L’influenza dei modelli culturali dell’antichità greco-romana sull’arte e la cultura medievale e rinascimentale italiana è ricostruita da Antonio Paolucci alla luce dalla mostra Exempla, che aprirà il 20 aprile presso Castel Sismondo di Rimini. Secondo Paolucci l’amore per l’arte classica di Federico II sta alla base del Rinascimento toscano e poi italiano. L’artista che fece da veicolo fra la breve stagione federiciana e la riscoperta dei modelli classici operata in Toscana, sarebbe Nicola Pisano, scultore formatosi in Puglia nel contesto ideologico di Federico II e poi trasferitosi a Pisa dove diffuse le nuove forme antichizzanti. Il connubbio fra elementi tratti dall’antichità classica e modelli tipici della cultura romanica e protogotica costituirebbe, secondo Paolucci, il carattere distintivo dell’arte e della cultura italiana fra Basso medioevo e Rinascimento.
Nel Sud, in Puglia, c’è Castel del Monte, l’ottagono più bello del mondo a dominare come una corona le colline che degradano verso il mare. A volerlo così imponente e così classicamente armonioso fu Federico II Hohenstaufen, re e sacro romano imperatore. Gli anni di Federico – il sovrano che parlava tutte le lingue del Mediterraneo, oltre al tedesco, [...] che amava l’Italia, il diritto romano, le scienze naturali, i cavalli, i falconi e tutte le arti - furono splendidi per il Meridione. Il classicismo federiciano (l’idea laica coltivata dal grande imperatore, di una romanità da onorare e da recuperare, lo stile figurativo che ha avuto le sue manifestazioni più importanti nel cantiere di Castel del Monte, a Capua e nella Palermo trilingue dove si parlava latino, greco e arabo) sta alle origini del Rinascimento toscano e poi italiano. Come insegna la vicenda di Nicola Pisano autore nel 1260 del pulpito nel battistero di Pisa. Infatti la prima formazione del Pisano, più volte citato nei documenti come «de Apulia», era avvenuta nell’ambiente culturale, programmaticamente antichizzante e classicista, di Federico II. [...] Di fatto con Nicola Pisano e con il fiorentino Arnolfo di Cambio (plasticatore ma anche architetto, suoi sono i progetti di Palazzo Vecchio e di Santa Maria del Fiore) la lingua figurativa degli italiani può dirsi formata e ha già una sua riconoscibile identità. All’inizio nella scultura e nell’architettura, più tardi anche nella pittura. È una lingua che nasce dalle ceneri della civiltà classica, che si lascia contaminare e plasmare dagli idiomi romanici e protogotici di Francia, che sceglie di essere naturalistica aderendo con pronta determinazione alla rappresentazione del vero visibile, senza dimenticare tuttavia quei criteri di ordine, di proporzioni, di decoro formale che rimarranno caratteri distintivi nella storia artistica d’Italia. Il fatto è che sotto il nostro cielo l’Antico non era mai morto. Viveva nelle arene e nelle basiliche, nelle colonne e negli archi di città che mai avevano dimenticato di essere romane. Viveva nel Corpus iuris che i glossatori commentavano nelle università per piegarlo alle esigenze moderne. Viveva nella cultura classica preservata dalla Chiesa. La mostra che aprirà il 20 aprile prossimo [...] in Castel Sismondo di Rimini per la cura di Marco Bona Castellotti e di Antonio Giuliano, vuole raccontare proprio questo. Vuole raccontare cioè la nascita della nostra civiltà artistica. Una civiltà che prende forma all’inizio del Duecento sui modelli antichi e gradualmente si realizza nella scoperta del vero, nella intuizione dello spazio misurabile, nella rappresentazione direbbe il Vasari «delle attitudini e degli affetti». Protagonisti sono i maestri federiciani di Castel del Monte, di Capua, di Lucera, di Bari, il prodigioso miniatore del De arte venandi cum avibus, Nicola e Giovanni Pisano, Arnolfo di Cambio, i pittori romani Pietro Cavallini e Jacopo Torriti che declinano la dignitas antica secondo criteri di iconica sacralità. Il punto di arrivo di questa grandiosa rivoluzione è Giotto di Bondone [...]. A Firenze, alla fine della sua vita, Giotto fu incaricato di progettare il campanile della cattedrale che porta il suo nome. Non riuscì a vederlo realizzato neppure in piccola parte. Fece però in tempo a fornire i disegni per i rilievi che fasciano il primo ordine del campanile con le rappresentazioni simboliche delle arti. Uno dei rilievi raffigura l’«invenzione della scultura». Andrea Pisano, esecutore dell’idea giottesca, rappresenta Fidia che, paludato come un sapiente antico, è in atto di modellare una statua a tutto tondo. Questo capolavoro prestato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, stringe in emblema la filosofia che governa la mostra e ne giustifica il titolo: Exempla. È sugli esempi della classicità liberamente e modernamente interpretati però vissuti come riferimenti irrinunciabili, che poggia le sue fondamenta la lingua figurativa degli italiani; quella che dopo Giotto porterà a Masaccio [...] e dopo di lui a Piero della Francesca, a Raffaello, a Tiziano. Sigismondo Malatesta che si considerava novello Augusto, legislatore e fondatore, stirpe degli Scipioni, autocrate di una città tornata ‘antica’ volle da Leon Battista Alberti una chiesa-mausoleo ispirata a modelli classici. È la chiesa che tutti conosciamo come Tempio Malatestiano. Nessuna città meglio di Rimini poteva quindi ospitare una mostra come questa che ci fa capire («per exempla», appunto) la meravigliosa persistenza e la feconda vitalità dell’Antico.
La mostra Exempla, a cura di Marco Bona Castellotti e di Antonio Giuliano, sarà allestita presso Castel Sismondo a Rimini a partire dal 20 aprile. | |