Mari), e della zona dell'alto Kabur. Sembra che si sia avventurato persino in Anatolia."(28). Da questo momento cominciò il declino di Uruk, ma anche del modello delle città-stato governate dal tempio; infatti, accanto a questo, cominiciò a sorgere il palazzo del re o dell'imperatore. Le due istituzioni non entrarono in conflitto o in concorrenza, anzi il loro rapporto fu di complementarietà: la casta sacerdotale continuò a fornire al potere regio il supporto ideologico della religione, che giunse sino a riconoscere natura divina al sovrano.
Con la conquista di Sargon cominciarono anche ad emergere le differenze con le civiltà di Ubaid prima e di Uruk dopo: "A cominiciare dall'impero accadico, ma forse anche prima, il re si serviva del sistema dei canoni d'affitto, non più come modo normale di sfruttare il suolo, ma per trattenere al proprio servizio i grandi funzionari civili e militari. Vi era quindi un legame personale tra il sovrano e i suoi servitoti, sancito proprio dalla terra. Teoricamente la cessione era accordata a titolo individuale, e il bene restava inalienabile, ma è ovvio che questa restrizione valeva soltanto nel caso in cui il sovrano era in grado di farlo rispettare. Il crollo del regno o di un impero dava luogo molto verisimilmente alla privatizzazione delle terre."(29). E l'impero accadico finì dopo 140 anni, nel 1320 a.C., ma l'eredità che lasciò fu duratura, non solo sul piano istituzionale, con la nascita della nobiltà terriera in Mesopotamia, ma ancor più a livello culturale: per capire la cultura europea bisogna ancora oggi ricorrere: "alle antiche lingue del Vicino Oriente, all'accadico, al sumero, per far luce sulle origini della civiltà del nostro continente. Sono le lingue, cioè, che dettero voce al pensiero, alla scienza, al fervore religioso congiunto al fascino del misterioso nel cosmo, del quale l'uomo può sentirsi per un attimo centro, per essere sommerso, come GilgameS, nella disperata certezza della fine di ogni orgoglio."(30).
La conoscenza delle civiltà del Vicino Oriente, fondate sulla coltivazione dell'orzo ci consente anche di capire, ancora una volta, come il percorso umano della scoperta dell'agricoltura sia stato simile anche per altre civiltà: "Solo il riso (nell'Asia Meridionale e Orientale) e in qualche misura il mais (nell'America Centrale e Andina) sono dotati di caratteristiche analoghe, e hanno in effetti storicamente dato vita (anche se in tempi sfasati) a paralleli processi di formazione proto-urbana e proto-statale."(31) A parte i prodotti dell'agricoltura, l'emozione della scoperta produsse anche in altri mondi la nascita di religioni dell'agricoltura; così nelle città-stato vi fu l'"egemonia di una classe sacerdotale i cui membri possedevano il monopolio della scrittura, dell'astronomia, della divinazione, determinavano la data propizia ai lavori agricoli, dirigevano le cerimonie, disegnavano e facevano erigere i monumenti e le sculture."(32).
Funzioni analoghe ebbe la casta sacerdotale dell'antico Egitto, la cui religione era un pantheon di divinità zoomorfe e di altre che attenevano all'agricoltura, a cominciare dalle divinità solari, al dio Toro Api, al dio Nilo, da cui dipendeva la sopravvivenza degli egiziani: "Salute a te, o Nilo, che sei uscito dalla terra, e che sei venuto a far vivere l'Egitto!... E' lui che irriga i campi... È lui che produce l'orzo e fa nascere il grano perché siano in festa i templi. Se è pigro in nasi sono otturati, e tutti sono poveri, si diminuiscono i pani degli dei e periscono milioni di uomini."(33).
E, venendo a epoche più vicine a noi, perché non ricordare la funzione dei monasteri e delle abbazie benedettine nel dirigere le opere di bonifica e di canalizzazione che rilanciarono l'agricoltura in Europa, dopo la decadenza seguita alle invasioni barbariche? Anche in questo caso si fece ricorso alla religione per motivare le fatiche necessarie per le grandi opere idraulice, ma anche per costruire chiese, monasteri e abbazie: "Perchè a partire dall'anno mille in tutta Europa si costruirono abbazie, cattedrali, chiese, cappelle unificate da uno stile comune, il romanico, pur con variazioni notevoli da zona a zona? Gli ispiratori di questo 'grande risveglio religioso' furono i monaci benedettini, che dettarono le norme architettoniche ispirate alla regola di San Benedetto da Norcia."(34). La regola di San Benedetto, che era stata scritta nel 544 ed era stata estesa a tutti i monasteri dell'impero carolingio dall'817, dopo l'anno mille ebbe una vasta applicazione per la ripresa di vigore del mito millenarista: "Prega e lavora (Ora et labora) che è assolutamente rivoluzionaria rispetto alla civiltà romana, che aveva come ideale di vita il tempo libero personale dell'uomo colto, cioè l'otium [...]. Che rivoluzione radicale! Il faticoso lavoro fisico diventa ora un ideale di vita, e il lavoro intellettuale - sia quello dell'individuo isolato che quello della comunità- da essere uno svago diventa ora parte integrante di tutta l'attività umana [...], un progetto di ricostruzione del mondo."(35).
Queste coincidenze, distribuite in un arco plurimillenario, e sparse in tutte le parti del mondo, ci confermano ancora una volta il sistematico funzionamento del nostro grande cervello, che ci ispira identiche risposte a problemi analoghi, sempre e ovunque.






1. J. Lehman, op cit pag 143

2. J.C. Margueron, La Mesopotamia, Laterza, 1993, pag 111

3. F. Giusti, I primi stati, Donzelli Editore, 2002, pag 139

4. Ibidem

5. ivi, pag 140

6. ivi, pag 142

7. E. Laszlo, Evoluzione, Feltrinelli, 1986, pag 42

8. F. Giusti, op cit, pag 144

9. M. Liverani, Uruk la prima città, Laterza, 1998, pag 6

10. ivi, pp 20-1

11. ivi, pag 21

12. ivi, pp 22-3

13. ivi, pag 25

14. J.C. Margueron, La Mesopotamia, Laterza, 1993, pag 53

15. F. Giusti, op cit, pp 153-4

16. ivi, pag 155

17. M. Liverani, op cit, pag 37

18. ivi, pag 52

19. ivi, pag 55

20. ivi, pag 70

21. ivi, pp 73-4

22. ivi, pag 80

23. ivi, pp 87

24. J.C. Margueron, op cit, pag 377

25. M.Liverani, op.cit, pp 93

26. ivi, pp 95

27. ivi, pp 74

28. J.C. Margueron, op cit, pag 63

29. ivi, pp 133

30. G. Semerano, L’infinito: un equivoco millenario, Bruno Mondadori, 2001, pag 3

31. M. Liverani, op cit., pag 51

32. J. Soustelle, Messico, DE ADAM Editore, Parma, 1969, pag 223

33. cit in: L. Sist, La produzione alimentare, in Civiltà degli Egizi, Istituto Bancario San Paolo di Torino, 1987, pag 50

34. R. Gobbi, Chi ha costruito le abbazie del Monferrato? In: Case Sparse, n 4, Mondonio (Asti), 2003, pag 29

35. P. Aries, G. Duby, La vita privata dall’impero romano all’anno mille, Laterza, 1986, pag 410