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La guerra di Secessione

di Michele Fabbri - 15/04/2008

Fonte: michelefabbri

 

 Secessione

 

Le opere più esaustive pubblicate in lingua italiana sulla guerra di Secessione sono quelle dell’insigne americanista Raimondo Luraghi, tuttavia un libro molto interessante sull’argomento è Dalla parte di Lee, di Alberto Pasolini Zanelli. Il titolo lascia già intendere che il libro di Pasolini Zanelli si prefigge di descrivere la guerra civile dalla parte dei vinti, cercando di intenderne e di valorizzarne le ragioni.

 

Le origini del conflitto stanno nella differenza che si delinea fra gli stati settentrionali degli Stati Uniti, sempre più lanciati verso la moderna economia industriale, e gli stati del Sud, ancora fondati sull’economia agricola, e soprattutto sulla coltivazione del cotone. Il presidente Lincoln avviò una politica di protezionismo industriale che prevedeva porte aperte ai capitali stranieri e all’immigrazione, e la costruzione di strade e ferrovie su scala continentale. Per sostenere questo sforzo gigantesco vennero introdotte tasse sui consumi e sulle tariffe doganali. Il Sud, scarsamente industrializzato, prosperava solo col commercio di cotone importando dall’Europa gran parte dei manufatti, quindi la sua economia era rovinata dal protezionismo nordista.

 

Nel 1861 gli stati del Sud reagirono confederandosi fra di loro e dichiarando incostituzionale ogni dazio; da parte sua il presidente Lincoln attuò il blocco navale sui porti del Sud e minacciò di invadere con l’esercito unionista i territori secessionisti. I governatori sudisti, dando vita alla Confederazione e proclamando la Secessione erano peraltro convinti di agire secondo lo spirito originario della costituzione americana, spingendo alle logiche conseguenze l’interpretazione dei diritti di libertà individuale (del resto la stessa dichiarazione d’Indipendenza del 1776 era stata un gesto di Secessione). La cultura ufficiale, circa le cause della guerra, ha molto insistito sulla questione della schiavitù dei negri. In realtà i gruppi che si battevano per l’abolizione erano una ristretta minoranza al Nord: si trattava per lo più di puritani integralisti che cominciavano ad abbozzare l’ideologia messianica della democrazia americana, destinata a portare l’uguaglianza sulla terra. Talvolta questi gruppi, armati di Bibbia e fucile, cercavano di aizzare gli schiavi alla rivolta contro i bianchi, come nel celebre caso di John Brown, responsabile di più di un eccidio nel Kansas. La schiavitù in realtà era legale anche in alcuni stati del Nord, e Lincoln si guardava bene dal proporne l’abolizione, sapendo di avere contro la grande maggioranza dell’opinione pubblica. D’altra parte nel Sud molti pensavano che si dovesse andare verso una graduale abolizione della schiavitù: fra questi c’erano anche il presidente sudista Jefferson Davis e lo stesso leggendario comandante dell’armata della Virginia, il generale Robert Edward Lee. La questione dell’abolizionismo, comunque, finì per gettare altra benzina sul fuoco, offrendo alla classe dirigente nordista la giustificazione per ammantare di motivazioni umanitarie la ferocia del conflitto: una strategia propagandistica destinata a fare da modello a tutte le successive guerre americane…

 

