La crisi del sistema finanziario sembra essere entrata in un periodo di calma dovuto essenzialmente alla consapevolezza che il salvataggio della banca di investimento americana Bear Stearns significa che le autorità monetarie e politiche non permetteranno il fallimento di nessun istituto bancario. Questo giudizio è confortato dal rialzo dei titoli bancari e dalla riduzione del prezzo da pagare per assicurare i prestiti alle banche. Tutto ciò non ha comunque ridotto il costo del rifinanziamento sui mercati e soprattutto non ha scalfito la ritrosia delle banche a prestarsi capitali l¹un l¹altra. Infatti nonostante le banche centrali continuino ad immettere liquidità non è diminuito di molto il differenziale dei tassi a breve rispetto ai tassi base.
L¹allentamento temporaneo della tensione non vuole assolutamente dire che la crisi è superata, ma semplicemente che siamo entrati in una fase di bonaccia, rafforzata dell¹aspettativa che la riunione del G7, che si terrà questa fine settimana, spiani definitivamente la strada a una ricapitalizzazione del sistema bancario occidentale con soldi della collettività. Addirittura alcuni ipotizzano di assegnare questo compito al Fondo Monetario Internazionale e lo stesso FMI sembra felice di ritrovare un suo ruolo dopo essersi trovato senza lavoro per il miglioramento delle condizioni finanziarie di molti paesi in via di sviluppo e soprattutto dopo che anche alcuni paesi ancora bisognosi di aiuto non vogliono più sentire parlare di FMI, poiché i suoi piani di salvataggio si sono spesso rivelati piani di distruzione delle economie che si intendeva aiutare. Che il sistema bancario necessiti di una ricapitalizzazione è fuori dubbio.
Il motivo è molto semplice: le banche sono a corto di capitali e quindi non hanno mezzi propri a sufficienza per ammortizzare ulteriori perdite. A conferma di questa tesi si può usare l¹esempio di UBS. La maggiore banca svizzera ha finora denunciato perdite e rettifiche di valore per 37 miliardi di franchi e due aumenti di capitali per un totale di 28 miliardi di franchi. Le «procedure di urgenza» usate dimostrano che questi passi non erano solo necessari, ma addirittura indispensabili. Infatti nel primo caso si è ricorsi ad un fondo statale di Singapore e ad un anonomo investitore con l¹emissione di obbligazioni convertibili obbligatoriamente per circa 13 miliardi di franchi. Nel secondo caso si sta procedendo ad un aumento di capitale di 15 miliardi di franchi immediatamente garantito da un sindacato formato da quattro grandi banche (sarebbe interessante conoscere quanto pagherà UBS per questa garanzia). La situazione non è diversa per le banche americane che, come UBS, hanno usato i mezzi propri e si sono indebitate (o meglio hanno usato la leva) per fare grandi scommesse sui mercati. E le cifre cominciano ad emergere. Stando al «Wall Street Journal», i livelli di indebitamento di banche come Goldman Sachs, Morgan Stanley, Lehman Brothers e Merrill Lynch equivalgono a 30 volte i mezzi propri. Per meglio far capire cosa ciò significhi, il quotidiano americano scrive «è come se un¹azienda o una famiglia fosse proprietaria solo del 3% di una casa e il restante 97% fosse coperto da crediti ipotecari». La realtà è ancora più grave, poiché i soldi presi a prestito venivano e vengono investiti in operazioni finanziarie ad alto rischio. Insomma queste banche di investimento sono in realtà dei grandi Hedge Funds.
Ora, se è innegabile che il salvataggio di banche come Bear Stearns con l¹uso massiccio di soldi pubblici (per l¹esattezza 29 miliardi di dollari) è indispensabile per evitare che il loro fallimento provochi una crisi sistemica, non è però accettabile che l¹aiuto statale venga «cammuffato» in modo da non provocare una reazione politica che porterebbe al cambiamento radicale delle regole del gioco. E l¹intervento statale c¹è già ed è notevole. Il più importante aiuto è l¹implicita garanzia, confermata dal salvataggio della Bear Stearns, che nessuna banca fallirà. Ma c¹è di più. Vi è lo stravolgimento di tutte le regole di finanziamento del sistema bancario da parte delle banche centrali, con l¹accettazione come pegno di qualsiasi tipo di titolo.
Infatti con le continue iniezioni di liquidità si è di fatto «nazionalizzato» questo mercato, trasferendo nei conti delle banche centrali gran parte dei titoli a rischio (nel caso degli Stati Uniti 300 miliardi di dollari di titoli da dicembre ad oggi). Inoltre, agenzie parastatali come Freddie Mac e Fannie Mae, così come le Federal Home Loan Banks, sono state lanciate a garantire o a comprare titoli legati al mercato immobiliare americano per un totale di altri 300 miliardi di dollari. Queste operazioni, da un canto hanno alleggerito e di molto la pressione sul sistema bancario americano e hanno finora permesso di evitare altri crack bancari, dall'altro sono architettate in modo tale da non apparire per quello che in realtà sono, cioé un intervento dello Stato che si addossa i cattivi rischi delle banche. Ma tutto ciò non basta e quindi si ipotizza l¹intervento dell¹FMI, anche perché si è perfettamente consapevoli che la recessione è destinata a far aumentare la quantità dei crediti inesigibili e quindi a peggiorare le condizioni del sistema bancario. Ma questa è musica delle prossime settimane.
Oggi è importante comprendere che è in corso una grande operazione di sussidiamento pubblico al sistema finanziario e che addirittura se ne sta preparando un¹altra di dimensioni ancora maggiori. Nonostante i tentativi di cammuffare questi aiuti statali ai signori dei bonus e delle buonuscite milionarie, la continuazione della crisi impedirà di raggiungere lo scopo di salvaguardare i meccanismi della nuova ingegneria finanziaria, che è quel gioco infernale fatto di miliardi e miliardi di debiti che è la causa prima dell¹attuale crisi.
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