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Aldo Spallicci e l’autonomia della Romagna

di Michele Fabbri - 15/04/2008

Fonte: michelefabbri

 

 

Spallicci

Aldo Spallicci (Bertinoro 1886 – Premilcuore 1973) è il punto di riferimento indiscusso dell’identità romagnola. Spallicci, infatti, consacrò tutta la sua attività culturale al tema dell’identità locale della Romagna, sia sotto l’aspetto storico e letterario, sia sotto l’aspetto politico e amministrativo. Spallicci, medico di professione, è stato il più fecondo autore di poesie in dialetto romagnolo, nelle quali esprime un vitalismo di ascendenza neopagana e un forte sentimento di attaccamento alla propria terra[1]; inoltre Spallicci ha lasciato numerosi scritti e studi sulla storia e sul folclore della Romagna. Parte importante della sua eredità culturale è la rivista La Piê, il cui nome è la denominazione in dialetto romagnolo di quella particolare focaccia universalmente nota come “piadina romagnola”. La rivista, fondata nel 1920, è a tutt’oggi edita come pubblicazione bimestrale e costituisce un fondamentale strumento di diffusione della cultura locale in Romagna.

 

Spallicci fu anche un appassionato uomo politico: in gioventù aderì al Partito Repubblicano, e fu un sincero sostenitore del pensiero di Mazzini. Tuttavia Spallicci ebbe sempre un particolare attaccamento alla sua piccola patria romagnola, che può apparire in contrasto con la rigidità dello stato unitario nato dalle vicende risorgimentali. Naturalmente le scelte ideologiche di Spallicci vanno contestualizzate: a quel tempo un giovane intellettuale era facilmente attratto da un certo nazionalismo di stampo giacobino, che all’epoca era un sentimento molto diffuso. Nel 1914 Spallicci si arruolò come volontario per combattere in Francia, per poi tornare in Italia dove servì come ufficiale medico fino al termine del conflitto. Negli anni ’20, dopo qualche iniziale simpatia per il fascismo, cominciò a prendere le distanze dal regime, fino ad essere condannato al confino, e imprigionato a Milano durante la guerra. Nel dopoguerra continuò l’attività politica con il Partito Repubblicano, fu eletto in parlamento, e si battè strenuamente per il riconoscimento della Romagna come regione, purtroppo senza riuscire a raggiungere l’obiettivo. Negli anni ’60, in seguito allo sbandamento a sinistra del governo italiano che aveva aperto al Partito Socialista, Spallicci, uomo di sentimenti moderati, uscì dal Partito Repubblicano.

 

Spallicci è ancora oggi un intellettuale che ha molto da dire al mondo contemporaneo: numerosi suoi scritti sono davvero profetici riguardo a temi che oggi si collocano all’avanguardia del dibattito di idee che anima la scena culturale contemporanea. Alcuni articoli di Spallicci apparsi su riviste e giornali anticipano il tema dell’ecologia identitaria: «L’anima della terra», «Salviamo la nostra pineta», «Per una associazione che tuteli la bellezza del paesaggio», «Alt alle accette», «E lasciate gli abeti alle montagne», «Lo spopolamento della montagna». Ecco una dichiarazione davvero significativa con cui il nostro autore si inserisce nel filone culturale della classica critica alla modernità: «Ci siamo allontanati troppo dalla natura, ci siamo smarriti per tortuosi sentieri sì che pare abbiamo perso di vista il senso primo della vita…Il mercante, ecco il nemico !»[2]. Troviamo poi spunti di polemica contro l’esterofilia e l’americanismo: «L’americanismo è diventato ormai una malattia endemica. Un’occhiata alle città italiane  basta per convincersene. I grattacieli sorgono come funghi…Un’edilizia rurale nostra dovrebbe essere argomento di studio dei nostri giovani architetti»[3].

 

Spallicci fu insofferente di quella concezione burocratica dello stato che in Italia ha purtroppo trovato tanti seguaci, e si battè per l’abolizione della Provincia: «Ma il conservatorismo miope di talune popolazioni meridionali affezionate alla provincia e lo spirito accentratore dei socialcomunisti hanno tarpato le ali a questa radicale riforma e ci hanno regalato ancora questa sopravvivenza di marca dittatoriale che è la provincia napoleonica»[4]. Come si vede affiorano anche spunti di antimeridionalismo che si presentano in quest’altro pezzo, dove Spallicci commenta l’insuccesso dell’autonomismo romagnolo: «Chi ha fatto traboccare la bilancia, oltre che i comunisti e i socialisti delle due tendenze, nemici di ogni decentramento per la loro cieca devozione allo stato concepito come un dio Mammone, sono stati i meridionali che possono conoscere la Romagna nell’istesso modo con cui noi possiamo conoscere il loro paese. E dire che tutti noi si aveva dato affidamento di consentire all’autonomia del Molise, invocata con tanto accoramento dai deputati Colitto e Camposancuro !…Ad ogni modo lo schiaffo è stato menato»[5].

