Quale immagine della regina Maria Antonietta emerge dalla mostra a lei dedicata al Grand Palais di Parigi? Secondo Isabella Bossi Fedrigotti quella di una giovane donna entusiasta ma impreparata, rimasta affascinata dal lusso e dai rituali della corte francese e finita in un gioco più grande di lei: la rivoluzione. La mostra raccoglie più di trecento documenti, oggetti, quadri prevalentemente di origine francese e austriaca. La prima sezione è tutta dedicata a descrivere il contrasto fra la “modesta” e morigerata corte viennese, in cui Maria Antonietta era cresciuta, e lo sfarzo e la ricchezza della corte francese. Poi vi è la vita da regina di Francia, adulata da molti, criticata da altri per le sue spese di rappresentanza ritenute eccessive. La mostra si chiude con la terza sezione dedicata agli anni di prigionia, illustrati da disegni e libelli di satira e feroce critica.
Le tricoteuses, a quanto pare, esistono ancora. Di fronte ai ritratti dello sfortunato Luigi XVI e dei suoi molto somiglianti fratelli, il conte di Provenza e il conte di Artois, un gruppo di signore [...] si dà di gomito ridacchiando: «È lui?» chiede una portandosi verso il collo la mano tesa a lama in un significativo gesto, mentre le altre annuiscono soddisfatte. Dovranno però arrivare all’ultima sezione dell’ampia mostra che il Grand Palais dedica alla regina Maria Antonietta (fino al 30 giugno), con la famiglia reale imprigionata alla Conciergerie, per trovare di nuovo pane per i loro denti. Per il resto, infatti, l’esposizione, che raduna più di trecento pezzi, tra dipinti, mobili, oggetti e documenti provenienti da tutta Europa, ovviamente in particolare da Francia e Austria, manda assolta con formula quasi piena la sovrana delle brioche, che, per altro, ormai lo si sa, la famosa frase pare non l’avesse mai pronunciata. E a proposito di quel che si può ammirare nelle sale del Grand Palais, bisogna dire che ci sono film che, indipendentemente dalla loro qualità, in un certo modo «fanno la storia», non si sa se davvero cogliendone la verità più profonda, o se, invece, fatalmente travisandola: è già successo con Amadeus, in nome del quale Mozart resterà per sempre il geniale ragazzo indisciplinato dalla risata un po’ folle voluto da Milos Forman; e succede di nuovo con il più recente Maria Antonietta di Sofia Coppola che ha ridisegnato il profilo della tragica regina, forse non soltanto nella nostra fantasia. La mostra sembra infatti «sposare», sia pure in maniera non così hollywoodiana, il ritratto che ne ha disegnato la regista americana: di una deliziosa giovane donna, cioè, piena di grazia e di allegria, pazza di bei vestiti, bei mobili e begli oggetti, generosa e spendacciona, viziata e impreparata, finita in un gioco più grande di lei e rimasta definitivamente stritolata. Contribuì alla tragedia la distanza siderale tra gli usi della corte viennese e quelli di Versailles, efficacemente messi in scena da una serie di quadretti che descrivono la vita domestica dell’imperatrice Maria Teresa e di suo marito Francesco Stefano [...]: vi si vede l’imperatore in vestaglia, ciabatte e berretto da notte, circondato dalla moglie e dai bambini più piccoli, dentro una stanza modestamente arredata [...]. Una scena del genere mai avrebbe potuto non solo essere dipinta, ma nemmeno verificarsi nei palazzi reali francesi, all’interno dei quali ogni momento della giornata era parte di un pomposo e macchinoso teatrino [...] destinato a far dimenticare che il re era anche un uomo. Impensabile, insomma, a Versailles, che un sovrano si lasciasse dipingere (sia pure da una delle figlie, com’è il caso delle gouache in questione) in pantofole e berrettone da notte. Ma impensabile anche, ad esempio, che una sovrana usasse i suoi abiti smessi per farne confezionare di nuovi per le sue figlie, come era l’uso di Maria Teresa. Per contro a Vienna sarebbe stato inimmaginabile che una regina dovesse — come succedeva a Parigi— con gran cerimonia e senza sbagliare un gesto, alzarsi dal letto, pettinarsi, truccarsi, vestirsi e mangiare sotto gli occhi di un folto pubblico di privilegiati ammessi ogni mattina nella sua stanza. Mentre la prima parte dell’esposizione mostra questi contrasti, però smussati, minimizzati dal calore e dall’entusiasmo non solo popolare, con i quali fu accolta la giovanissima moglie del Delfino [...], la seconda parla della sua vita da opulenta regina, adulatissima, per un verso, e per l’altro già criticata, già contestata: madame Deficit la chiamano o, più tardi, madame Veto, perché si disse che fu lei a opporsi ai progetti liberaleggianti di suo marito. La si vede, dunque, in innumerevoli ritratti, ora vestita di abiti infiocchettati in modo demenziale, ora nella sua gloria di madre e sposa, ora suntuosa amazzone a cavallo [...]. Ma ecco, poco prima di affrontare la terza parte della mostra, che lo scenografo canadese Robert Carsen ha voluto al buio, con fievoli luci a illuminare le singole vetrine, la copia della famosa «collana della regina», costosissimo gioiello di diamanti al centro di un intrigo che definitivamente rovinò la reputazione di Maria Antonietta, bollandola come avida dissipatrice delle fortune di Stato. Solo che era innocente perché non aveva ordinato il collier né aveva chiesto di acquistarlo. Non fu creduta, e l’episodio rappresenta — nella sua vita come nelle sale del Grand Palais — una specie di passaggio cruciale che apre le porte alla tragedia. Suggestiva è in questo senso la terza sezione, un’unica grande sala che, grazie al gioco delle luci smorzate, dà la sensazione di avanzare in un corridoio che si restringe al fondo: cammino obbligato che conduce — la protagonista del lungo racconto come anche il visitatore — verso l’ultima vetrina, là dove si può vedere l’estremo ritratto della regina, schizzo tratteggiato a penna da Jacques-Louis David, che la raffigura mentre viene portata al patibolo, le mani legate dietro la schiena, i capelli che spuntano da sotto la cuffia, tagliati alla bell’e meglio per il boia. Una spoglia figura in bianco e nero nella quale nessuno potrebbe riconoscere la rosea e radiosa adolescente di poco più di vent’anni addietro. Ma prima di giungere agli ultimi istanti di vita immortalati dal grande pittore c’è da percorrere la via crucis degli insulti e della satira, volentieri anche pornografica, che accompagnarono i suoi anni di prigionia, sotto forma di disegni, ritratti, libelli, quasi sempre anonimi, zeppi di ogni sorta di volgarità e oltraggi. [...] | |