Lincoln si guardò bene dall’attaccare per primo (le democrazie devono sempre fare la parte della vittima…) e lasciò che i sudisti prendessero a cannonate la guarnigione di Fort Sumter. A questo punto c’era il casus belli, quindi i nordisti si apprestarono a schiacciare i ribelli secessionisti con la baldanzosa certezza in una rapida vittoria su quello che era considerato un esercito di straccioni. In realtà nel Sud i giovani erano abituati ad usare le armi ed erano avvezzi alla vita in campagna, al contrario i borghesi del Nord frequentavano salotti e teatri: sul fiume Bull Run ci fu il primo scontro fra i due eserciti nel quale, dopo una serie di concitate scaramucce, i nordisti batterono in ritirata. Per Lincoln fu uno choc, e da quel momento si rese conto che la Secessione non era uno scherzo. Dall’altra parte i sudisti, consapevoli della loro inferiorità numerica e industriale tergiversavano nel valutare le potenzialità del Nord: ma la loro unica speranza di vittoria era quella di condurre una guerra lampo approfittando dell’impreparazione momentanea dei nordisti. Un’azione decisa volta alla conquista di Washington e di New York avrebbe costretto il Nord a riconoscere la Confederazione. Il Nord, invece, poteva aspettare, e poteva permettersi di attuare la “strategia dell’anaconda”, ovvero circondare e soffocare il Sud col blocco navale e con l’enorme quantità di uomini e mezzi che gli unionisti potevano mettere in campo.

 

La guerra dunque si prolungava e si differenziava a seconda dei fronti: nell’Est si combatteva con eserciti in formazione serrata, come nelle guerre napoleoniche, nel West, invece, il conflitto si frammentava in azioni di guerriglia e in piccoli scontri com’era uso nelle guerre indiane (in entrambi gli eserciti c’erano tribù di pellerossa che combattevano a fianco dei reparti regolari). Nelle battaglie campali i nordisti erano in evidente difficoltà: infatti la maggior parte degli ufficiali usciti dalla prestigiosa accademia militare di West Point erano secessionisti. Nel Sud i giovani erano attirati dalla carriera militare, mentre al Nord si preferivano più redditizie carriere nel mondo industriale. I nordisti lanciarono un attacco contro la capitale sudista Richmond, ma furono disorientati e battuti più volte dalle agili manovre dell’esercito sudista. I soldati del Sud erano fortemente motivati poiché sapevano di combattere per la sopravvivenza stessa del loro stile di vita, mentre gli eserciti del Nord erano formati da soldati che si arruolavano alla ricerca di lavoro: in tutte le grandi battaglie della guerra i nordisti lamentarono perdite superiori a quelle dei sudisti, ma per ogni soldato morto nelle file del Nord ce n’erano altri due pronti a prendere il suo posto, mentre il Sud non aveva rimpiazzi…

 

Fino al 1863 il Nord non riuscì a ottenere successi significativi: la guerra era sempre più impopolare, e i civili nordisti sempre più spesso dovevano assistere allo spettacolo angoscioso dei treni e dei battelli carichi di feriti e di mutilati che tornavano dal fronte. Il generale Lee decise di tentare la mossa di un’invasione del Nord destinata, in caso di successo, a metter fine alla guerra con la vittoria della Secessione, ma i sudisti furono fermati sul fiume Antietam. Dopo la battaglia dell’Antietam Lincoln decise di abolire la schiavitù, un gesto che fu dettato soprattutto da questioni di politica estera: la Francia e l’Inghilterra non nascondevano simpatie per il Sud e sembravano intenzionate a intervenire in aiuto della Confederazione. Con l’abolizione della schiavitù Lincoln divenne popolarissimo nei circoli progressisti e marxisti che pullulavano nella vecchia Europa, e a questo punto l’opinione pubblica europea non avrebbe mai accettato un intervento in favore dei “razzisti” del Sud.

 

Nel luglio del 1863 si svolse la battaglia decisiva di Gettysburg: le armate si affrontarono per due giorni fino a quando, il terzo giorno, i sudisti cercarono di sfondare il fronte azzardando un assalto all’arma bianca al centro dello schieramento nordista. I cannoni sudisti bombardarono la zona prescelta per l’attacco nella speranza di indebolire le difese nemiche, poi cominciò l’avanzata della fanteria, ma i soldati grigi del Sud, giunti vicino al nemico, furono massacrati da un fuoco d’artiglieria a mitraglia che in poco più di tre minuti falciò migliaia di uomini, quindi seguì un quarto d’ora in cui i soldati blu del Nord travolsero i superstiti con una carica alla baionetta. Nel giro di venti minuti l’armata sudista aveva perso i vantaggi accumulati in anni di vittorie.