 

Per l’autonomia della Romagna, Spallicci ha scritto pagine vibranti di passione: «Noi non esiteremo a mettere sul tappeto una circoscrizione romagnola autentica basata sulla geografia, sulla storia, sulla tradizione, sull’economia e sull’orientamento politico…Noi siamo propensi alla piccola più che alla grande regione appunto perché siamo d’avviso che gli interessi collettivi si governino più da vicino che da lontano e che le burocrazie si creino colle distanze !»[6]. E’ straordinariamente attuale quest’articolo che riassume con grande efficacia il senso dell’identità romagnola: «Ci avviamo quasi al ventennio dalla promulgazione della Costituzione ma l’articolo 114, in cui si parla di regioni, rimane ancora lettera morta per quasi tutta Italia; se si eccettuino le sei regioni da tempo costituite (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, e Valle d’Aosta). La Romagna è separata con una trattina dall’Emilia. Noi la vorremmo regione a sé stante come è stato fatto per il Molise che è stato separato dagli Abruzzi a cui era unito con una congiunzione. Si dice l’“onere finanziario” e noi assistiamo a sperperi colossali (quali quelli che sono stati gettati per la nazionalizzazione dell’ENEL) e vediamo rinviare a tempo indeterminato ciò che è stato solennemente prescritto nella carta fondamentale della Repubblica. Noi alla Costituente avevamo caldeggiato la soppressione della provincia, ma non riuscimmo ad ottenerla. La spesa sarebbe stata notevolmente ridotta in tal caso. Regione adunque, e, per quel che ci riguarda da vicino, regione romagnola nella sua integrità, cioè dal Tavollo al Sillaro, i due piccoli corsi d’acqua che la delimitano lungo la via Emilia. Il circondario di Imola deve far parte integrante della Romagna. Il secolo è trascorso da sei anni da quando il circondario imolese da Ravenna passò alla provincia di Bologna. Fu un cambio; Ravenna acquistò il circondario di Lugo che faceva parte della provincia di Ferrara e perdette Imola. È tempo che l’errore sia corretto e che la Romagna si presenti etnograficamente, geograficamente e politicamente unita. Non si può rimandare oltre la soluzione del problema. La Romagna ai romagnoli !» (La Regione Romagnola da La Piê, n.34 del 1965)[7].

 

L’attaccamento alla patria regionale assume una forte connotazione etnica e decisamente premoderna in questo passo in cui l’autore definisce la natura di quella che lui chiama “anima regionale”: «anima divina che ha il senso della stirpe e che dà le vertigini della poesia»[8]. E già in età giovanile Spallicci mostrava di avere un senso molto spiccato dell’identità locale, commentando in questo modo la morte di Federico Mistral, il cantore regionale della Provenza: «sentì pulsare nel suo petto il cuore della sua piccola patria e il suo canto fermo e sereno fu l’unisono delle mille voci della sua terra…sentì una nostalgia acuta per il tesoro delle leggende e delle tradizioni patrie che la livellante civiltà tende ogni giorno a sommergere e a cancellare…Uomini di buona volontà, figli della nostra fervida terra, non lasciate morire le voci buone perché parlano ormai basso, soffocate da quelle che sembran grandi perché gridano a gran voce»[9]. Queste parole mostrano con quale intima partecipazione Spallicci affrontasse il tema delle culture locali. Se il cantore della Romagna vivesse nel contesto attuale, probabilmente le sue passioni politiche non sarebbero più quelle che lo infiammarono nella prima metà del ‘900: è verosimile pensare che Spallicci oggi sarebbe vicino al fronte identitario delle autonomie regionali. Tanto più che traspare, negli scritti pubblicati in età avanzata, qualche ripensamento sulle vicende risorgimentali: «v’è proprio da lamentare una tal quale fragilità nella coesione nazionale che si presenta molto spesso lacunosa». Nello stesso pezzo, Spallicci cita Mazzini, che verso la fine dei suoi giorni ebbe a dire: «l’unità morale degli Italiani, non è peranco iniziata»[10].

 

Un’ultima importante notazione riguarda la rivista La Piê che, come si diceva all’inizio, è tuttora il più efficace strumento divulgativo della cultura locale romagnola. La rivista fu soppressa nel 1933 dal regime fascista, e riprenderà le pubblicazioni soltanto nel dopoguerra. Ecco che cosa si legge nel testo del decreto prefettizio del 24 luglio del 1933 con cui il regime si apprestava a sopprimere la pubblicazione: «si affermava la preminenza di partigiana idea di regionalismo bandita dal sentimento nazionale della vita fascista e nel quale era peraltro implicito il preordinato agnosticismo di una rivoluzione che ha prestigio mondiale e che fa parte integrale della vita della Nazione», e aveva continuato «ad ignorare il Regime e la grande Rivoluzione Fascista ostentando in tal modo un voluto e preordinato assenteismo alla grandiosa attività del Governo Nazionale»[11].

 

In questa tronfia retorica non sembra di sentire le reprimende antiautonomiste di tanti politici odierni ?

 

 

 

 

Michele Fabbri



[1] Delle poesie di Spallicci è disponibile una vasta antologia: Aldo Spallicci, Poesie in volgare di Romagna. Antologia a cura di Maria Assunta Biondi e Dino Pieri (Cesena:Società Editrice Il Ponte Vecchio, 2005)

[2]  Aldo Spallicci, Opera omnia, (Rimini: Maggioli Editore, voll. 1-7, 1988 – 1996) vol. 1.1, p.313-4

[3]  Aldo Spallicci, Opera omnia cit., vol. 1.1, p.503

[4]  Aldo Spallicci, Opera omnia cit., vol. 1.1, p.335

[5]  Aldo Spallicci, Opera omnia cit., vol. 1.1, p.338

[6]  Aldo Spallicci, Opera omnia cit., vol. 1.1, p.335

[7]  Aldo Spallicci, Opera omnia cit. vol.1.1, p.342

[8]  Aldo Spallicci, Opera omnia cit., vol. 1.1, p.559

[9]  Aldo Spallicci, Opera omnia cit., vol. 1.2, p.377

[10]  Aldo Spallicci, Opera omnia cit., vol. 1.1, p.515

[11]  La Piê, n.1, 2004, p.32