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G-7: una crisi sempre più grave sul tavolo dei potenti

di Marzio P. Rotondò - 15/04/2008

 

G-7: una crisi sempre più grave sul tavolo dei potenti



È un quadro della situazione sempre più complesso quello che si profila di fronte ai rappresentanti economico dei sette Paesi più industrializzati al mondo. Riunito da ieri a Washington, il G7 lavorerà in questi giorni all’approvazione di un piano che salvi l’economia mondiale da nuove crisi economico-finanziarie, oltre che trovare un’intesa su possibili provvedimenti per arginare gli effetti di quella in corso.
“Una buona parte del G7 sarà dedicato alle condizioni economiche attuali, agli sviluppo futuri sui mercati finanziari e alla risposta all’odierna situazione di crisi”. Sono state queste le parole del vicesegretario al Tesoro Usa, David McCormick, a proposito dei lavori in corso a Washington. Emblematica da questo punto di vista la presenza dei rappresentanti delle più grandi banche al mondo come, ad esempio, Citigroup, JP Morgan Chase, Lehman Brothers, Bank of America, Deutsche Bank e Mizuho.
L’attuale G7 darà l’occasione ai ministri e ai banchieri centrali interessati di studiare il rapporto sviluppato dal Financial Stability Forum (Fsf), organo sussidiario della Banca internazionale dei regolamenti e presieduto da Mario Draghi. Il rapporto contiene una serie di raccomandazioni sui metodi per evitare una nuova crisi finanziaria. Fino a giugno, le autorità competenti dovranno proporre nuove regole per migliorare le modalità di gestire delle proprie liquidità delle banche. Il rapporto promuove, fra l’altro, un aumento delle riserve obbligatorie detenuto dalle istituzioni finanziarie oltre che incentivare una migliore trasparenza sulle esposizioni al rischio. Il piano propone inoltre la creazione di squadre di regolatori internazionali incaricati di ispezionare l’attività e la salute degli istituti bancari internazionali.
Più che leggi vere e proprie, i grandi della terra hanno intenzione di spingere gli attori finanziari a varare un codice di condotta volontario, così come proposto anche dall’Institute of International Finance (IIF), l’associazione che raggruppa le più grandi banche private al mondo. Una semplice deontologia finanziaria rischia però di non riuscire a frenare gli abusi speculativi del mercato visto che gli immensi interessi in gioco, spesso, si prendono beffa anche di vere e proprie leggi come già successo in passato.
I ricchi del pianeta affronteranno poi un altro importante tema d’attualità, ovvero la riforma del Fondo monetario internazionale. Il piano di risparmio finanziario adottato lunedì dal consiglio di amministrazione dell’Fmi e la riforma delle quote di rappresentanza dei Paesi membri in seno all’istituzione internazionale dovrebbero ricevere in queste ore l’appoggio dal G7. Paventato come un cambiamento di filosofia di “grande successo”, così come lo ha definito il direttore generale Dominique Strauss-Kahn, lascia però forti dubbi sul miglioramento. Dopo la riforma, l’Fmi rischia infatti di essere un’istituzione molto più affaristica di quanto lo è già stata in questi anni, grazie alla possibile apertura all’acquisto di azioni sui mercati, fino ad oggi vietata.
Il problema principale dell’economia mondiale, al di là delle priorità economico-finanziarie dei Paesi industrializzati, è però un altro: l’iperinflazione che attanaglia tutto il pianeta, soprattutto gli Stati più poveri del mondo. “Mentre molti di noi si preoccupano di riempire i serbatoi delle proprie auto - ha affermato, in riferimento al boom dei prezzi petroliferi - molti altri nel mondo hanno difficoltà a riempire lo stomaco”, ha affermato il presidente della Banca mondiale (Birs), Robert Zoellick.
I crescenti prezzi dei carburanti e delle derrate alimentari stanno infatti aggravando il problema della fame nel mondo. Le sommosse scoppiate negli ultimi giorni in diversi Paesi, dall’Egitto al Vietnam, hanno sottolineato la gravità della situazione. L’impatto dei rincari è molto forte: i costi di alcuni programmi alimentari americani, per esempio, sono aumentati di oltre l’80% in soli due anni dal 2006 al 2008. I poveri spendono fino al 75% del proprio reddito in generi alimentari e ciò rende il problema una vera e propria catastrofe mondiale.
Secondo l’Fmi, l’aumento dei prezzi alimentari è stato del 48% dalla fine del 2006 e i più colpiti sono i Paesi africani. Quelli a sud del Sahara potrebbero mancare tutti gli Obiettivi di sviluppo detti del Millennio, fissati dall’Onu per il 2015. L’azione internazionale dovrebbe far fronte all’emergenza, secondo la Banca mondiale, fornendo i 500 milioni di dollari chiesti dal Programma alimentare mondiale delle Nazioni unite per venire incontro alle necessità più urgenti. In un’implicita autocritica, però, la Birs ha ammesso che la percentuale dei suoi prestiti all’agricoltura è scesa dal 30% del 1980 al 12% dell’anno scorso: un segno evidente del completo disinteresse dei grandi della terra alla promozione degli Obiettivi del millennio e, in questo caso, alla lotta alla fame nel mondo.
Il principale motivo di questi rincari, così come anche della crisi finanziaria in atto è sempre lo stesso: le speculazioni selvagge. È pur vero che il comparto alimentare sta facendo fronte a diversi fattori di tensione come delle condizioni climatiche ostili, l’aumento della domanda globale, la riconversione massiccia delle colture verso la produzione di energia. Gli effetti di questi fattori sull’agricoltura mondiale, però, non sarebbero così accentuati se non fossero l’occasione per gli speculatori di fare profitto. I grandi fondi d’investimento, gli istituti di credito, le banche d’affari e tutti i maggiori attori del mercato finanziario giocano in borsa migliaia di miliardi di dollari con il solo scopo di generare sempre più soldi. Un meccanismo che in casi come questo manda in rovina centinaia di milioni, se non miliardi, di persone per via degli aumenti dei prezzi mentre, in altri casi, fa crollare i prezzi per usufruire dell’acquisto a prezzi stracciati delle materie prime alimentari, distruggendo l’agricoltura dei Paesi poveri.
L’unico modo per risolvere questa situazione affaristica e ignobile è quella di bandire le speculazioni dai mercati finanziari o per lo meno tassarle in modo massiccio, demotivando gli speculatori e ridistribuendo i proventi verso i Paesi e gli strati più poveri della società. L’attuale sistema vede persone accumulare soldi per sport, giocando sui mercati come in un immenso casinò: una dinamica che continua a produrre bolle speculative e crisi finanziarie cicliche a danno della collettività, oltre che a mettere in ginocchio le economie nazionali. E non saranno di certo una manciata di banchieri stramiliardari con a guardia Mario Draghi a cambiare la situazione.