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Una nuova super-diga minaccia la Siberia

di Astrit Dakli - 11/04/2008


 

Turukhansk: per il momento questo oscuro nome è ancora soltanto un progetto sulla carta e un piccolo porticciolo sul fiume Enisei, nella Siberia settentrionale, ma tutto fa pensare che nel 2009 vi si aprirà il cantiere di una delle più grandi dighe del mondo. Uno dei «progetti del secolo» russi, con uno sbarramento del fiume Tunguska inferiore (che affluisce nello Enisei appunto a Turukhansk) destinato a creare un lago artificiale lungo 1200 chilometri con una superficie di oltre 10mila kmq, che alimenterà una centrale elettrica capace inizialmente di una potenza di 10 gigawatt, aumentabili fino a 20 in una fase successiva (numeri abbastanza simili a quelli della super-diga delle Tre Gole in Cina).
A contrastare il faraonico progetto, per ora, soltanto alcuni ambientalisti e uno sparuto gruppo di qualche centinaio di evenki: un popolo siberiano di allevatori di renne (60mila in tutto, sparsi su un immenso territorio fra Russia e Cina) la cui sopravvivenza è già stata messa a rischio molto serio dalle trasformazioni avvenute nel XX secolo in Manciuria e nella Siberia meridionale (dighe, ferrovie, pipelines, impianti industriali). La maggior parte degli evenki oggi vive nelle città e ha perso anche la memoria delle proprie tradizioni e del proprio modo di vivere; solo pochissimi sono rimasti attaccati al territorio e alla cultura ed economia tradizionali e ora buona parte di loro vede il «progetto del secolo» di Turukhansk come la minaccia finale alla propria sopravvivenza. Il futuro lago artificiale renderà infatti impossibile l'allevamento delle renne in un territorio immenso - oltre a comportare la sommersione di una decina di villaggi e la risistemazione, in centri più grandi, di circa mille evenki. Da qui la lotta che questi, appoggiati dall'«Associazione russa dei Popoli indigeni del nord», intendono condurre per impedire la realizzazione del progetto portato avanti dalla Hydro-Ogk, la maggior compagnia di produzione idroelettrica della Russia (e seconda del mondo dopo la canadese Hydro-Quebec).
Hydro-Ogk, da parte sua, sostiene che «non si farà nulla senza l'accordo delle popolazioni locali»: ma per ora le sue trattative con l'Associazione che rappresenta gli evenki non hanno portato a niente. Al contrario, la massiccia prevalenza numerica, nella regione, degli abitanti dei centri urbani e industriali finirà per garantire comunque all'azienda un «accordo» sui suoi progetti. Resta l'opposizione degli ambientalisti, che segnalano il rischio di provocare squilibri climatici dalle conseguenze imprevedibili in una vastissima regione, la perdita di quasi un milione di ettari di foresta vergine, l'aumento di salinità e radioattività dell'acqua dello Enisei, dovuto alle escavazioni e al deflusso di grandi quantità di terra in un'area con particolari caratteristiche mineralogiche.
Il problema, d'altra parte, non è legato solo alla diga e alla centrale. Questa infatti non serve a niente nella regione - che è quasi totalmente spopolata, con l'unico grosso centro industriale, Norilsk, già alimentato da due centrali elettriche più che sufficienti. Dunque l'elettricità prodotta dovrà essere portata lontanissimo e ciò comporterà migliaia di chilometri di enormi elettrodotti, a loro volta devastanti per l'ambiente che attraverseranno. E infine, ma non ultimo, il cantiere stesso sarà l'occasione per costruire migliaia di chilometri di strade e ferrovie (nei progetti c'è anche la famigerata «ferrovia polare», concepita ancora sotto Stalin e poi abbandonata, per congiungere la Transiberiana con il porto di Dudinka, sull'Oceano Artico).
Tutto questo sconquasso, di portata planetaria, in un paese che ha un grande surplus di energia, servirà almeno a ridurre le emissioni di Co2? No: al contrario, le aumenterà perché la diga di Turukhansk - come le altre sei dighe, più piccole, in programma in altre zone della Siberia - dovrebbe servire in ultima analisi proprio a coprire il crescente fabbisogno energetico interno della Russia senza diminuire, anzi aumentando le esportazioni di gas e petrolio destinati ad altri paesi industriali.