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Rino Gaetano, quel reggae dissacrante contro tutti

di Marco Iacona - 15/04/2008

 

 
 
Salvatore Antonio Gaetano, in arte Rino, come Wolfgang Amadeus Mozart, in arte Amadé. No, non è il gusto per il paradosso a consigliarci tale azzardato paragone. Né la circostanza che i due giovanotti quando lasciarono la valle di lacrime a centonovant’anni l’uno dall’altro avessero suppergiù la stessa età: 35 l’autore della Piccola serenata notturna (per i più colti: Einekleine Nachtmusik), quasi 31 l’autore di Mio fratello è figlio unico e Berta filava, lato A e lato B di un medesimo bellissimo 45 giri del ’76. A rendere “simili” (le virgolette ci vanno, eccome), le biografie dei due scanzonati giocolieri delle crome e delle biscrome è la circostanza che fino al giorno della dipartita, fama e successo fossero quasi del tutto estranei alle loro storie. Non tutti avrebbero scommesso due soldi sulle loro qualità artistiche insomma.
Al funerale di Mozart la moglie era contumace (giustificata?), e per l’occasione i giornali scrissero che il signor Wolgang Amadeus era stato –unicamente – autore di “buone musiche”; quando Rino si schiantò con la sua Volvo 343 contro un camion (la notte del 2 giugno 1981), pare che ai sanitari di cinque reparti di traumatologia cranica della Capitale (che lo rifiutarono per mancanza di posti letto) non potesse interessare granché. Quando Rino Gaetano morì qualche ora dopo, pare che quasi nessuno se ne fosse accorto. Abbiamo cercato notizie in dettaglio sui periodici del tempo con scarsi risultati. La routine di un freddo trafiletto su Panorama e un articolo a pagina 20 (rubrica: Spettacoli), sul Corriere della Sera a firma Mario Luzzatto Fegiz. Altra cosa, per ovvi motivi, la notizia data sul quotidiano romano Il Messaggero. Prima pagina: «Muore come Buscaglione. Tragica fine del cantautore impertinente»; approfondimento in cronaca: «Amava e cantava la vita. Polemico, ironico, dissacrante».
Proprio in questi giorni compie trent’anni quella che può essere considerata la sua canzone simbolo. Compie infatti trent’anni Nuntereggae più (1978, tratta dall’omonimoLp, il 4° del cantautore): un allegro catalogo di nomi, motti e circostanze dei nostri Settanta. Un caos in musicadi chi non cela il proprio disagio ela voglia di mollare tutto e chiudersia casa: «Dc, Pci / nunte reggae più». Quel testo era una vera rottura con il clima dominante nel ’78: «Pci psi / dcdc / pci psi pli pri / dc dc dc dc / Cazzaniga/ avvocato Agnelli Umberto Agnelli / Susanna Agnelli Monti Pirelli...». Tutte queste sigle e questi nomi e tanti altri venivano bocciati da Gaetano col suo slogan ripetuto: «Nuntereggaepiù». Che vale anche per: «Il quindicidiciotto / il prosciuttocotto / il quarantotto / il sessantotto/ le pitrentotto / sulla spiaggia di Capocotta...».
Del resto negli anni Settanta noi tutti scontavamo le brusche accelerazioni del decennio precedente, le crisi internazionali e di casa nostra (dodici governi in dieci anni e un surplus di politica mica da ridere), il “compromesso storico”, l’austerity e il moralismo berlingueriano.