 

Eppure anche dopo l’epica battaglia di Gettysburg, le sorti della guerra erano tutt’altro che segnate: i nordisti vennero ancora battuti ripetutamente in diverse battaglie, e Lincoln per arruolare nuovi uomini spalancò le porte all’immigrazione concedendo la cittadinanza agli stranieri che si arruolavano, e attirandosi però le critiche degli ambienti più conservatori del Nord. Ma poiché questa misura drastica non bastava ancora, Lincoln si vide costretto a prendere il più impopolare dei provvedimenti: la leva obbligatoria. Andare a morire per liberare i negri del Sud non era la più grande aspirazione dei giovani del Nord, e la prima giornata di arruolamento finì in una rivolta furiosa nelle strade di New York durante la quale molti negri vennero linciati e l’esercito dovette intervenire per sedare l’insurrezione.

 

I nordisti, esasperati dalla durata della guerra incrudelirono il conflitto, e i generali del Nord, Grant, Sherman e Sheridan, attuarono la strategia della devastazione sistematica: i saccheggi e gli stupri divennero la regola dei soldati blu, e intere città vennero date alle fiamme. Per i pii puritani del Nord la distruzione delle città sudiste era la punizione che il Dio biblico scagliava sui secessionisti. Gli eserciti del Sud, invece, si erano sempre mostrati molto più rispettosi dei civili, anche perché i loro stessi ufficiali osservavano un codice cavalleresco secondo il quale la guerra doveva essere una questione fra militari. Soltanto nel 1865 la resistenza del Sud fu definitivamente piegata, e si arrivò alla resa incondizionata dei confederati: la guerra totale non poteva prevedere compromessi, e Lincoln non poteva permettersi di fare concessioni ai separatisti. Lincoln fece il suo ingresso trionfale a Richmond, e al suo passaggio i negri si inginocchiavano cantando alleluia, come se fossero al cospetto del Padreterno. Ma l’illuminato presidente unionista non fece in tempo a godersi il successo: poco dopo la fine della guerra fu ucciso in un attentato da un partigiano della Secessione.

 

La guerra di Secessione è stata estremamente sanguinosa, ha registrato oltre 300.000 caduti per parte, e ha visto per la prima volta l’impiego di tecnologie e armi moderne: treni, telegrafi, cannoni a canna rigata, fucili a retrocarica, navi corazzate…

 

Con la guerra di Secessione gli Stati Uniti sono entrati nel XX° secolo: il modello antropologico yankee diventava il prototipo dell’uomo moderno e l’America si apprestava a sviluppare una politica imperialista di cui oggi vediamo le estreme conseguenze. Una eventuale vittoria della Secessione avrebbe sicuramente tarpato le ali ai sogni di gloria dell’espansionismo yankee, invece per il Sud il dopoguerra fu una lunga sequenza di esperienze dolorose. I bianchi, umiliati nel loro orgoglio razziale, non seppero far di meglio che inscenare le surreali scorribande del Ku Klux Klan, e i territori del Sud rimasero a lungo economicamente depressi e poveri di spirito d’iniziativa. Col tempo poi gli standard di vita fra Sud e Nord degli Stati Uniti si sono colmati, e oggi non sussistono più apprezzabili differenze.

 

Tuttavia l’epopea della Secessione ha anche dato vita a un filone inesauribile di letteratura e di cinematografia che ha fatto entrare nel mito le gesta del generale Lee e dei suoi uomini. L’esperienza istituzionale dei confederati, inoltre, resta un utile modello di riferimento per chi voglia cercare di portare nuove proposte in uno scenario politico che rischia di impantanarsi nella palude dell’immobilismo: i generosi sacrifici dei patrioti secessionisti non sono stati vani, e hanno indicato la via dell’autodeterminazione dei popoli !

 

 

 

 

 

Alberto Pasolini Zanelli, Dalla parte di Lee. La vera storia della guerra di secessione americana, Leonardo Facco Editore, Treviglio (BG), 2006, pp.208, € 15,00