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Iraq, Alla gente di Baghdad importa poco della testimonianza di Petraeus e Crocker

di Amit R. Paley - 10/04/2008



La testimonianza al Congresso del generale David H. Petraeus e dell’ambasciatore Ryan C. Crocker è stata notata a malapena in Iraq.

Diversi parlamentari non erano a conoscenza di ciò che era stato detto nel corso delle audizioni, molti abitanti di Baghdad non avevano idea che si fossero svolte. Persino su al Hurra, un canale satellitare in arabo finanziato dagli Usa, la testimonianza è stata il decimo – e l’ultimo – servizio del telegiornale di mercoledì [ieri] sera, dopo i servizi sulla politica egiziana e lo stato dei preparativi di emergenza in Siria.

"Gli americani hanno centinaia di riunioni e testimonianze come questa, e cosa hanno fatto per gli iracheni? Nulla", dice Allah Sadiq, 49 anni, falegname nel distretto di Karrada, nella capitale irachena. "Perciò, perché dovrebbe importarcene? Vogliamo solo che tutti gli stranieri se ne vadano e smettano di causare disastri per il nostro Paese".

La maggioranza degli iracheni intervistati ieri erano più preoccupati del coprifuoco esteso all’intera giornata nella capitale, che ha lasciato la maggior parte delle strade quasi deserte. Secondo quanto riferito dalla Associated Press, gli scontri fra miliziani sciiti e soldati statunitensi e iracheni che continuano nel quartiere di Sadr City, a Baghdad, hanno fatto almeno 22 morti, tre dei quali bambini, uccisi quando alcune granate di mortaio apparentemente vaganti hanno colpito alcune case e una tenda dove si svolgeva un funerale.

Le forze armate Usa hanno inoltre annunciato la morte di cinque soldati americani, che porta il bilancio delle vittime fra le truppe a 17 da domenica. Quattro di loro sono morti ieri, e l’altro il giorno prima.

Sono pochi gli iracheni che hanno prestato molta attenzione agli eventi di Washington.

"Non penso che la maggior parte dei politici qui siano molto interessati a quello che sta succedendo riguardo al rapporto di Petraeus e di Crocker", dice Sami al-Askari, un deputato sciita che fa da consigliere non ufficiale al Primo Ministro Nuri al-Maliki. "A essere onesti, nessuno si aspetta qualcosa di diverso nel rapporto o crede che avrà un grosso impatto sull’Iraq".

La maggior parte dei parlamentari iracheni continua ad appoggiare la presenza della coalizione a guida americana come necessaria a mantenere la sicurezza nel Paese. "Preferiamo che le forze multinazionali rimangano in Iraq fino a quando le forze armate irachene finiranno di costruire la loro forze e saranno in grado di instaurare la sicurezza", dice Mohsen Sa’adun, un deputato kurdo.

L’opposizione politica più forte alla presenza delle truppe Usa continua a venire dai sostenitori dell’esponente religioso anti-americano Muqtada al-Sadr, che nelle ultime due settimane sono stati coinvolti in feroci scontri con i soldati iracheni e quelli statunitensi, a Bassora e nella capitale. I suoi seguaci esigono un ritiro immediato di tutte le truppe straniere dall’Iraq.

"Presentare rapporti davanti ai media e al Congresso per noi non serve a niente, perché è solo una giustificazione affinché le forze americane rimangano in Iraq", dice Liwa Smesim, capo del comitato politico del movimento di Sadr. "Esigiamo un ritiro completo delle forze di occupazione prima possibile. Quello che stiamo vedendo oggi sugli schermi televisivi è una parodia fallimentare, e fallirà se Dio vuole".

Per le strade del quartiere benestante di Karrada, la gente tende a essere favorevole a un ritiro immediato delle truppe americane, e molti danno la colpa agli Stati Uniti delle calamità che affliggono la città.

"Per cinque anni gli americani non hanno fatto niente per gli iracheni. Cosa pensano di poter fare per noi in un altro anno?", dice Hussein Jabar, 36 anni, dipendente del ministero dell’Industria. "Tutto ciò che fanno gli americani è proteggere se stessi, e noi iracheni siamo le vittime".

Fa l’elenco delle lamentele: fogne otturate, milizie che aggrediscono i residenti per strada, un governo che non funziona, e frequenti interruzioni di elettricità. Mentre parla, la corrente nel negozio di elettronica nel quale si trova va via, lasciando la stanza al buio pesto.

"Sono così stufo marcio di tutto questo", dice. "Vogliamo solo che gli americani se ne vadano, e cercheremo di aggiustare le cose da soli".

Tuttavia, alcuni sono preoccupati che possano derivare problemi ancora più grossi se i soldati Usa se ne andranno.

Hajji Abdul Karim, un uomo d’affari di 62 anni, dice di essere rimasto colpito dalla testimonianza di Petraeus, il massimo comandante americano in Iraq. "Stava dicendo la verità e mandando un messaggio chiaro: che un ritiro improvviso dall’Iraq creerà un grosso problema all’interno dell’Iraq", dice.

Abdul Karim tuttavia non vuole dire se desidera che le truppe Usa rimangano. "Che io li appoggi o no, gli americani resteranno", dice scuotendo la testa. "Staranno qui per molto, molto tempo".

Molti hanno altre cose per la testa.

"Non so nemmeno chi siano Petraeus e Crocker", dice Yasser Kadhum al-Khafaji, un negoziante di 31 anni. "Penso che questo genere di cose siano più importanti per gli americani che per gli iracheni".

Hanno contribuito a questo articolo i corrispondenti speciali [termine con cui i media Usa definiscono i loro stringer iracheni] Saad al-Izzi e Nasir Nuri da Baghdad e Saad Sarhan da Najaf.

da Washington Post

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)