L’Italia del 1978 viveva nel chiaro scuro di mille avvenimenti. Fu il Paese dei due presidenti della Repubblica (di Giovanni Leone dimessosi sei mesi prima della scadenza del settennato, e di Sandro Pertini), dei tre papi (Giovan Battista Montini, Albino Luciani e Karol Wojtyla), della strage di Acca Larentia ( gennaio) e della nascita dello “spontaneismo armato”, del caso Moro (marzo-maggio) e della tragica scomparsa di tanti giovani sfortunati. Due le leggi importanti: aborto (maggio) ed equo canone (luglio); in mezzo i referendum abrogativi: quello sulla legge Reale per l’ordine pubblico, e quello sul finanziamento pubblico ai partiti (e per entrambi, dato il cliam consociativo, vinceranno i “no”). Domanda: poteva buona parte di questo gran casino tradursi in una canzone di qualche minuto, recitata per buona parte come uno scioglilingua? Sì se l’autore era Rino Gaetano. Sì, se la canzone era appunto Nuntereggae più.
Come l’invocazione di Roberto Benigni nell’autunno felliniano della Voce della luna («se tutti potesserofare un po’ più di silenzio…»), la brama di quiete di Rino Gaetano era sinonimo e illusione di un’assenza tout court. L’Italia prima del tempo delle mele era una macedonia dal sapore amaro; era il Paese dei faziosi («abbasso e alè»), dei canzonettisti, dei vizi pubblici e dei volti in fotocopia. Un “bordello” dantesco, una babele di ladri, cumenda, semprevergini ed evasori. E Nuntereggaepiù era un geniale elenco di politici, sportivi, imprenditori e personaggi televisivi, tutti o quasi una sola cosa: vip sotto schermo; personaggi da copertina o da scaldaletto.
Naturalmente nella canzone c’era anche la politica. Una politica che non avrebbe affatto gradito il contenuto, sabotando la partecipazione di Rino ad un programma in Rai. Gaetano avrebbe voluto portate la canzone anche al festival di Sanremo (ma fu “costretto” a partecipare con Gianna, motivetto più digeribile, che peraltro sarà un successo). La politica per Rino era fatta esclusivamente di partiti: Dc, Pci, Psi, Pli, Pri… tutti in rima fra loro, tutti prevedibilmente uguali. Nuntereggae più fu quasi un inno all’antipolitica ante litteram, recitato da un genuino libertario non-allineato priva dei fastidiosi moralismi e delle volgarità dell’attuale“grillismo”.
È la normale Italia di trent’anni fa quella di Nuntereggae più. Un’Italia che – incredibilmente – qualcuno sembra aver dimenticato. Un’Italia chiusa in lavatrice, centrifugata sciacquata e risciacquata; dal cui oblò sarebbe venuto fuori il ritorno ai buoni sentimenti, alla vita privata (bella? brutta? chi lo sa?) e con la ricerca della piccola-grande felicità che sta nel disimpegno e nel sano rapporto di coppia.
Davvero che genio quell’irregolare di Rino! Nel ’78 aveva pronosticato l’inevitabile successo del privato e del quieto vivere sul frastuono popolare (ed elitario). Una vittoria non per ko, ma ai punti, di stretta misura. Il caos è dietro l’angolo come l’eroe cattivo dei fumetti. I canali di comunicazione sono oramai numerosissimi, e giovani e meno giovani hanno voglia di farsi vedere o sentire dal “loro” pubblico, per così dire, naturale (altro che quarto d’ora di notorietà insomma).
Tuttavia proprio il giorno della morte, Rino Gaetano avrebbe subito una beffa. L’ultima. In prima pagina del Messaggero, accanto alla notizia d’apertura sulla sua fine improvvisa, sarebbero comparse le solite liti fra Dc e Pci (questa volta in ballo c’erano i nomi degli iscritti alla P2) e in basso una foto di Enzo Bearzot (che Rino citava in Nuntereggae più, fra Gianni Brera e Monzon), il mitico allenatore della nazionale di calcio che, proprio allora, cercava la qualificazione per i mondiali di Spagna. Altro che silenzio, altro che staccare la spina. Altro che riposo. Anche quel giorno, star e guest star dell’Italietta erano ancora tutte lì! La Nazionale, poi, li avrebbe vinti quei mondiali. «Campioni del mondo, campioni del mondo, campionidel mondo». Chissà cosa avresti detto per l’occasione imprevedibile e irriverente Rino.
 
 
 
Dal Secolo d'Italia