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Lo Stato al capezzale delle banche

di Alfonso Tuor - 14/04/2008

Fonte: cdt.ch

 
La crisi del sistema finanziario sembra essere entrata in un periodo di
calma dovuto essenzialmente alla consapevolezza che il salvataggio della
banca di investimento americana Bear Stearns significa che le autorità
monetarie e politiche non permetteranno il fallimento di nessun istituto
bancario. Questo giudizio è confortato dal rialzo dei titoli bancari e dalla
riduzione del prezzo da pagare per assicurare i prestiti alle banche. Tutto
ciò non ha comunque ridotto il costo del rifinanziamento sui mercati e
soprattutto non ha scalfito la ritrosia delle banche a prestarsi capitali
l¹un l¹altra. Infatti nonostante le banche centrali continuino ad immettere
liquidità non è diminuito di molto il differenziale dei tassi a breve
rispetto ai tassi base.

L¹allentamento temporaneo della tensione non vuole assolutamente dire che la crisi è superata, ma semplicemente che siamo entrati in una fase di
bonaccia, rafforzata dell¹aspettativa che la riunione del G7, che si terrà
questa fine settimana, spiani definitivamente la strada a una
ricapitalizzazione del sistema bancario occidentale con soldi della
collettività. Addirittura alcuni ipotizzano di assegnare questo compito al
Fondo Monetario Internazionale e lo stesso FMI sembra felice di ritrovare un suo ruolo dopo essersi trovato senza lavoro per il miglioramento delle
condizioni finanziarie di molti paesi in via di sviluppo e soprattutto dopo
che anche alcuni paesi ancora bisognosi di aiuto non vogliono più sentire
parlare di FMI, poiché i suoi piani di salvataggio si sono spesso rivelati
piani di distruzione delle economie che si intendeva aiutare.
Che il sistema bancario necessiti di una ricapitalizzazione è fuori dubbio.

Il motivo è molto semplice: le banche sono a corto di capitali e quindi non
hanno mezzi propri a sufficienza per ammortizzare ulteriori perdite. A
conferma di questa tesi si può usare l¹esempio di UBS. La maggiore banca
svizzera ha finora denunciato perdite e rettifiche di valore per 37 miliardi
di franchi e due aumenti di capitali per un totale di 28 miliardi di
franchi. Le «procedure di urgenza» usate dimostrano che questi passi non
erano solo necessari, ma addirittura indispensabili. Infatti nel primo caso
si è ricorsi ad un fondo statale di Singapore e ad un anonomo investitore
con l¹emissione di obbligazioni convertibili obbligatoriamente per circa 13
miliardi di franchi. Nel secondo caso si sta procedendo ad un aumento di
capitale di 15 miliardi di franchi immediatamente garantito da un sindacato
formato da quattro grandi banche (sarebbe interessante conoscere quanto
pagherà UBS per questa garanzia). La situazione non è diversa per le banche americane che, come UBS, hanno usato i mezzi propri e si sono indebitate (o meglio hanno usato la leva) per fare grandi scommesse sui mercati. E le cifre cominciano ad emergere. Stando al «Wall Street Journal», i livelli di indebitamento di banche come Goldman Sachs, Morgan Stanley, Lehman Brothers e Merrill Lynch equivalgono a 30 volte i mezzi propri. Per meglio far capire cosa ciò significhi, il quotidiano americano scrive «è come se un¹azienda o
una famiglia fosse proprietaria solo del 3% di una casa e il restante 97%
fosse coperto da crediti ipotecari». La realtà è ancora più grave, poiché i
soldi presi a prestito venivano e vengono investiti in operazioni
finanziarie ad alto rischio. Insomma queste banche di investimento sono in
realtà dei grandi Hedge Funds.

Ora, se è innegabile che il salvataggio di banche come Bear Stearns con
l¹uso massiccio di soldi pubblici (per l¹esattezza 29 miliardi di dollari) è
indispensabile per evitare che il loro fallimento provochi una crisi
sistemica, non è però accettabile che l¹aiuto statale venga «cammuffato» in modo da non provocare una reazione politica che porterebbe al cambiamento radicale delle regole del gioco. E l¹intervento statale c¹è già ed è notevole. Il più importante aiuto è l¹implicita garanzia, confermata dal salvataggio della Bear Stearns, che nessuna banca fallirà. Ma c¹è di più. Vi è lo stravolgimento di tutte le regole di finanziamento del sistema bancario da parte delle banche centrali, con l¹accettazione come pegno di qualsiasi tipo di titolo.

Infatti con le continue iniezioni di liquidità si è di fatto «nazionalizzato» questo mercato, trasferendo nei conti delle banche centrali gran parte dei titoli a rischio (nel caso degli Stati Uniti 300 miliardi di dollari di titoli da dicembre ad oggi). Inoltre, agenzie parastatali come
Freddie Mac e Fannie Mae, così come le Federal Home Loan Banks, sono state lanciate a garantire o a comprare titoli legati al mercato immobiliare
americano per un totale di altri 300 miliardi di dollari. Queste operazioni,
da un canto hanno alleggerito e di molto la pressione sul sistema bancario
americano e hanno finora permesso di evitare altri crack bancari, dall'altro
sono architettate in modo tale da non apparire per quello che in realtà sono, cioé un intervento dello Stato che si addossa i cattivi rischi delle
banche. Ma tutto ciò non basta e quindi si ipotizza l¹intervento dell¹FMI,
anche perché si è perfettamente consapevoli che la recessione è destinata a far aumentare la quantità dei crediti inesigibili e quindi a peggiorare le condizioni del sistema bancario. Ma questa è musica delle prossime settimane.

Oggi è importante comprendere che è in corso una grande
operazione di sussidiamento pubblico al sistema finanziario e che
addirittura se ne sta preparando un¹altra di dimensioni ancora maggiori.
Nonostante i tentativi di cammuffare questi aiuti statali ai signori dei
bonus e delle buonuscite milionarie, la continuazione della crisi impedirà
di raggiungere lo scopo di salvaguardare i meccanismi della nuova ingegneria finanziaria, che è quel gioco infernale fatto di miliardi e miliardi di debiti che è la causa prima dell¹attuale crisi.