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Privati delle proprie terre e rinchiusi in ghetti. Il dramma dei beduini di Israele

di Carlo M. Miele - 08/04/2008





A causa delle discriminatorie leggi dello Stato israeliano, decine di migliaia di beduini arabi del sud del Paese sono costretti a vivere in baraccopoli "non riconosciute", nel timore costante che le loro abitazioni vengano distrutte e che le loro comunità vengano frammentate.

A sostenerlo è l’ong Human Rights Watch (Hrw), che ha appena pubblicato un rapporto di 130 pagine (Off the Map: Land and Housing Rights Violations in Israel’s Unrecognized Bedouin Villages) incentrato sulla questione.

Il documento - frutto delle interviste fatte ad abitanti, attivisti, operatori umanitari, docenti universitari e avvocati in 13 dei villaggi beduini “non riconosciuti” e in tre delle future borgate progettate dal governo israeliano – sottolinea il carattere discriminatorio dei provvedimenti legislativi e delle pratiche adottate dallo Stato ebraico. 

"Lo Stato israeliano – ha spiegato nel corso della presentazione del rapporto Joe Stork, direttore per il Medio Oriente di Hrw – ha costretto i beduini ad allontanarsi dalle terre che rivendicavano come proprie e ad andare all’interno di baraccopoli illegali, privati dei servizi di base, come l’acqua e l’elettricità”.

In particolar modo, il rapporto mette in evidenza la discrepanza tra le affermazioni dello Stato israeliano – che giudica illegali le 45mila abitazioni beduine all’interno dei 39 campi “non riconosciuti” – e la volontà di chiudere un occhio, e successivamente condonare, le costruzioni illegali dei cittadini israeliani, collegando queste ultime alle reti idriche ed elettriche.

“Mentre i beduini hanno un estremo bisogno di abitazioni adeguate e di comunità di residenza nuove (o riconosciute) – si legge nel documento - lo Stato sta sviluppando nuove case e comunità per i cittadini ebrei, anche se alcune delle oltre cento comunità ebraiche esistenti nel Negev siano mezze vuote”. 

Politiche discriminatorie

Secondo l’ong, dietro i provvedimenti legislativi e le azioni del governo di Tel Aviv ci sarebbe la precisa volontà di discriminare i beduini.

"Israele ha la volontà e la capacità di costruire nuove città nel Negev per gli ebrei israeliani alla ricerca di uno stile di vita agreste, ma non per le popolazioni che hanno vissuto e lavorato in queste terre da generazioni. Tutto ciò è tremendamente scorretto", dice Stork.

Rispetto alla popolazione beduina del Negev, Tel Aviv mira a re-insediarla all’interno di sette borgate. Una politica aspramente criticata da Hrw, secondo cui quelle progettate dal governo costituiscono sette delle otto aree più povere di Israele, non in grado di sopportare arrivi di massa.

Non è un caso che la maggior parte dei beduini si oppongano al trasferimento nelle nuove “città”, viste "le strutture fatiscenti, gli alti tassi di criminalità, le scarse opportunità di lavoro e l’insufficienza di terreno per le loro attività tradizionali, come l’allevamento e il pascolo". In più, lo Stato prevede che coloro che accettano il trasferimento rinuncino alle rivendicazioni sulle loro terre".

Condizioni di vita drammatiche

Già oggi le condizioni di vita dei beduiini del sud di Israele sono drammatiche, soprattutto a causa della mancata fornitura di acqua da parte dello Stato israeliano.

Nel villaggio di Tel Arad ad esempio – come descritto in un rapporto di Irin News – centinaia di persone dipendono totalmente dalle autobotti per l’approvvigionamento idrico, e conservano l’acqua all’interno di cisterne poste sui tetti delle loro case.

Come naturale conseguenza delle precarie condizioni igieniche, e come sottolineato dall’ong Physicians for Human Rights-Israel (Phr-I), tra la popolazione sono diffuse le infezioni e i casi di dissenteria. Solo nell’agosto scorso, l’80 per cento dei bambini ricoverati negli ospedali del Negev per dissenteria erano beduini, nonostante questi ultimi costituiscano solo il 25 per cento della popolazione dell’area.

Difficilmente le cose miglioreranno a breve termine, visto che - secondo le ong Phr-I, Regional Council for the Unrecognized Villages (Rcvu) e Water Coalition – tra il 2003 e il 2006 su 210 richieste di costruire punti di distribuzione idrica, come previsto da una sentenza dell’Alta corte, solo 30 sono state autorizzate.

Una tragedia con radici antiche

Hrw ha chiesto di porre fine alla demolizione sistematica di migliaia di abitazioni beduine (iniziata negli anni settanta e tuttora in corso) e di fare luce sulla "pervasiva discriminazione in tema di terre e case".

Come ha sottolineato Lucy Mair, autrice del rapporto di Hrw, molti israeliani contestano i diritti dei beduini, affermando che per larga parte questi ultimi occupino terreni non loro. Invece, mesi di ricerche condotti dall’ong dimostrano l’esatto opposto, rilevando che “la presenza di beduini su questa terra e nel Negev va indietro di generazioni”.

“Alcuni beduini – afferma la Mair – possiedono documenti che mostrano che i loro padri e i loro nonni hanno comprato la terra da altri beduini o hanno pagato le tasse fondiarie alle autorità ottomane e britanniche prima che lo Stato di Israele venisse fondato”.

Eppure – continua il rapporto – a queste persone non è mai stato concesso di tornare nei villaggi d’origine, mentre nel corso degli anni cinquanta e sessanta Israele ha approvato una serie di leggi che confiscavano le terre da cui i beduini erano sfollati per poi registrarle a nome dello Stato.
 
In seguito, lo Stato israeliano ha assegnato grosse fette di territorio del Negev a fattorie e aziende di cittadini israeliani, facendo si che oggi i beduini - pur costituendo un quarto della popolazione locale - controllino meno del 2 per cento delle terre.

“Queste azioni – commenta Mair - costituiscono la causa profonda delle terribili condizioni che gravano ancora oggi su decine di migliaia di beduini di Israele”.